Parrocchia San Simeone Profeta - Venezia

 

 

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“C’ERA UN UOMO DI NOME SIME0NE...” (Lc 2,25)

 

Carissimi,

 

siamo tutti affezionati a San Simeone, patrono della nostra comunità parrocchiale. E’ un santo “antico”. Di lui, con certezza, si conosce solo quello che ci racconta Luca nel suo vangelo, ma tante sono le tradizioni che lo riguardano e che per vie diverse sono giunte fino a noi. E proprio queste tradizioni, che raccontano parte della nostra storia e della nostra fede, della storia e della fede anche di chi ci ha preceduto, sono diventate delle gradite e fidate compagne di viaggio.

Sono contento di mettervi tra le mani queste poche pagine, frutto di una breve, ma piacevole ricerca. Non vogliono certo essere esaustive, ma una specie di diario di viaggio, de­gli appunti che prima erano sparsi di qua e di là e che ora trovano una sistemazione, per altro non ancora definitiva.

Sono grato a tutti coloro che, studiosi affermati o semplicemente persone “curiose” della storia della propria comunità, hanno raccolto materiale, lo hanno studiato e ne hanno fatto l’oggetto dei propri interessi, e, perché no, anche del proprio affetto, perché il primo passo per conoscere la propria storia è cominciare ad amarla.

Spero’ che questo piccolo lavoro, possa spingere chi lo legge a rinnovare il proprio af­fetto per la comunità di cui fa parte.

don Luigi

 

 


Quella che voglio raccontare è una storia bella e affascinante, anche se con qualche “buco” visto il tanto tempo trascorso e le fonti molto lacunose. E’ una storia che parte da molto lontano sia nel tempo che nello spazio e che, coinvolgendoci, arriva fino a noi. E’ la storia di un uomo chiamato Simeone...

 

Appare improvvisamente sulla scena del vangelo di Luca, già avanti negli anni, de­scritto come un “uomo giusto e pio”, ma oltre a questo, di lui sappiamo poco o niente. Tanto che questa povertà di notizie sulla sua vita ha prodotto, fin dall’antichità, tutta una serie di ipotesi, alcune anche molto fantasiose.

Qualcuno ha pensato che Simeone fosse uno di quegli uomini che da Gerusalemme furono inviati ad Alessandria d’Egitto, presso Tolomeo Filadelfo, per tradurre dall’ebraico in greco, l’Antico Testamento. Se così fosse, il “vecchio” Simeone avrebbe avuto più o meno la bella età di trecentocinquant’anni.

Il Talmud ci ha tramandati i nomi e i ritratti di rabbini ebrei contemporanei di Gesù. Fra essi vi è un Simeone, il cui ritratto corrisponde perfettamente a quanto conosciamo del per­sonaggio di Luca. E’ il figlio del famoso rabbi Hillel e il padre di Gamaliele, maestro di Paolo. Lo studioso A.Cutler, in suo lavoro (1), fa notare che anche questo Simeone era molto interessato alla venuta imminente del Messia. Inoltre anche alcune tradizioni giudeo-cristiane sono favorevoli a questa identificazione. Siccome, però, secondo la tradizione, Hillel morì verso il 13 d.C., a circa centovent’anni, e tutto il contesto proposto da Luca presenta Simeone come una persona avanti negli anni, anche questa identificazione è assai discutibile

Simeone, secondo Luca, dopo aver preso Gesù tra le braccia, benedice Maria e Giu­seppe e questa sua azione ha fatto pensare che fosse un sacerdote. Nella Bibbia, invece, non occorre esercitare il sacerdozio per dare una benedizione. Basti ricordare Giacobbe, che be­nedice i suoi figli prima di morire, come racconta il capitolo 49 della Genesi. Se Simeone fosse stato un sacerdote, Luca non avrebbe tralasciato questo particolare. Dei vangeli apocrifi, il Protovangelo di Giacomo (2)lo chiama sacerdote, il Vangelo di Nicodemo, (3)invece, lo indica come “sacerdos magnus’, padre di Carino e Leucio che sarebbero stati poi risuscitati da Gesù, al momento della sua discesa agli inferi.

 

Un’altra tradizione antica presenta Simeone come un cieco che riacquista la vista quando prende Gesù tra le braccia. Ma anche questa possibilità sembra più un commento alle parole dello stesso Simeone, quando dice: “Ora lasciami andare, o Signore, perché i miei oc­chi ti hanno visto”.

Ancora più fantasioso è il tentativo di alcuni studiosi delllnizio del secolo scorso di ve­dere nella figura di questo Simeone il riflesso di un episodio relativo alla nascita di Buddha: quando questi nacque, un solitario del Himalaya, di nome Asita, ne ebbe annuncio dagli dei; si recò allora al villaggio dov’era nato e qui gli fu mostrato il bambino, che egli prese tra le braccia piangendo e profetizzando la sua missione futura. La massima parte degli studiosi si rifiuta di vedere una qualsiasi influenza di questo episodio indiano sulla figura del vecchio Si­meone (4).

Non abbiamo quindi notizie certe sul santo profeta, possiamo solo affidarci alle parole di Luca, immaginando un po’ la sua vita in quel particolare momento.

Simeone, ormai avanti negli anni, sedeva, ogni giorno, in casa sua, a Gerusalemme o nelle sue vicinanze, e pregava in silenzio, in attesa di un segno che gli indicasse la fine della sua attesa. Era un uomo giusto e pio, un timorato di Dio, e aspettava la consolazione di Israele, aspettava di poter dire, con il paziente Giobbe, “lo ti conoscevo per sentito dire, ora i miei occhi ti hanno visto” (42, 5). La vita di Simeone è la storia di un’attesa e di un incontro sorprendente, un’attesa che non viene delusa proprio da quell’incontro.

Simeone appartiene al popolo degli ‘anawim, i “poveri” di Jahweh; egli infatti è de­scritto come “giusto e timorato di Dio”. La sua caratteristica più profonda è, quindi, la fede, la fiducia, l’abbandono in Dio. Questo vecchio raccoglie in sé la lunga attesa della speranza nella venuta del Messia: “Prorompete insieme in canti di gioia, perché il Signore ha consolato il suo popolo’, cantava secoli prima il profeta Isaia (52, 9). La quotidianità in cui Simeone vive non gli impedisce di tenere lo sguardo fisso verso l’orizzonte, verso la consolazione, verso la rive­lazione della gloria. Anche se il presente è senza sole, egli è certo che l’alba spunterà; Dio in­frangerà il suo silenzio, la notte oscura sarà diradata, all’inverno subentrerà la primavera. An­che se “avanti negli anni” come Zaccaria, Elisabetta ed Anna, la fiaccola della speranza e la giovinezza nello spirito in lui non si sono attenuate. Simeone ha in sé la fiamma dello Spirito Santo che lo rende sempre vivo, forte, aperto al futuro.

E mentre Simeone prega e aspetta, Maria e Giuseppe decidono di portare al tempio il bambino Gesù, per fare ciò che chiedeva la legge. E’ il fondale dell’incontro, un fondale molto quotidiano, anche se questa è la prima visita del Signore nel suo tempio. Gesù bambino entra con i suoi genitori come un semplice e povero membro del popolo dell’Alleanza. Maria, come scrive Ravasi, “obbedisce alle norme legali e rituali, sottoponendosi alle prescrizioni della leg­ge che per quaranta giorni dal parto la tenevano lontana dal tempio perché impura. Il qua­rantesimo giorno doveva recarsi al tempio e, nell’atrio delle donne, alla porta di Nicanore, era dichiarata pura da un sacerdote. Per la cerimonia era imposto il sacrificio di un agnello e di una colomba. Per i poveri, per i quali l’agnello era un lusso eccessivo, si poteva ricorrere a due colombe, stancamente ricevute da un sacerdote certamente più attento alla purificazione di un’aristocratica o della moglie di un collega. Maria è una donna osservante ed è una donna povera. (5).

Mentre Maria e Giuseppe percorrono la strada che da Betlemme sale al tempio, lo Spi­rito Santo “soffia” la notizia >a Simeone quasi nel sogno. Così immagina sia awenuto il fatto Timoteo di Gerusalemme, un sacerdote e predicatore del VI secolo: “Lo Spirito svegliò Si­meone con queste parole: «Alzati, vecchio, perché dormi? Ecco il tempo della risposta! Va’ in fretta: infatti viene colui che ti congeda... viene l’Emanuele. Va’ in fretta al tempio». Allora Simeone, accelerando sempre di più il passo, quasi volando con il desiderio, reso leggero dallo Spirito, arrivò al tempio prima di Maria e Giuseppe e si fermò tra l’entrata e l’interno, sulla soglia, aspettando la rivelazione dello Spirito Santo. Girando attorno lo sguardo, vide molte mamme che entravano nel tempio con i loro bambini, per assolvere la legge, e tra loro confusa, c’era anche colei che portava il frutto dell’attesa. Il giusto Simeone, allora, facendosi largo tra la folla, diceva: «Lasciatemi passare, perché possa prendere in braccio colui che de­sidero vedere con tutto il cuore. Ecco lo vedo e il mio spirito ha ripreso subito forza. Perchéoffrite all’altare i vostri piccoli? Concentrate qui il vostro sguardo: è a questo bambino, piùantico di Abramo, che dovete offrire i vostri figli!» (6).

Anche il vangelo apocrifo dello Pseudo-Matteo “abbellisce” l’episodio con alcuni curiosi particolari: “Simeone, visto il bambino, esclamò a gran voce: «Dio ha visitato il suo popolo e il Signore ha adempiuto la sua promessa». E subito lo adorò, baciandogli le mani e i piedi (7).

Luca è molto più sobrio e delicato: “Mosso dunque dallo Spirito, Simeone si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la

tua parola; perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele».” (2,27-31).

In questo incontro così umano - un bambino nato da poco tra le braccia di un anziano che si sta congedando dalla vita - si trovano di fronte l’antico e il nuovo tempo non solo in senso terreno; qui il tempo dell’attesa sfocia nel tempo del compimento: l’anziano profeta ri­conosce e annuncia, nella lode di Dio, l’awento del Messia in questo bambino.

Simeone è un uomo “povero”, è un uomo dell’attesa, è un uomo dello Spirito: per que­ste doti è anche profeta nel senso più pieno della parola, è uno che conosce il mistero di Dio e lo rivela con la parola. La sua profezia diventa canto: il Nunc dimittis, l”’Ora lascia”, è un in­no brevissimo, una poesia serena e gioiosa, un momento di abbandono e di fiducia, pronun­ciato da un uomo che sente giunto per sé un tramonto pieno di luce e quindi non pauroso. E’ per questa grazia serena e pacata che fin dal quinto secolo il salmo di Simeone è divenuto la preghiera serale, il cantico della Compieta. Come una sentinella attende con ansia il cambio, così Simeone spia la luce perché ormai la sua veglia è finita e ora potrà dormire nel Signore, entrando nel suo regno.

Il cantico, però, non è un addio malinconico perché il compito affidato è ormai conclu­so, è invece un saluto festoso alla Parola di Dio che ora si compie. E’ quasi un commento alle parole che Gesù rivolgerà ai suoi discepoli durante il suo ministero: “Beati gli occhi che vedo­no ciò che voi vedete. Vi dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi ve­dete, ma non lo videro, udire ciò che voi udite, ma non l’udirono” (Lc lO, 23-24). Possono es­sere utili, a questo punto, alcune parole di J. Moltmann: “Nella vita cristiana la priorità appar­tiene alla fede, ma il primato alla speranza. Senza la conoscenza di Cristo che si ha per la fe­de, la speranza diverrebbe un’utopia sospesa in aria. Ma senza la speranza, la fede decade divenendo tiepida e poi morta. Per mezzo della fede l’uomo trova il sentiero della vera vita, ma soltanto la speranza ve lo mantiene. Perciò la fede in Cristo fa sì che la speranza diventi certezza. (8).

Nelle parole di Simeone, “salvezza preparata davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti”, si concentra tutto il lungo cammino dell’Antico Testamento che dall’elezione di Israele è giunto a intuire l’alleanza universale per cui in Gerusalemme tutti i popoli si potes­sero ritrovare come cittadini: “Verranno molti popoli e diranno: «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri»” (Is 2, 3). Ora quel filo di speranza che percorreva la Bibbia giunge a que­sto bambino. L’impegno missionario della comunità cristiana parte dalla convinzione che Cristo vuole essere “luce per illuminare le nazioni”.

La reazione di Maria e di Giuseppe di fronte alle affermazioni di Simeone su Gesù è lo stupore e la meraviglia, e in questa situazione carica di emozione, l’anziano profeta continua a parlare. Dopo aver benedetto i genitori del bambino, comunica una seconda rivelazione, spe­cifica per la madre, che, in quanto tale, è particolarmente legata al suo bambino. In essa la partecipazione della madre al destino del figlio è espressa in dimensioni straordinarie. Si tratta infatti del destino di suo figlio che è il Messia di Israele e della sua sofferenza come madre di questo Messia.

Simeone pronuncia su Gesù un doppio oracolo: “Egli è qui per la rovina e la risurrezio­ne di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2, 34-35). E’ “altro lato della medaglia del Nunc dimittis, il lato più buio. Salvezza e giudizio, accoglienza e rifiuto, fede e incredulità sono quasi un dittico che riassume in sé le molteplici vicende della storia. Cristo è il legame di questo dit­tico perché su di lui verte la scelta.

La prima profezia di Simeone è un oracolo di “divisione”. Quanto Isaia aveva già antici­pato di Dio dicendo che sarebbe stato “una pietra di scandalo e uno scoglio d’inciampo” (8, 14), ma anche “una pietra angolare preziosa, saldamente fondata”, tanto che “chi s’affida ad essa non vacilla” (28, 16), Simeone lo vede ora realizzato in questo bambino. Egli è posto da Dio come questa “pietra”, come personaggio di fronte al quale bisogna decidersi, il che vale per tutti in Israele: per alcuni sarà “a caduta”, per altri “a resurrezione”. Nessuno potrà sfug­gire a questa alternativa. Simeone accenna a Israele come al terreno sul quale lo scandalo della croce ha prodotto rovine e risurrezioni, incredulità e fede, ma, non possiamo dimenti­care, che la stessa comunità cristiana può rivelarsi un terreno in cui si ripete questa divisione. L’adesione alla parola del Vangelo deve essere quotidiana e continuamente rinnovata.

“Anche a te una spada trafiggerà l’anima”. Simeone indirizza a Maria un oscuro oracolo variamente interpretato nella tradizione cristiana. In passato alcuni immaginavano una morte violenta di Maria, Origene pensava al dubbio come spina nel fianco della fede pura di Maria, altri rimandavano alla sofferenza di Maria, altri ancora alla lotta con il serpente, ricordando le parole del libro della Genesi: “lo porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno” (3, 15) (9). La frase ha giustifi­cato la tradizionale iconografia della Madonna Addolorata ai piedi della croce, trapassata dalla spada del dolore.

Il senso delle parole di Simeone va cercato probabilmente nella profezia precedente: Maria è nel cuore della battaglia per o contro il suo Rglio, è chiamata per vocazione alla spo­gliazione totale. Quanto più Maria “perde” materialmente il Figlio, tanto più lo accoglie nella fede, quanto più Maria è colei che “ascolta la Parola e la mette in pratica”, tanto più si rivela come Madre del Signore. La maternità divina non è una questione solo fisica, ma soprattutto un evento della fede. E quando, davanti al Cristo crocifisso, avrà perso il Figlio fisicamente, lo riavrà in pienezza come Figlio glorioso, presente nella Chiesa, di cui vede l’alba nella mattina di Pentecoste. Maria così diventa il modello del discepolo.

Dopo aver tratteggiato la figura della profetessa Anna, un’altra di quei “poveri in spiri­to” che attendevano la consolazione di Israele, Luca ci informa che Maria e Giuseppe, “compiuto ciò che prevedeva la Legge, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret” (2, 39). Contemporaneamente Simeone esce dalla scena, di lui l’evangelista non ci dirà più nulla. Per saperne qualcosa di più bisogna tornare nel campo delle ipotesi, lasciandosi accompa­gnare dalle antiche tradizioni, qualche volta anche da un po’ di fantasia.

Nel diario del suo pellegrinaggio in terra santa, un certo Quaresmius ricorda che “sorpassata la piscina di Bersabea e salendo il colle, i pii pellegrini proseguono il loro itinerario verso sud, andando verso Betlemme, e lasciato a sinistra il monte del cattivo consiglio, dove per la prima volta fu presa la decisione di uccidere il Signore, si offre alla loro vista una torre, considerata l’abitazione di quel Simeone, di cui si cantano le lodi nel vangelo (...). Il luogo è distante poche miglia da Gerusalemme...” (10). Di questa testimonianza, purtroppo, non abbiamo oggi nessun riscontro. Si può comunque dire che, se non visse a Gerusalemme, Simeone abitò nelle sue vicinanze. Qui, con una certa verosimiglianza, tornò a concludere la sua vita.

Un’antica tradizione, raccolta dal santo vescovo Cipriano di Cartagine, ci dice che non passò molto tempo tra la presentazione di Gesù al tempio e la morte di Simeone (11). Non si sa con certezza dove sia stato sepolto, anche se si può presumere che il suo corpo abbia ripo­sato nella cimitero della Valle del Cedron. Adamnano, vissuto nel VII secolo, afferma che “nella valle di Giosafat, non lontano dalla chiesa di Santa Maria, viene mostrata ai pellegrini la torre di Giosafat, nella quale è sepolto lo stesso Giosafat... e dove vengono mostrati altri due sepolcri, senza particolari ornamenti, uno di Simeone, uomo giusto, che prese tra le braccia Gesù e profetizzò su di lui, l’altro del giusto Giuseppe, sposo di Maria e padre putativo di Gesù (12). Invece, Gregorio di Tours, citando lo stesso sepolcro, vicino alla tomba di Assalonne,  dice che vi erano venerati Giacomo il Minore, cugino del Signore e primo vescovo di Gerusa­lemme, Zaccaria, padre di Giovanni Battista e Simeone il vecchio (13).

Anche oggi, passando davanti alla basilica del Getsemani e prendendo la prima stradi­na a destra si scende nella valle del Cedron. Vi sono raggruppati quattro monumenti che portano rispettivamente i nomi di tomba di Assalonne, di Giosafat, di S.Giacomo e di Zaccaria, ma in verità nessuno di essi accolse mai le ceneri del defunto di cui porta il nome. La notizia riportata da Gregorio, nel VI secolo, ci porta alla Tomba di 5.Giacomo, dove un’iscrizione ebraica awerte che quello è il sepolcro della famiglia sacerdotale dei Bené-Hezir. Nel IV se­colo, queste grotte funerarie servivano da cella ai monaci cristiani di Gerusalemme ed una leggenda racconta che un monaco trovò in una grotta tre scheletri che egli prese e presentò come i resti di Giacomo cugino del Signore e dei sacerdoti Zaccaria e Simeone. Per la genero­sità di un notabile di Eleutheropolis, chiamato Paolo, fu costruita una cappella sopra la grotta nella quale erano stati trovati i resti. Inaugurata il 25 maggio 352, divenne un centro di devo­zione per la chiesa di Gerusalemme e per i pellegrini. Da allora questi monumenti ebbero il nome cristiano di S.Giacomo e di Zaccaria (14).

Da questa leggenda dipendono, dunque, le notizie riportate da Adamnano e da Grego­rio di Tours, i quali ricordano il sepolcro di Simeone, ma nessuno dei due scrive se i resti del santo profeta siano conservati ancora a Gerusalemme.

Probabilmente, e qui inizia un’altra parte della storia, le reliquie erano già state portate a Costantinopoli. L’imperatore Giustino II, che regna subito dopo la morte di Giustiniano, dal 565 al 578, le aveva collocate, assieme a quelle dei Santi Innocenti, del profeta Zaccaria e di Giacomo, cugino del Signore, nel tempio da lui eretto in onore di S. Giacomo, dove rimango­no per quasi cinquecento anni.

Concludendo la narrazione delle vicende relative all’anno 1204, dopo aver diffusa mente parlato della conquista di Costantinopoli da parte dei crociati, Andrea Dandolo, nella sua Chronica, accenna alle reliquie che i veneziani riportarono in patria dalla capitale dell’impero. Fa cenno al ritrovamento dei corpi di sant’Agata e di santa Lucia, quindi riporta la seguente notizia: “Alcuni popolani di Venezia, chiamati Andrea Balduino e Angelo Drusiaco, dall’oratorio di santa Maria, vicino alla chiesa di santa Sofia, prelevarono con fatica il corpo del santo pro­feta Simeone, che, trasportato a Venezia, riposero nella chiesa che fin dalla sua fondazione era stata dedicata al santo” (15). Per quanto sintetica, la notizia appare singolarmente precisa.

Il Dandolo conosce non solo il nome dell’edificio dove il corpo di Simeone era conservato a Co­stantinopoli (l’oratorio di Santa Maria), ma anche la sua ubicazione (vicino alla chiesa di Santa Sofia); è in grado di indicare la categoria sociale e il nome di chi promosse il trasferimento; e sa che l’asportazione venne compiuta non senza difficoltà. Dai dati esposti è probabile che il Dandolo attingesse le sue notizie da una fonte scritta, nella quale le circostanze della trasla­zione erano esposte con dovizia di particolari.

La lunga epigrafe che è posta dietro l’urna del santo, nella cappella oggi dedicata al Sacro Cuore di Gesù, e che ricorda il trasferimento delle reliquie cui partecipò nel 1318 Gia­como Albertini, vescovo di Castello, citando delle “scripturae autenticae’, fa capire che della traslazione da Costantinopoli a Venezia esisteva un resoconto, probabilmente lo stesso cono­sciuto dal Dandolo. Questo testo in latino è giunto fino a noi grazie a un manoscritto conser­vato nella Biblioteca Nazionale Braidense di Milano (16).

La storia che è iniziata molto lontano nel tempo e nello spazio diventa così parte della vita della comunità parrocchiale di San Simeone Profeta in Venezia. Ecco il racconto di come sono andate le cose (17):

Ecco come il corpo del beatissimo profeta Simeone dalla città di Costantinopoli arrivò, attraverso il mare Adriatico, alla città di Venezia, situata sulle isole che si trovano in quella parte d’Italia posta tra il territorio di Grado e quello della Marca Veronese. In questa città esi­steva già una chiesa dedicata al beatissimo profeta Simeone, ormai da molto tempo onorato con grande devozione e amore dai parrocchiani di quella chiesa. Essi, infatti, erano molto cri­stiani, pienamente convinti della fede cattolica, scrupolosissimi e pronti nell’osservanza delle regole del cristianesimo, certamente nati da stirpe nobile, ma resi ancor più nobili dalla fede. Infatti essi veneravano Dio ed era inevitabile che Dio li esaudisse e desse al popolo che lo cercava gioia e prestigio, a quel popolo che cercava il volto del Dio di Giacobbe (18), come sta scritto: “Amate il Signore voi tutti suoi santi, poiché il Signore cerca la verità e dona oltre mi­sura a tutti coloro che lo cercano nella verità (19)”. Eccomi, allora, a raccontarvi in modo breve, ma, come il corpo di san Simeone sia giunto a Venezia.

Poiché Dio, Signore nostro, re dei re e signore dei signori, punisce la colpa dei padri nei figli (20), avendo esaurito la pazienza nei confronti del regno dei Greci per le loro azioni, spinse il doge di Venezia e il conte di Fiandra a fargli guerra, per deporre il superbo ed esaltare gli umili (21), abbattere i cattivi e donare la pace ai buoni. Quindi, il doge di Venezia, Enrico Dan­dolo, uomo prudentissimo nell’agire e nel parlare, perfetto oratore, molto attento nelle deci­sioni, per sua iniziativa e con l’aiuto della grazia dello Spirito Santo, assieme al suo alleato, il conte di Fiandra, e ad altri principi, che avevano scelto di partecipare alla quarta crociata (22), volendo ristabilire la giustizia e riporre così sul trono dei suoi padri il figlio dell’imperatore, che era stato malamente scacciato ed esiliato, dichiarò guerra all’usurpatore. Arrivati quindi con le navi fin sotto le mura della città, dopo un coraggioso assedio le distrussero, salirono su di es­se e vi appiccarono il fuoco. Riuscirono così vincitori nella battaglia ed occuparono la città e il regno (23).

Presa la città, come è abitudine presso nessuno dei mortali, alcuni saccheggiarono le case, i palazzi, e gli edifici pieni d’oro e d’argento. Proprio nello stesso esercito, c’erano anche sette concittadini di Rialto. Erano sette, come sette sono i doni dello Spirito Santo, e per que­sti doni cominciarono ad aver fame e sete di giustizia, come il Signore dice nel Vangelo: “Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia, perché di loro...” (24). Infatti come è detto so­pra, essi avevano tutti questi doni: lo spirito di sapienza e di intelletto, lo spirito di consiglio e di fortezza, lo spirito di scienza e di pietà, lo spirito del timor di Dio (25). Possedevano lo spirito di sapienza, perché per sapienza si proposero di fare queste cose. Possedevano lo spirito d’intelletto, perché per buon intelletto disposero di fare ciò, come sta scritto: “Mettere in pra­tica le sue leggi è frutto di intelligenza” (26). Possedevano lo spirito di consiglio, perché presero tale decisione, che non venne abbattuta né riprovata, ma confermata e approvata, come sta scritto: “Il consiglio di Dio rimane in eterno” (27). Possedevano lo spirito di fortezza, perché sono diventati così forti da non temere la spada, né il pericolo e nemmeno, che è ben più grande, la stessa morte; ricordavano infatti quel precetto del Signore che dice nel Vangelo: “Non ab­biate timore di quelli che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima” (28). Possedevano lo spirito di scienza, perché illuminati da Dio erano convinti di servire Dio operando in quel modo, e così senza alcuna esitazione lo servivano. Possedevano lo spirito di pietà, perché re­ligiosamente, con un cuor solo ed un’anima sola compirono quell’opera con l’aiuto di Dio. Pos­sedevano lo spirito del timor di Dio, perché fiduciosi in Dio non dubitarono di poter raggiun­gere un così grande e preziosissimo tesoro, come dice il sapientissimo Salomone: “Chi teme Dio compie opere buone” (29), e il salmo “A chi teme Dio, nulla manca” (30). Ed infatti nulla mancò loro, perché, per quanto fossero in numero di sette, tuttavia erano come uno solo, poiché un solo spirito e una sola fede avevano di trovare il corpo del santissimo Simeone, profeta del Signore. I nomi di questi rispettabili uomini sono questi. Il primo si chiama Andrea Balduino; il secondo Pietro Steno; il terzo Marino Calbo; il quarto Leonardo Steno; il quinto si distingueva come Angelo Durazo; il sesto Nicolò Feretro e l’ultimo Leonardo Moro. Ma torniamo a scrivere della loro impresa: come fecero giungere a Venezia il corpo del Santo profeta Simeone.

Un giorno, mentre alcuni di questi sette appena nominati si trovavano a bordo della loro nave, uno di loro, Andrea Balduino disse a Pietro Steno: “Messer Pietro, ho sentito dire da molti che il corpo del beato Simeone giace in questa città, ma ignoro il luogo della sua tomba. Se fosse predestinato da Dio che noi potessimo trovano, sarebbe per noi una grande grazia”. Pietro, pieno di grande gioia, gli rispose: “Grazie a Dio: hai ricordato bene. lo, infatti, quando due anni fa venni in questa città, in compagnia di messer Matteo Steno, uomo religio­so, mi fermai a pregare nella chiesa di S. Simeone ed egli mi mostrò il luogo della sua tomba. lo però non conosco la strada per arrivare a quella chiesa. Se mi conducessero alla chiesa di Santa Sofia, potrei poi arrivare fin là. Ma poiché noi da soli non saremmo capaci di compiere una tale impresa, coinvolgiamo anche i nostri soci ed amici”. Dopo aver detto ciò, pregò Dio e disse: “Signore Gesù Cristo che hai detto ai tuoi discepoli: “Senza di me non potete fare nul­la” (31), per la tua santa misericordia sii con noi e dacci la forza di portare a’ compimento il no­stro desiderio”. Rispondendo, tra le lacrime, Andrea disse: “Amen”.

Allora Andrea Balduino, ispirato dalla forza dello Spirito Santo, assieme al suo compa­gno Pietro Steno, convocò compagni ed amici e quanti più poté tra coloro che abitavano vici­no alla chiesa del beato Simeone presso Rialto: rintracciò dodici uomini, onesti e religiosi, che aderirono alla decisione presa con Pietro Steno. Appena vennero a conoscenza dell’idea, gioirono grandemente e insieme alzarono le mani al cielo e pregando dissero: “Signore Iddio, Padre onnipotente, che mostrasti mirabilmente ai tre Magi, grazie a una straordinaria stella, la strada per Betlemme, luogo della nascita del tuo unigenito Figlio, il salvatore nostro, il Si­gnore Gesù Cristo, e , insieme a tuo Figlio, venuto al mondo in modo del tutto singolare, ac­cettasti, come mistici doni, l’oro, 11ncenso e la mirra, rivolgi le orecchie della tua misericordia alle nostre preghiere, perché con la guida della tua grazia, siamo capaci di giungere al luogo dove riposa il beatissimo Simeone, per poter onorare il suo corpo e trasportarlo nel nostro paese senza alcun impedimento con gioia e letizia, di modo che l’intera città di Rialto, dotata di così grande tripudio, innalzi lodi e glorifichi il tuo nome benedetto nei secoli dei secoli. Amen”.

Terminata quindi la preghiera, Andrea Baldoino, Pietro Steno e Marino Calbo, insieme agli altri, andarono fino alla chiesa di santa Maria (32), vicino a quella di santa Sofia, ed esplo­rando di qua e di là girarono attorno a tutto il tempio. Finalmente trovarono nella cripta il prezioso corpo che cercavano, giacente in un’arca di marmo. A destra inoltre c’era un’altra ar­ca in cui giaceva il corpo di san Giacomo il giusto; a sinistra invece c’era l’arca nella quale gia­ceva il santo corpo di Zaccaria, profeta del Signore. Sulla parete dietro l’arca del giusto Si­meone c’era un ammirevole mosaico con la sua immagine, secondo la rappresentazione di quando prese tra le sue braccia il bambino Gesù presentato al tempio dalla santissima ma­dre (33). Davanti all’altare c’era un pozzo profondo, non di acqua di infiltrazione, ma di acqua sorgiva. Per virtù delle sante reliquie era così bello che sembrava che in esso brillasse una lu­ce come un cero acceso che lo illumina a giorno, nessun spergiuro (34) poteva vedere questo portento. O cosa meravigliosa e grande manifestazione di santità! Chi non era spergiuro po­teva vedere, chi lo era non vedeva nulla. In questo fatto, carissimi, possiamo comprendere quale grande peccato sia essere spergiuri. Teniamoci distanti. carissimi, dallo spergiuro e da ogni peccato, per essere degni di vedere un raggio del suo splendore.

Dopo che ebbero perlustrato ogni cosa, secondo quello che ognuno poteva fare, tor­narono alla nave; qui sotto giuramento si garantirono l’un l’altro, che nessuno di loro rivelasse questo segreto. Era intanto vicina la Pasqua. Stabilirono allora di andare la domenica delle Palme e di prendere quel desiderato tesoro, poiché mentre tutta la gente era occupata a ce­lebrare la festa, così più facilmente e con più sicurezza avrebbero potuto realizzare il loro de­siderio. E decisero bene di fare ciò in tale giorno, con l’aiuto della grazia dello Spirito Santo, come dice la Scrittura: “Ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall’alto e discende dal Padre della luce” (35).

Non era ancora terminata l’aurora del giorno delle Palme che Andrea Balduino disse ai suoi compagni: “Orsù, soldati di Cristo, fatevi coraggio e rinsaldate i vostri cuori, sperate nel Signore e non abbiate paura della morte del corpo né di perdere un guadagno, ma con la massima fiducia in Dio siate audaci, poiché l’audacia è come un muro di sicurezza”. E quelli tutti rispondendo quasi con una sola voce dissero: “Chi ha paura, vada in rovina, perché il ti­more suppone un castigo! Infatti chi teme, come dice la Scrittura, non è perfetto nell’amore” (36). Quindi rassicurati tutti e dodici, intrapresero il beato cammino. Tuttavia per poter andare più nascosta mente e con più sicurezza si divisero così: cinque andarono per una strada e sette per un’altra. O Dio, quanto sono incomprensibili i tuoi giudizi! (37) Beati infatti so­no coloro ‘che tu hai scelto, o Signore! (38) Infatti recandosi al luogo stabilito, cinque di essi si smarrirono e non riuscirono in alcun modo ad arrivare; gli altri sette, di cui prima abbiamo ri­cordato i nomi, invece, con l’aiuto della grazia dello Spirito Santo, giunsero con gioia al luogo predestinato.

Allora Andrea Balduino e Pietro Steno dissero ai loro compagni: “Fratelli e amici, ciò che dobbiamo fare, facciamolo rapidamente, perché ogni cosa buona va fatta con sveltezza. Qualcuno di voi rimanga di guardia davanti alle porte e con circospezione guardi di qua e di là, perché chi cammina con prudenza, procede senza timore (39); e se, per caso, arrivasse qual­cuno, fateci un segnale”. E tutti rispondendo dissero: “Avete parlato bene e faremo ciò volen­tieri. Ora il Signore porti a buon fine il nostro desiderio”.

E come avevano deciso, così fecero: quattro si separarono per andare a far la guardia alle porte, e tre, entrati nella cripta, si avvi­cinarono all’arca.

Tuttavia timorosi e incerti sul da farsi, si esortavano l’un l’altro a percuotere la pietra che copriva la tomba, ma nessuno per paura osava farlo. Visto che tardavano, quelli che era­no di guardia alla porta li chiamarono. Allora, con timore e una certa titubanza, uscirono dalla cripta e andarono da loro, temendo che fosse arrivato qualcuno. Gli chiesero se avessero fi­nito il lavoro. Risposero di no. Allora li rimproverarono dicendo loro: “Dov’è la vostra audacia, se siete uomini? Andate! E nel nome del Signore, portate a termine la vostra impresa, consa­pevoli che il Signore è con voi. E’ meglio infatti per voi morire piuttosto che andar via senza aver conquistato questo prezioso tesoro”. Rassicurato il loro animo quindi i tre tornarono all’arca. Uno di loro, Andrea Balduino, senza indugio, afferrato un martello, colpì la pietra che era sopra l’arca e con un sol colpo la divise in due parti. E così, tolta una parte della pietra, aprirono il sepolcro. Una volta apertolo, trovarono un’altra grande arca, ma di piombo, e su­bito l’aprirono. Guardandovi dentro con grande curiosità, videro all’interno ancora una cassa di piombo senza coperchio, essendo ormai completamente rovinate a causa della ruggine le lamine di ferro che la chiudevano tutto intorno. Appena la videro, furono pieni di gioia, e con le mani alzate al cielo dicevano: “Ti rendiamo grazie, Signore Iddio, che ti sei degnato di far conoscere a noi la tua misericordia mostrandoci il prezioso tesoro, oggetto del nostro desiderio”.

Allora disse loro Andrea Balduino: “lo ho fatto la mia parte aprendo le varie casse; adesso voi completate quanto resta da fare”. In risposta, uno dei compagni, Pietro Steno, dis­se: “Nel nome di Gesù Cristo nostro Signore, per quanto io non ne sia degno, tuttavia lo farò per la fede che ho in Lui. Spero infatti in Dio e nel beato Simeone profeta che questo sia il mio compito, come mi è stato rivelato in questa stessa notte in una visione: mi sembrava di essere con don Leonardo, parroco della chiesa di S. Simeone in Rialto, e che egli dovesse ce­lebrare la messa, e che non ci fosse nessuno a servirla, se non io soltanto”. Gli risposero i compagni: “Ciò che hai visto significa che sei tu che, in nome del Cristo, devi entrare e pren­dere le sacre reliquie”. Allora Pietro, inginocchiatosi sul pavimento e alzate le mani al cielo co­sì pregò: “O santissimo profeta Simeone, che hai avuto il privilegio di portare in braccio il Si­gnore e salvatore nostro Gesù Cristo, vera luce per illuminare le genti e gloria del suo popolo Israele, non guardare ai miei peccati, ma per la tua misericordia rendici degni di prendere con le nostre mani le tue preziosissime membra, per trasportarle nel nostro paese, in modo che noi e la nostra discendenza possiamo sempre onorare te per così grande grazia e insieme a te degnamente benedire il Dio degli dei, che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen”.

E avvenne che mentre toccavano le ossa del santo Simeone, si diffuse un soavissimo profumo, come balsamo che discende sul corpo (40), e riempì tutta la chiesa. E poiché gli stessi loro compagni che custodivano le porte, lo sentirono e per la gioia, mista al timore che per caso qualcuno non arrivasse in quel momento, esclamarono: “Fate presto e abbiate fiducia, perché Dio è con noi”. E dopo aver preso le reliquie del santo Simeone, trovarono nella stessa cassa una piccola ampolla di marmo, aperta la quale trovarono un dente del santo Simeone e un anello rotto a metà. Trovarono anche un’altra ampolla che conteneva il preziosissimo latte della Vergine Maria. Seppero identificare tutte queste cose. Raccolte allora rapidamente le re­liquie, corsero in fratta alla nave e posero tutto in una cassa di legno assieme a dei profumi e l’affidarono in custodia al fedelissimo Nicola Fereto, che la conservò con ogni cura e rispetto. Ma poiché la città posta sopra un monte non può rimanere nascosta, come non si può na­scondere un lume posto sopra un candelabro, a Dio piacque rivelare con segni prodigiosi que­ste sacre testimonianze. Infatti per la maggior parte della notte, illuminava con un grande fulgore tutti quelli che dormivano sulla nave e la maggioranza di quelli che erano svegli ve­dendo una tal luminosità, rimanevano ammirati.

In quei giorni poi uscì un editto del doge dei Veneti, Enrico Dandolo, e degli altri prin­cipi dell’esercito che ordinava che tutte le imbarcazioni fossero tratte a terra in modo che tutti gli uomini, in quelle regioni straniere, fossero al sicuro. I nostri uomini fortemente colpiti da quell’ordine, ma non potendo fare diversamente, presero la cassa con tutto il suo contenuto e la portarono in un palazzo, che era stato prima di un greco molto potente, e nel quale c’era un piccolo oratorio, e la posero nell’altare. Qui c’era anche una vecchia donna di origini gre­che, molto religiosa, che custodiva la chiesa illuminandola e offrendo incenso: a lei si rivolsero e la pregarono perché, a loro spese, illuminasse bene la chiesa e la incensasse più di prima. Questo fecero per le sacre reliquie, che qui avevano collocato e che per sei mesi rimasero presso quella donna che comunque non conosceva il contenuto di ciò che custodiva.

Nel frattempo ci si chiedeva dove fosse finito il corpo del beato Simeone e il malumore dei Greci era così grande che la questione arrivò all’orecchio del doge e degli altri capi, che a questo proposito emanarono un decreto che chi avesse trovato quelle reliquie avrebbe rice­vuto un premio in oro. Allora il Signore rese forte il cuore di quegli uomini perché nessuno di loro fosse sedotto dall’amore per il denaro, ma rimanessero tutti saldi nel buon proposito.

Finché uno di loro, un certo Angelo Drusari0 (41), ebbe in sorte il permesso di ritornare in patria. Gli altri compagni gli consegnarono allora la cassa con tutte le reliquie, pregandolo di portare a buon fine l’opera intrapresa consegnandole a don Leonardo, parroco di San Simeone e a ogni chierico che svolgesse il proprio ministero nella medesima chiesa. Unita alle spoglie del santo profeta mandarono al parroco una lettera che conteneva il racconto ordinato di come erano state trovate le reliquie. Il Drusario, con l’aiuto di Dio, in breve tempo portò bene a compimento il suo incarico.

Di quanto tripudio e di quanta gioia si sia riempita la città di Venezia, e quante meravi­glie durante il viaggio in mare il Signore si sia degnato di mostrare, nessun uomo e nessuna lingua sarebbe capace di raccontarlo. E così, ricevuto le reliquie del santo Simeone, il parroco don Leonardo e gli altri chierici, pregarono sua eccellenza Benedetto Faletro, allora Patriarca di Grado e sua eccellenza Marco Nicola, vescovo di Castello (42), di venire a riporre in chiesa questa preziosa testimonianza di fede. Essi vennero solennemente in processione insieme a una moltitudine di popolo e, pieni di gioia, con grande onore e devozione, prepararono con preziosi profumi le reliquie e le misero in un’arca di marmo dietro l’altare nella chiesa di San Simeone in Rialto. Qui si innalzano preghiere tino ai giorni nostri.

Così è stato trasportato il santissimo corpo di Simeone profeta del Signore, insieme ad altre reliquie, da Costantinopoli in Venezia nell’anno 1204 (43), dall1ncarnazione del Signore No­stro Gesù Cristo, al quale sia onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

“Qui si innalzano preghiere fino ai nostri giornil”. Ecco come una storia iniziata lontano un po’ alla volta ci coinvolge fino ad arrivare ad oggi.

Nell’urna in cui arrivò a Venezia, il santo Simeone riposò per 114 anni, poi si volle dar­gli una più degna dimora. I donatori furono gli stessi abitanti della parrocchia, sollecitati dal parroco, Pietro Ravacaulo, sotto la protezione del vescovo di Castello, Giacomo Albertini, e dei suoi colleghi di Caorle, Jesolo e Torcello. La statua giacente del santo, assieme all’antico sar­cofago e alle preziose iscrizioni, è ciò che rimane a memoria e testimonianza della venerazio­ne dei fedeli verso il corpo del santo profeta (44).

A questo punto, possiamo riprendere le parole pronunciate dall’attuale patriarca Angelo in occasione della sua visita alla parrocchia proprio per la festa del patrono, senza dimenticare comunque tutti coloro che l’hanno preceduto e lo seguiranno nel celebrare l’eucarestia in questa nostra chiesa: “Che figura splendida, che grande Patrono voi avete! Quale possibilità eccezionale di educazione e di solidità e di speranza nella vostra esistenza quotidiana! Quale modello per le famiglie, per i giovani, per gli anziani, per i ragazzi di questa comunità! S. Si­meone, che voi da tanti secoli e giustamente per una concessione benevola di qualche tempo fa, lo fate nelle vicinanze della Presentazione di nostro Signore al tempio, per rimarcare che fa forza di questo santo è stata la vigile attesa della promessa di Israele che ha potuto, pensate, prendere tra le braccia Gesù, così come noi possiamo mangiare il suo corpo. (...) La libertà carica di attesa del vecchio Simeone diventa figura compiuta dell’esistenza cristiana. Ogni giorno, attraverso le circostanze più elementari della nostra vita, quelle belle e quelle meno belle, quelle evita bili e quelle inevitabili, quelle gioiose e quelle dolorose... attraverso tutte queste drcostanze dell’esistenza il Padre ci invita in Gesù a dire il nostro sì, ad aderire a Lui che ci chiama. E perciò mentre diamo un consiglio al nostro bambino, mentre ascoltiamo un suggerimento di nostra moglie, mentre affrontiamo con serietà il nostro lavoro, mentre ricaviamo un tempo la sera per recitare insieme il Rosario, mentre guardiamo l’esperienza di ma­lattia, di dolore, e di morte del nostro caro, con condivisione e compassione, mentre gioiamo perché i nostri figli si sposano ed edificano una famiglia... attraverso tutte queste circostanze la nostra vita si compie e non è “come una spola che finisce”, ma è realmente un edificio che si abbellisce sempre di più e va verso il suo compimento”.


Omnipotens sempiterne Deus,

qui Unigenitum tuum ulnis sancti Simeonis

in tempio sancto tuo suscipiendum praesentasti,

tuam supplices deprecamur clementiam;

ut, eo interventiene,

in tempo sancto gloriae tuae

praesentari mereamur.


 

Onnipotente eterno Dio,

che presentasti al mondo il tuo Figlio unigenito

tra le braccia del santo Simeone accorso al tempio,

chiediamo con affetto la tua misericordia,

perché, per sua intercessione,


siamo degni di entrare

nel tempio della tua gloria.

Amen!


E la storia continua...


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1 A.CUTlER, Does the Simeon ofLuke 2 refer lo Simeon theson ofHi/leJ?, in "JBR", 34 (1966), pp. 29-35.

2 Protovangelo di Giacomo, 24, 4: "Dopo i tre giorni, i sacerdoti deliberarono chi mettere al suo posto (del sacer­dote Zaccaria), e la sorte cadde su Simeone. Questo, infatti, era colui che era stato awisato dallo Spirito Santo che non avrebbe visto la morte fino a quando non avesse visto il Cristo nella carne".

3  Vangelo di Nicodemo (Recensione latina "A"), 1, 1: "Ed ora ascoltatemi: giacché tutti conosciamo il beato Si­meone, sommo sacerdote, colui che prese nelle sue mani il bambino Gesù, nel tempio. Questo Simeone ebbe due figli (poco più avanti chiamati Carino e Leucio) e tutti noi siamo stati alla loro sepoltura. Andate, dunque, a vedere i loro sepolcri: sono aperti, poiché essi risorsero, ed ecco si trovano nella città di Arimatea ed abitano in­sieme in preghiera...".

4 DE LA VALLEE POU55IN, L, Le Buddhisme et les Evangiles canoniques, in "Revue Biblique", 1906, pp. 353-55; CLEMEN, c., Buddistische Einfliisse im N. Test, in "Zeitschrift f. neutest. Wissensch. ", XVII (1916), p. 128-55.

5 RAVASI, G., Videro il Bambino e sua Madre. Meditazioni bibliche, Milano 19943, pp. 126-127.

6 Acta 55. Octobris, IV, Bruxelles 1780, p. 11.

7 Vangelo dello Pseudo-Matteo, 15, 2. AI termine della profezia di Simeone, il codice B procede ancora così: "E avendo centododid anni e potendosi reggere a stento, portò il fanciullo sulle sue braccia fino all'altare del tem­pio del Signore. Il vecchio portava il fanciullo, ma il fanciullo reggeva il vecchio. Allora Gesù disse: «La tua pre­ghiera è stata esaudita, Simeone». E tutti i maestri rimasero stupiti delle parole dette dal fanciullo'.

8 MOLTMANN, J., Teologia della speranza, Brescia 1970, p. 14.

9 Cfr. BROWN, R.E., l.iJ nascita del Messia secondo Matteo e Luca, Assisi 1981, pp. 628-630.

10 Acta ss. Octoblis, IV, Bruxelles 1780, p. 17.

11 OPRIANO, De mortal/tate, 3: "visto il bambino, seppe che sarebbe morto di lì a poco. Allora, contento per la morte che si awicinava e sicuro del vicino trapasso, prese il bambino tra le braccia...".

12 ADAMNANO, De locis sanctis, I, 13.

13 GREGORIO DI TOURS, Oe Gloria Martyrum, 27, in Acta ss. Octobris, IV, Bruxelles 1780, p. 17.

14 Cfr. Guida di Terra Santa, Gerusalemme 1992, pp. 123-124.

15 ANDREA DANDOLO, Chronica per extensum descripta, ed. E. PASTORELLO, Bologna 1942 (Rerum Italicarum Scriptores, XII,1), p. 280, Il. 18-20.

16 Si tratta del manoscritto Gerti 26, un codice agiografico del X'N->N secolo, finora pressoché sconosciuto. La Traslatio corporis Beati Simeonis è stata recuperata dallo studioso Paolo Chiesa, che ne ha poi curato il testo critico e la relativa presentazione nell'articolo: Ladri di reliquie a Costantinpoli durante la quarta crociata. La trasla­zione a Venezia del corpo di Simeone profeta, in "Studi Medievali", 3° serie, Anno XXXVI, Fasc.I, Giugno 1995, pp.431-459.

17 Il testo latino della Traslatio Corporis Beati Simeonis Prophete viene proposto nella traduzione italiana del dotto Giampaolo lotter, con la collaborazione di don Luigi Vitturi.

18 Cfr. Salmo 23(24), 6. Anche nel seguito del testo, le citazioni bibliche sono date secondo il testo della Vulgata.

19 Cfr. Salmo 30(31),24. 10

20 Cfr. Esodo 20, 5.

21 Cfr. Luca l, 52.

22 L'espressione "accipere crucenf' è tecnica, per indicare coloro che accettavano l'invito del pontefice a parteci­pare alla liberazione di Gerusalemme e del Santo Sepolcro in particolare.

23 Questa introduzione a carattere storico e morale risente certamente del modo di pensare del tempo e riporta la versione dei fatti in modo non del tutto obiettivo. Per una più completa e sdentifica ricostruzione degli eventi della quarta crociata, si veda MESCHINI, M., 1204. L'incompiuta. La IV crociata e le conquiste di Costantinopoli, Milano 2004.

24 Cfr. Matteo S,6.

25 Cfr. Isaia 11, 2 - 3.

26 Cfr. Salmo 110(111), 10

27 Cfr. Salmo 32(33), 11

28 Cfr. Matteo 10, 28.

29 Cfr. Ecclesiastico (Siracide) 15, 1.

30 Cfr. Salmo 33(34), 10.

31 Cfr. Giovanni 15, 5.

32 La chiesa era effettivamente ubicata a breve distan2a da santa Sofia, in dire2ione nord-ovest. Della reliquia di 5imeone in essa conservata parlano il patriografo De aedifidis (Scriptores originum CostiJntinopo/itiJnarum, ed. Th. PREGER, Leipzig 1907, p. 263), il Sinaxarium Constantinopo/itanum (ed. H. DELAHAYE, Bruxelles 1902, coli. 439-440 e 158) e il cosiddetto Anonymus Mercati (edito da K.N. OGGAAR, Une description de Constantinop/e traduite par un pè/erin ang/ais, in "Revue des études byzantines", 4 (1976), pp. 211-267).

33 Nell'area della chiesa di Santa Maria in Chalcoprateia, in un edificio sotterraneo di forma ottagonale, indivi­duato verso la metà del novecento, furono ritrovati due frammenti di affreschi appartenenti al cido dell'Infanzia di Gesù. Gli affreschi risalivano all'epoca dei Paleologi, e non possono quindi avere attinenza con i mosaici visibili nel 1204. Il Mango (Note on Byzantine Monuments, in "Dumbarton Oaks Papers", 23-24 (1969-1970), pp. 369­372) ritiene che l'edificio in questione fosse appunto la cripta dov'era conservato il corpo di san zaccaria (e quindi di 5imeone); dato il soggetto degli affreschi, !'Ipotesi è assai verosimile.

34 L'insistenza che viene data a questo termine fa pensare che l'autore della Traslatio abbia voluto lasciare un segno della credibilità del suo racconto.

35 Cfr. Giacomo 1, 17.

36 Cfr. I Giovanni 4, 18.

37 Cfr. Romani 11, 33.

38 Cfr. Salmo 64(65), 5.

39 "Qui sapienter ambulat vadit confidente/': questa espressione a chiasmo, di sapore certamente popolare, che richiama anche l'odierno proverbio: "Chi va piano va sano e va lontano", può essere indice della "popolarità" del testo in esame.

40 Cfr Salmo 132(133), 2

41 Nel testo il nome è citato due volte, come Durazo o Drusario. Abbiamo preferito la forma adottata dal Dando­lo, la cui testimonianza precede cronalogicamente la composizione del codice Braidense, dove è contenuta la Tras/atio. Il Sandinelli, nel suo libro di memorie, datato 1877, afferma: "lo noterei in appendice alla storia della traslazione che nel Catastico Bonsaver, n° 30, si fa menzione della famiglia Drusago, la cui casa nel 1284 confi­nava con quella del pievano. Potrebbe essere che il summentovato Angelo Drusento o Drusiaco appartenesse a questa famiglia che abitava così vie no alla chiesa, e avendola quindi probabilmente frequentata, nel visitare poi a Costantinopoli il copro del Santo Titolare, siasi dato premura di farto portare a Venezia e collocare in questa sua chiesa". Il Catastico Bonsaver, datato 1542, raccoglie la trascrizione di documenti precedenti a questa data. Il n° 30 riporta la trascrizione di un documento del 1284 di una disputa tra il parroco 5erafino Lombardo e un certo Andrea prusario, che abitava vicino alla casa canonica.

42 E' questo un particolare che dà credibilità al racconto: Benedetto Faledro e Marco Nicola, che partecipano alla sepoltura del corpo di San Simeone, ressero rispettivamente il patriarcato di Grado e l'episcopato di Castello dal 1199 al 1215 e dal 1181 al 1229. Compare solo qui invece il nome del parroco Leonardo. Nel 1208 a San Simeo­ne è attestato un parroco di nome Nico/aus, ma nulla sappiamo degli anni precedenti.

43 Il racconto dice che il giorno prescelto per l'azione fu una Domenica delle Palme, mentre le navi veneziane erano alla fonda nel porto di Costantinopoli dopo la presa della città. Il giorno in questione è certamente il 18 aprile 1204. Il testo latino recita: "curente anno domini mi/esimo ducentesimo tercio, indictione septima". L'indizione è un periodo cronologico di 15 anni e il punto di partenza è il 313 d.C., anno dell'Editto di Costanti no. La prima "settima indizione" del 1300 cade nel 1304. Si può supporre che il 1203 sia da attribuire all'errore di un copista oppure sia sorto in relazione al trasferimento delle reliquie all1nterno della chiesa. La lapide posta dietro la statua del santo, nella odierna cappella del Sacro Cuore, afferma che lo spostamento delle reliquie awenne anno incarnationis MCCCXVlI, mense Februarii, die 1111, indidione prima, e segnala che questa data ricorreva 114 anni dopo l'arrivo del corpo nel 1203. Anche se 11ndizione prima ricorreva nel 1318, non ci troviamo questa volta in presenza di una incongruenza tra il dato indizionale e l'anno dell'era volgare, perché potrebbe essere usato qui il cosiddetto "stile veneto" di datazione, secondo il quale l'anno ab incamatione veniva computato a partire dal 1 marzo: quello che per noi è il 4 febbraio 1318 rientrava perciò ancora nell'anno veneto 1317. In so­stanza, chi redasse la lunga memoria sullo spostamento delle reliquie sapeva che esso era avvenuto nel 1317 (in stile veneto, cioè 1318) e leggeva che il santo era rimasto 114 anni nel sepolcro originario, e così scriveva nell'epigrafe.

44 Un sarcofago, con la figura giacente del santo, sull'altar maggiore della chiesa, venne descritto nel primo seicento dallo Stringa: "Il corpo Santo di Simeone, giace in un sepolcro di marmo posto sopra l'altar mag­giore, con la figura di esso santo distesa sopra il sepolcro". Il 12 dicembre 1773, durante alcuni lavori, fu sco­perto nel pavimento della chiesa il sarcofago che oggi si trova sotto la figura giacente, e sulla base dell1scrizione sulla sua parte frontale si concluse che era quello in cui il santo avrebbe riposato per 114 anni. Nel 1765 l'altar maggiore fu rifatto e il sarcofago, oggi perduto, datato dall"lSCrizione del 1318, fu posto sotto la mensa dell'altare (CAPPElLETTI, G., liI chiesa di S.Simeone profetiJ vulgo il Grande descritta ed illustratiJ, Venezia 1860, p. 31). Pare che a quel tempo si sistemasse sotto la mensa anche la grande epigrafe, poiché fu allora che si ruppe, per via del peso dell'altare barocco. In data sconosciuta, probabilmente alla fine del 1800, il sarcofago più antico, la grande iscrizione e la figura giacente furono collocate nella cappella a sinistra del presbiterio, mentre l'iscrizione più piccola si trova ancora sotto la mensa dell'altare.

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