Parrocchia San Simeone Profeta -
Venezia
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“C’ERA UN UOMO DI NOME SIME0NE...” (Lc
2,25)
Carissimi,
siamo tutti affezionati a San
Simeone, patrono della nostra comunità parrocchiale. E’ un santo “antico”. Di lui,
con certezza, si conosce solo quello che ci racconta Luca nel suo vangelo, ma
tante sono le tradizioni che lo riguardano e che per vie diverse sono giunte
fino a noi. E proprio queste tradizioni, che raccontano parte della nostra
storia e della nostra fede, della storia e della fede anche di chi ci ha
preceduto, sono diventate delle gradite e fidate compagne di viaggio.
Sono contento di mettervi tra
le mani queste poche pagine, frutto di una breve, ma piacevole ricerca. Non
vogliono certo essere esaustive, ma una specie di diario di viaggio, degli
appunti che prima erano sparsi di qua e di là e che ora trovano una
sistemazione, per altro non ancora definitiva.
Sono grato a tutti coloro che,
studiosi affermati o semplicemente persone “curiose” della storia della propria
comunità, hanno raccolto materiale, lo hanno studiato e ne hanno fatto
l’oggetto dei propri interessi, e, perché no, anche del proprio affetto, perché
il primo passo per conoscere la propria storia è cominciare ad amarla.
Spero’ che questo piccolo
lavoro, possa spingere chi lo legge a rinnovare il proprio affetto per la
comunità di cui fa parte.
don
Luigi
Quella che
voglio raccontare è una storia bella e affascinante, anche se con qualche “buco” visto il tanto tempo trascorso
e le fonti molto lacunose. E’ una storia che parte da molto lontano sia nel
tempo che nello spazio e che, coinvolgendoci, arriva fino a noi. E’ la storia
di un uomo chiamato Simeone...
Appare improvvisamente sulla scena
del vangelo di Luca, già avanti negli anni, descritto come un “uomo giusto e
pio”, ma oltre a questo, di lui sappiamo poco o niente. Tanto che questa
povertà di notizie sulla sua vita ha prodotto, fin dall’antichità, tutta una
serie di ipotesi, alcune anche molto fantasiose.
Qualcuno ha pensato che Simeone
fosse uno di quegli uomini che da Gerusalemme furono inviati ad Alessandria
d’Egitto, presso Tolomeo Filadelfo, per tradurre dall’ebraico in greco,
l’Antico Testamento. Se così fosse, il “vecchio” Simeone avrebbe avuto più o
meno la bella età di trecentocinquant’anni.
Il Talmud ci ha
tramandati i nomi e i ritratti di rabbini ebrei contemporanei di Gesù. Fra essi
vi è un Simeone, il cui ritratto corrisponde perfettamente a quanto conosciamo
del personaggio di Luca. E’ il figlio del famoso rabbi Hillel e il padre di
Gamaliele, maestro di Paolo. Lo studioso A.Cutler, in suo lavoro (1), fa notare che anche questo
Simeone era molto interessato alla venuta imminente del Messia. Inoltre anche
alcune tradizioni giudeo-cristiane sono favorevoli a questa identificazione.
Siccome, però, secondo la tradizione, Hillel morì verso il 13 d.C., a circa
centovent’anni, e tutto il contesto proposto da Luca presenta Simeone come una
persona avanti negli anni, anche questa identificazione è assai discutibile
Simeone, secondo Luca, dopo
aver preso Gesù tra le braccia, benedice Maria e Giuseppe e questa sua azione
ha fatto pensare che fosse un sacerdote. Nella Bibbia, invece, non occorre
esercitare il sacerdozio per dare una benedizione. Basti ricordare Giacobbe,
che benedice i suoi figli prima di morire, come racconta il capitolo 49 della
Genesi. Se Simeone fosse stato un sacerdote, Luca non avrebbe tralasciato
questo particolare. Dei vangeli apocrifi, il Protovangelo di Giacomo (2)lo chiama sacerdote, il Vangelo
di Nicodemo, (3)invece, lo indica come “sacerdos
magnus’, padre di Carino e Leucio che sarebbero stati poi risuscitati da
Gesù, al momento della sua discesa agli inferi.
Un’altra tradizione antica
presenta Simeone come un cieco che riacquista la vista quando prende Gesù tra
le braccia. Ma anche questa possibilità sembra più un commento alle parole
dello stesso Simeone, quando dice: “Ora lasciami andare, o Signore, perché i
miei occhi ti hanno visto”.
Ancora più fantasioso è il
tentativo di alcuni studiosi delllnizio del secolo scorso di vedere nella
figura di questo Simeone il riflesso di un episodio relativo alla nascita di
Buddha: quando questi nacque, un solitario del Himalaya, di nome Asita, ne ebbe
annuncio dagli dei; si recò allora al villaggio dov’era nato e qui gli fu
mostrato il bambino, che egli prese tra le braccia piangendo e profetizzando la
sua missione futura. La massima parte degli studiosi si rifiuta di vedere una
qualsiasi influenza di questo episodio indiano sulla figura del vecchio Simeone
(4).
Non abbiamo quindi notizie
certe sul santo profeta, possiamo solo affidarci alle parole di Luca,
immaginando un po’ la sua vita in quel particolare momento.
Simeone, ormai avanti negli
anni, sedeva, ogni giorno, in casa sua, a Gerusalemme o nelle sue vicinanze, e
pregava in silenzio, in attesa di un segno che gli indicasse la fine della sua
attesa. Era un uomo giusto e pio, un timorato di Dio, e aspettava la
consolazione di Israele, aspettava di poter dire, con il paziente Giobbe, “lo
ti conoscevo per sentito dire, ora i miei occhi ti hanno visto” (42, 5). La
vita di Simeone è la storia di un’attesa e di un incontro sorprendente,
un’attesa che non viene delusa proprio da quell’incontro.
Simeone appartiene al popolo
degli ‘anawim, i “poveri” di Jahweh; egli infatti è descritto come
“giusto e timorato di Dio”. La sua caratteristica più profonda è, quindi, la
fede, la fiducia, l’abbandono in Dio. Questo vecchio raccoglie in sé la lunga
attesa della speranza nella venuta del Messia: “Prorompete insieme in canti
di gioia, perché il Signore ha consolato il suo popolo’, cantava secoli
prima il profeta Isaia (52, 9). La quotidianità in cui Simeone vive non gli
impedisce di tenere lo sguardo fisso verso l’orizzonte, verso la consolazione,
verso la rivelazione della gloria. Anche se il presente è senza sole, egli è
certo che l’alba spunterà; Dio infrangerà il suo silenzio, la notte oscura
sarà diradata, all’inverno subentrerà la primavera. Anche se “avanti negli anni”
come Zaccaria, Elisabetta ed Anna, la fiaccola della speranza e la giovinezza
nello spirito in lui non si sono attenuate. Simeone ha in sé la fiamma dello
Spirito Santo che lo rende sempre vivo, forte, aperto al futuro.
E mentre Simeone prega e
aspetta, Maria e Giuseppe decidono di portare al tempio il bambino Gesù, per
fare ciò che chiedeva la legge. E’ il fondale dell’incontro, un fondale molto
quotidiano, anche se questa è la prima visita del Signore nel suo tempio. Gesù
bambino entra con i suoi genitori come un semplice e povero membro del popolo
dell’Alleanza. Maria, come scrive Ravasi, “obbedisce alle norme legali e
rituali, sottoponendosi alle prescrizioni della legge che per quaranta giorni
dal parto la tenevano lontana dal tempio perché impura. Il quarantesimo giorno
doveva recarsi al tempio e, nell’atrio delle donne, alla porta di Nicanore, era
dichiarata pura da un sacerdote. Per la cerimonia era imposto il sacrificio di
un agnello e di una colomba. Per i poveri, per i quali l’agnello era un lusso
eccessivo, si poteva ricorrere a due colombe, stancamente ricevute da un
sacerdote certamente più attento alla purificazione di un’aristocratica o della
moglie di un collega. Maria è una donna osservante ed è una donna povera. (5).
Mentre Maria e Giuseppe
percorrono la strada che da Betlemme sale al tempio, lo Spirito Santo “soffia”
la notizia >a Simeone quasi nel sogno. Così immagina sia awenuto il fatto
Timoteo di Gerusalemme, un sacerdote e predicatore del VI secolo: “Lo Spirito
svegliò Simeone con queste parole: «Alzati, vecchio, perché dormi? Ecco il
tempo della risposta! Va’ in fretta: infatti viene colui che ti congeda...
viene l’Emanuele. Va’ in fretta al tempio». Allora Simeone, accelerando sempre
di più il passo, quasi volando con il desiderio, reso leggero dallo Spirito,
arrivò al tempio prima di Maria e Giuseppe e si fermò tra l’entrata e
l’interno, sulla soglia, aspettando la rivelazione dello Spirito Santo. Girando
attorno lo sguardo, vide molte mamme che entravano nel tempio con i loro bambini,
per assolvere la legge, e tra loro confusa, c’era anche colei che
portava il frutto dell’attesa. Il giusto Simeone, allora, facendosi largo tra
la folla, diceva: «Lasciatemi passare, perché possa prendere in braccio colui
che desidero vedere con tutto il cuore. Ecco lo vedo e il mio spirito ha
ripreso subito forza. Perchéoffrite all’altare i vostri piccoli? Concentrate
qui il vostro sguardo: è a questo bambino, piùantico di Abramo, che dovete
offrire i vostri figli!» (6).
Anche il vangelo apocrifo dello
Pseudo-Matteo “abbellisce” l’episodio con alcuni curiosi particolari: “Simeone,
visto il bambino, esclamò a gran voce: «Dio ha visitato il suo popolo e il
Signore ha adempiuto la sua promessa». E subito lo adorò, baciandogli le mani e
i piedi (7).
Luca è molto più sobrio e
delicato: “Mosso dunque dallo Spirito, Simeone si recò al tempio; e mentre i
genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le
braccia e benedisse Dio: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace
secondo la
tua parola; perché i miei occhi
hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli,
luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele».” (2,27-31).
In questo incontro così umano -
un bambino nato da poco tra le braccia di un anziano che si sta congedando
dalla vita - si trovano di fronte l’antico e il nuovo tempo non solo in senso
terreno; qui il tempo dell’attesa sfocia nel tempo del compimento: l’anziano
profeta riconosce e annuncia, nella lode di Dio, l’awento del Messia in questo
bambino.
Simeone è un uomo “povero”, è
un uomo dell’attesa, è un uomo dello Spirito: per queste doti è anche profeta
nel senso più pieno della parola, è uno che conosce il mistero di Dio e lo
rivela con la parola. La sua profezia diventa canto: il Nunc dimittis, l”’Ora
lascia”, è un inno brevissimo, una poesia serena e gioiosa, un momento di
abbandono e di fiducia, pronunciato da un uomo che sente giunto per sé un
tramonto pieno di luce e quindi non pauroso. E’ per questa grazia serena e
pacata che fin dal quinto secolo il salmo di Simeone è divenuto la preghiera
serale, il cantico della Compieta. Come una sentinella attende con ansia il
cambio, così Simeone spia la luce perché ormai la sua veglia è finita e ora
potrà dormire nel Signore, entrando nel suo regno.
Il cantico, però, non è un
addio malinconico perché il compito affidato è ormai concluso, è invece un
saluto festoso alla Parola di Dio che ora si compie. E’ quasi un commento alle
parole che Gesù rivolgerà ai suoi discepoli durante il suo ministero: “Beati
gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Vi dico che molti profeti e re hanno
desiderato vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro, udire ciò che voi
udite, ma non l’udirono” (Lc lO, 23-24). Possono essere utili, a questo punto,
alcune parole di J. Moltmann: “Nella vita cristiana la priorità appartiene
alla fede, ma il primato alla speranza. Senza la conoscenza di Cristo che si ha
per la fede, la speranza diverrebbe un’utopia sospesa in aria. Ma senza la
speranza, la fede decade divenendo tiepida e poi morta. Per mezzo della fede
l’uomo trova il sentiero della vera vita, ma soltanto la speranza ve lo
mantiene. Perciò la fede in Cristo fa sì che la speranza diventi certezza. (8).
Nelle parole di Simeone,
“salvezza preparata davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti”, si
concentra tutto il lungo cammino dell’Antico Testamento che dall’elezione di
Israele è giunto a intuire l’alleanza universale per cui in Gerusalemme tutti i
popoli si potessero ritrovare come cittadini: “Verranno molti popoli e
diranno: «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe,
perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri»” (Is 2,
3). Ora quel filo di speranza che percorreva la Bibbia giunge a questo
bambino. L’impegno missionario della comunità cristiana parte dalla convinzione
che Cristo vuole essere “luce per illuminare le nazioni”.
La reazione di Maria e di
Giuseppe di fronte alle affermazioni di Simeone su Gesù è lo stupore e la
meraviglia, e in questa situazione carica di emozione, l’anziano profeta
continua a parlare. Dopo aver benedetto i genitori del bambino, comunica una
seconda rivelazione, specifica per la madre, che, in quanto tale, è particolarmente
legata al suo bambino. In essa la partecipazione della madre al destino del
figlio è espressa in dimensioni straordinarie. Si tratta infatti del destino di
suo figlio che è il Messia di Israele e della sua sofferenza come madre di
questo Messia.
Simeone pronuncia su Gesù un
doppio oracolo: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in
Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti
cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2, 34-35). E’ “altro lato
della medaglia del Nunc dimittis, il lato più buio. Salvezza e giudizio,
accoglienza e rifiuto, fede e incredulità sono quasi un dittico che riassume in
sé le molteplici vicende della storia. Cristo è il legame di questo dittico
perché su di lui verte la scelta.
La prima profezia di Simeone è
un oracolo di “divisione”. Quanto Isaia aveva già anticipato di Dio dicendo
che sarebbe stato “una pietra di scandalo e uno scoglio d’inciampo” (8, 14), ma
anche “una pietra angolare preziosa, saldamente fondata”, tanto che “chi
s’affida ad essa non vacilla” (28, 16), Simeone lo vede ora realizzato in
questo bambino. Egli è posto da Dio come questa “pietra”, come personaggio di
fronte al quale bisogna decidersi, il che vale per tutti in Israele: per alcuni
sarà “a caduta”, per altri “a resurrezione”. Nessuno potrà sfuggire a questa
alternativa. Simeone accenna a Israele come al terreno sul quale lo scandalo
della croce ha prodotto rovine e risurrezioni, incredulità e fede, ma, non
possiamo dimenticare, che la stessa comunità cristiana può rivelarsi un
terreno in cui si ripete questa divisione. L’adesione alla parola del Vangelo
deve essere quotidiana e continuamente rinnovata.
“Anche a te una spada
trafiggerà l’anima”. Simeone indirizza a Maria un oscuro oracolo variamente
interpretato nella tradizione cristiana. In passato alcuni immaginavano una
morte violenta di Maria, Origene pensava al dubbio come spina nel fianco della
fede pura di Maria, altri rimandavano alla sofferenza di Maria, altri ancora
alla lotta con il serpente, ricordando le parole del libro della Genesi: “lo
porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa
ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno” (3, 15) (9). La frase ha giustificato la
tradizionale iconografia della Madonna Addolorata ai piedi della croce,
trapassata dalla spada del dolore.
Il senso delle parole di
Simeone va cercato probabilmente nella profezia precedente: Maria è nel cuore
della battaglia per o contro il suo Rglio, è chiamata per vocazione alla spogliazione
totale. Quanto più Maria “perde” materialmente il Figlio, tanto più lo accoglie
nella fede, quanto più Maria è colei che “ascolta la Parola e la mette in
pratica”, tanto più si rivela come Madre del Signore. La maternità divina non è
una questione solo fisica, ma soprattutto un evento della fede. E quando,
davanti al Cristo crocifisso, avrà perso il Figlio fisicamente, lo riavrà in
pienezza come Figlio glorioso, presente nella Chiesa, di cui vede l’alba nella
mattina di Pentecoste. Maria così diventa il modello del discepolo.
Dopo aver tratteggiato la
figura della profetessa Anna, un’altra di quei “poveri in spirito” che
attendevano la consolazione di Israele, Luca ci informa che Maria e Giuseppe,
“compiuto ciò che prevedeva la Legge, fecero ritorno in Galilea, alla loro
città di Nazaret” (2, 39). Contemporaneamente Simeone esce dalla scena, di lui
l’evangelista non ci dirà più nulla. Per saperne qualcosa di più bisogna
tornare nel campo delle ipotesi, lasciandosi accompagnare dalle antiche
tradizioni, qualche volta anche da un po’ di fantasia.
Nel diario del suo
pellegrinaggio in terra santa, un certo Quaresmius ricorda che “sorpassata la
piscina di Bersabea e salendo il colle, i pii pellegrini proseguono il loro
itinerario verso sud, andando verso Betlemme, e lasciato a sinistra il monte
del cattivo consiglio, dove per la prima volta fu presa la decisione di
uccidere il Signore, si offre alla loro vista una torre, considerata
l’abitazione di quel Simeone, di cui si cantano le lodi nel vangelo (...). Il
luogo è distante poche miglia da Gerusalemme...” (10). Di questa testimonianza,
purtroppo, non abbiamo oggi nessun riscontro. Si può comunque dire che, se non
visse a Gerusalemme, Simeone abitò nelle sue vicinanze. Qui, con una certa
verosimiglianza, tornò a concludere la sua vita.
Un’antica tradizione, raccolta
dal santo vescovo Cipriano di Cartagine, ci dice che non passò molto tempo tra
la presentazione di Gesù al tempio e la morte di Simeone (11). Non si sa con certezza dove sia
stato sepolto, anche se si può presumere che il suo corpo abbia riposato nella
cimitero della Valle del Cedron. Adamnano, vissuto nel VII secolo, afferma che
“nella valle di Giosafat, non lontano dalla chiesa di Santa Maria, viene
mostrata ai pellegrini la torre di Giosafat, nella quale è sepolto lo stesso
Giosafat... e dove vengono mostrati altri due sepolcri, senza particolari
ornamenti, uno di Simeone, uomo giusto, che prese tra le braccia Gesù e
profetizzò su di lui, l’altro del giusto Giuseppe, sposo di Maria e padre
putativo di Gesù (12).
Invece, Gregorio di Tours, citando lo stesso sepolcro, vicino alla tomba di
Assalonne, dice che vi erano venerati
Giacomo il Minore, cugino del Signore e primo vescovo di Gerusalemme,
Zaccaria, padre di Giovanni Battista e Simeone il vecchio (13).
Anche oggi, passando davanti
alla basilica del Getsemani e prendendo la prima stradina a destra si scende
nella valle del Cedron. Vi sono raggruppati quattro monumenti che portano
rispettivamente i nomi di tomba di Assalonne, di Giosafat, di S.Giacomo e di
Zaccaria, ma in verità nessuno di essi accolse mai le ceneri del defunto di
cui porta il nome. La notizia riportata da Gregorio, nel VI secolo, ci porta
alla Tomba di 5.Giacomo, dove un’iscrizione ebraica awerte che quello è
il sepolcro della famiglia sacerdotale dei Bené-Hezir. Nel IV secolo, queste
grotte funerarie servivano da cella ai monaci cristiani di Gerusalemme ed una
leggenda racconta che un monaco trovò in una grotta tre scheletri che egli
prese e presentò come i resti di Giacomo cugino del Signore e dei sacerdoti
Zaccaria e Simeone. Per la generosità di un notabile di Eleutheropolis,
chiamato Paolo, fu costruita una cappella sopra la grotta nella quale erano
stati trovati i resti. Inaugurata il 25 maggio 352, divenne un centro di devozione
per la chiesa di Gerusalemme e per i pellegrini. Da allora questi monumenti
ebbero il nome cristiano di S.Giacomo e di Zaccaria (14).
Da questa leggenda dipendono,
dunque, le notizie riportate da Adamnano e da Gregorio di Tours, i quali
ricordano il sepolcro di Simeone, ma nessuno dei due scrive se i resti del
santo profeta siano conservati ancora a Gerusalemme.
Probabilmente, e qui inizia
un’altra parte della storia, le reliquie erano già state portate a
Costantinopoli. L’imperatore Giustino II, che regna subito dopo la morte di
Giustiniano, dal 565 al 578, le aveva collocate, assieme a quelle dei Santi
Innocenti, del profeta Zaccaria e di Giacomo, cugino del Signore, nel tempio da
lui eretto in onore di S. Giacomo, dove rimangono per quasi cinquecento anni.
Concludendo la narrazione delle
vicende relative all’anno 1204, dopo aver diffusa mente parlato della conquista
di Costantinopoli da parte dei crociati, Andrea Dandolo, nella sua Chronica,
accenna alle reliquie che i veneziani riportarono in patria dalla capitale
dell’impero. Fa cenno al ritrovamento dei corpi di sant’Agata e di santa Lucia,
quindi riporta la seguente notizia: “Alcuni popolani di Venezia, chiamati
Andrea Balduino e Angelo Drusiaco, dall’oratorio di santa Maria, vicino alla
chiesa di santa Sofia, prelevarono con fatica il corpo del santo profeta
Simeone, che, trasportato a Venezia, riposero nella chiesa che fin dalla sua
fondazione era stata dedicata al santo” (15).
Per quanto sintetica, la notizia appare singolarmente precisa.
Il Dandolo conosce non solo il
nome dell’edificio dove il corpo di Simeone era conservato a Costantinopoli
(l’oratorio di Santa Maria), ma anche la sua ubicazione (vicino alla chiesa di
Santa Sofia); è in grado di indicare la categoria sociale e il nome di chi
promosse il trasferimento; e sa che l’asportazione venne compiuta non senza
difficoltà. Dai dati esposti è probabile che il Dandolo attingesse le sue
notizie da una fonte scritta, nella quale le circostanze della traslazione
erano esposte con dovizia di particolari.
La lunga epigrafe che è posta
dietro l’urna del santo, nella cappella oggi dedicata al Sacro Cuore di Gesù, e
che ricorda il trasferimento delle reliquie cui partecipò nel 1318 Giacomo
Albertini, vescovo di Castello, citando delle “scripturae autenticae’, fa
capire che della traslazione da Costantinopoli a Venezia esisteva un resoconto,
probabilmente lo stesso conosciuto dal Dandolo. Questo testo in latino è
giunto fino a noi grazie a un manoscritto conservato nella Biblioteca
Nazionale Braidense di Milano (16).
La storia che è iniziata molto
lontano nel tempo e nello spazio diventa così parte della vita della comunità
parrocchiale di San Simeone Profeta in Venezia. Ecco il racconto di come sono
andate le cose (17):
Ecco come il corpo del
beatissimo profeta Simeone dalla città di Costantinopoli arrivò, attraverso il
mare Adriatico, alla città di Venezia, situata sulle isole che si trovano in
quella parte d’Italia posta tra il territorio di Grado e quello della Marca Veronese.
In questa città esisteva già una chiesa dedicata al beatissimo profeta
Simeone, ormai da molto tempo onorato con grande devozione e amore dai
parrocchiani di quella chiesa. Essi, infatti, erano molto cristiani,
pienamente convinti della fede cattolica, scrupolosissimi e pronti
nell’osservanza delle regole del cristianesimo, certamente nati da stirpe
nobile, ma resi ancor più nobili dalla fede. Infatti essi veneravano Dio ed era
inevitabile che Dio li esaudisse e desse al popolo che lo cercava gioia e
prestigio, a quel popolo che cercava il volto del Dio di Giacobbe (18), come sta scritto: “Amate il
Signore voi tutti suoi santi, poiché il Signore cerca la verità e dona oltre misura
a tutti coloro che lo cercano nella verità (19)”.
Eccomi, allora, a raccontarvi in modo breve, ma, come il corpo di san Simeone
sia giunto a Venezia.
Poiché Dio,
Signore nostro, re dei re e signore dei signori, punisce la colpa dei padri nei
figli (20), avendo esaurito la pazienza nei
confronti del regno dei Greci per le loro azioni, spinse il doge di Venezia e
il conte di Fiandra a fargli guerra, per deporre il superbo ed esaltare gli
umili (21), abbattere i
cattivi e donare la pace ai buoni. Quindi, il doge di Venezia, Enrico Dandolo,
uomo prudentissimo nell’agire e nel parlare, perfetto oratore, molto attento
nelle decisioni, per sua iniziativa e con l’aiuto della grazia dello Spirito
Santo, assieme al suo alleato, il conte di Fiandra, e ad altri principi, che
avevano scelto di partecipare alla quarta crociata (22), volendo ristabilire la
giustizia e riporre così sul trono dei suoi padri il figlio dell’imperatore,
che era stato malamente scacciato ed esiliato, dichiarò guerra all’usurpatore.
Arrivati quindi con le navi fin sotto le mura della città, dopo un coraggioso
assedio le distrussero, salirono su di esse e vi appiccarono il fuoco.
Riuscirono così vincitori nella battaglia ed occuparono la città e il regno (23).
Presa la città, come è
abitudine presso nessuno dei mortali, alcuni saccheggiarono le case, i palazzi,
e gli edifici pieni d’oro e d’argento. Proprio nello stesso esercito, c’erano
anche sette concittadini di Rialto. Erano sette, come sette sono i doni dello
Spirito Santo, e per questi doni cominciarono ad aver fame e sete di
giustizia, come il Signore dice nel Vangelo: “Beati coloro che hanno fame e
sete di giustizia, perché di loro...” (24).
Infatti come è detto sopra, essi avevano tutti questi doni: lo spirito di
sapienza e di intelletto, lo spirito di consiglio e di fortezza, lo spirito di
scienza e di pietà, lo spirito del timor di Dio (25). Possedevano lo spirito di
sapienza, perché per sapienza si proposero di fare queste cose. Possedevano lo
spirito d’intelletto, perché per buon intelletto disposero di fare ciò, come
sta scritto: “Mettere in pratica le sue leggi è frutto di intelligenza” (26). Possedevano lo spirito di
consiglio, perché presero tale decisione, che non venne abbattuta né riprovata,
ma confermata e approvata, come sta scritto: “Il consiglio di Dio rimane in
eterno” (27). Possedevano lo
spirito di fortezza, perché sono diventati così forti da non temere la spada,
né il pericolo e nemmeno, che è ben più grande, la stessa morte; ricordavano
infatti quel precetto del Signore che dice nel Vangelo: “Non abbiate timore
di quelli che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima” (28). Possedevano lo spirito di
scienza, perché illuminati da Dio erano convinti di servire Dio operando in
quel modo, e così senza alcuna esitazione lo servivano. Possedevano lo spirito
di pietà, perché religiosamente, con un cuor solo ed un’anima sola compirono
quell’opera con l’aiuto di Dio. Possedevano lo spirito del timor di Dio,
perché fiduciosi in Dio non dubitarono di poter raggiungere un così grande e
preziosissimo tesoro, come dice il sapientissimo Salomone: “Chi teme Dio compie
opere buone” (29),
e il salmo “A chi teme Dio, nulla manca” (30).
Ed infatti nulla mancò loro, perché, per quanto fossero in numero di sette,
tuttavia erano come uno solo, poiché un solo spirito e una sola fede avevano di
trovare il corpo del santissimo Simeone, profeta del Signore. I nomi di questi
rispettabili uomini sono questi. Il primo si chiama Andrea Balduino; il secondo
Pietro Steno; il terzo Marino Calbo; il quarto Leonardo Steno; il quinto si distingueva
come Angelo Durazo; il sesto Nicolò Feretro e l’ultimo Leonardo Moro. Ma
torniamo a scrivere della loro impresa: come fecero giungere a Venezia il corpo
del Santo profeta Simeone.
Un giorno, mentre alcuni di
questi sette appena nominati si trovavano a bordo della loro nave, uno di loro,
Andrea Balduino disse a Pietro Steno: “Messer Pietro, ho sentito dire da molti
che il corpo del beato Simeone giace in questa città, ma ignoro il luogo della
sua tomba. Se fosse predestinato da Dio che noi potessimo trovano, sarebbe per
noi una grande grazia”. Pietro, pieno di grande gioia, gli rispose: “Grazie a
Dio: hai ricordato bene. lo, infatti, quando due anni fa venni in questa città,
in compagnia di messer Matteo Steno, uomo religioso, mi fermai a pregare nella
chiesa di S. Simeone ed egli mi mostrò il luogo della sua tomba. lo però non
conosco la strada per arrivare a quella chiesa. Se mi conducessero alla chiesa
di Santa Sofia, potrei poi arrivare fin là. Ma poiché noi da soli non saremmo
capaci di compiere una tale impresa, coinvolgiamo anche i nostri soci ed
amici”. Dopo aver detto ciò, pregò Dio e disse: “Signore Gesù Cristo che hai
detto ai tuoi discepoli: “Senza di me non potete fare nulla” (31), per la tua santa misericordia
sii con noi e dacci la forza di portare a’ compimento il nostro desiderio”.
Rispondendo, tra le lacrime, Andrea disse: “Amen”.
Allora Andrea Balduino,
ispirato dalla forza dello Spirito Santo, assieme al suo compagno Pietro
Steno, convocò compagni ed amici e quanti più poté tra coloro che abitavano
vicino alla chiesa del beato Simeone presso Rialto: rintracciò dodici uomini,
onesti e religiosi, che aderirono alla decisione presa con Pietro Steno. Appena
vennero a conoscenza dell’idea, gioirono grandemente e insieme alzarono le mani
al cielo e pregando dissero: “Signore Iddio, Padre onnipotente, che mostrasti
mirabilmente ai tre Magi, grazie a una straordinaria stella, la strada per
Betlemme, luogo della nascita del tuo unigenito Figlio, il salvatore nostro, il
Signore Gesù Cristo, e , insieme a tuo Figlio, venuto al mondo in modo del
tutto singolare, accettasti, come mistici doni, l’oro, 11ncenso e la mirra,
rivolgi le orecchie della tua misericordia alle nostre preghiere, perché con la
guida della tua grazia, siamo capaci di giungere al luogo dove riposa il
beatissimo Simeone, per poter onorare il suo corpo e trasportarlo nel nostro
paese senza alcun impedimento con gioia e letizia, di modo che l’intera città
di Rialto, dotata di così grande tripudio, innalzi lodi e glorifichi il tuo
nome benedetto nei secoli dei secoli. Amen”.
Terminata quindi la preghiera,
Andrea Baldoino, Pietro Steno e Marino Calbo, insieme agli altri, andarono fino
alla chiesa di santa Maria (32),
vicino a quella di santa Sofia, ed esplorando di qua e di là girarono attorno
a tutto il tempio. Finalmente trovarono nella cripta il prezioso corpo che
cercavano, giacente in un’arca di marmo. A destra inoltre c’era un’altra arca
in cui giaceva il corpo di san Giacomo il giusto; a sinistra invece c’era
l’arca nella quale giaceva il santo corpo di Zaccaria, profeta del Signore.
Sulla parete dietro l’arca del giusto Simeone c’era un ammirevole mosaico con
la sua immagine, secondo la rappresentazione di quando prese tra le sue braccia
il bambino Gesù presentato al tempio dalla santissima madre (33). Davanti all’altare c’era un
pozzo profondo, non di acqua di infiltrazione, ma di acqua sorgiva. Per virtù
delle sante reliquie era così bello che sembrava che in esso brillasse una luce
come un cero acceso che lo illumina a giorno, nessun spergiuro (34) poteva vedere questo portento. O
cosa meravigliosa e grande manifestazione di santità! Chi non era spergiuro poteva
vedere, chi lo era non vedeva nulla. In questo fatto, carissimi, possiamo
comprendere quale grande peccato sia essere spergiuri. Teniamoci distanti.
carissimi, dallo spergiuro e da ogni peccato, per essere degni di vedere un
raggio del suo splendore.
Dopo che
ebbero perlustrato ogni cosa, secondo quello che ognuno poteva fare, tornarono alla nave; qui sotto
giuramento si garantirono l’un l’altro, che nessuno di loro rivelasse questo
segreto. Era intanto vicina la Pasqua. Stabilirono allora di andare la domenica
delle Palme e di prendere quel desiderato tesoro, poiché mentre tutta la gente
era occupata a celebrare la festa, così più facilmente e con più sicurezza
avrebbero potuto realizzare il loro desiderio. E decisero bene di fare ciò in
tale giorno, con l’aiuto della grazia dello Spirito Santo, come dice la
Scrittura: “Ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall’alto e discende
dal Padre della luce” (35).
Non era ancora terminata
l’aurora del giorno delle Palme che Andrea Balduino disse ai suoi compagni:
“Orsù, soldati di Cristo, fatevi coraggio e rinsaldate i vostri cuori, sperate
nel Signore e non abbiate paura della morte del corpo né di perdere un
guadagno, ma con la massima fiducia in Dio siate audaci, poiché l’audacia è
come un muro di sicurezza”. E quelli tutti rispondendo quasi con una sola voce
dissero: “Chi ha paura, vada in rovina, perché il timore suppone un castigo!
Infatti chi teme, come dice la Scrittura, non è perfetto nell’amore” (36). Quindi rassicurati tutti e
dodici, intrapresero il beato cammino. Tuttavia per poter andare più nascosta
mente e con più sicurezza si divisero così: cinque andarono per una strada e
sette per un’altra. O Dio, quanto sono incomprensibili i tuoi giudizi! (37) Beati infatti sono coloro ‘che
tu hai scelto, o Signore! (38)
Infatti recandosi al luogo stabilito, cinque di essi si smarrirono e non
riuscirono in alcun modo ad arrivare; gli altri sette, di cui prima abbiamo ricordato
i nomi, invece, con l’aiuto della grazia dello Spirito Santo, giunsero con
gioia al luogo predestinato.
Allora Andrea Balduino e Pietro
Steno dissero ai loro compagni: “Fratelli e amici, ciò che dobbiamo fare,
facciamolo rapidamente, perché ogni cosa buona va fatta con sveltezza. Qualcuno
di voi rimanga di guardia davanti alle porte e con circospezione guardi di qua
e di là, perché chi cammina con prudenza, procede senza timore (39); e se, per caso, arrivasse qualcuno,
fateci un segnale”. E tutti rispondendo dissero: “Avete parlato bene e faremo
ciò volentieri. Ora il Signore porti a buon fine il nostro desiderio”.
E come avevano deciso, così
fecero: quattro si separarono per andare a far la guardia alle porte, e tre,
entrati nella cripta, si avvicinarono all’arca.
Tuttavia timorosi e incerti sul
da farsi, si esortavano l’un l’altro a percuotere la pietra che copriva la
tomba, ma nessuno per paura osava farlo. Visto che tardavano, quelli che erano
di guardia alla porta li chiamarono. Allora, con timore e una certa titubanza,
uscirono dalla cripta e andarono da loro, temendo che fosse arrivato qualcuno.
Gli chiesero se avessero finito il lavoro. Risposero di no. Allora li rimproverarono
dicendo loro: “Dov’è la vostra audacia, se siete uomini? Andate! E nel nome del
Signore, portate a termine la vostra impresa, consapevoli che il Signore è con
voi. E’ meglio infatti per voi morire piuttosto che andar via senza aver
conquistato questo prezioso tesoro”. Rassicurato il loro animo quindi i tre
tornarono all’arca. Uno di loro, Andrea Balduino, senza indugio, afferrato un
martello, colpì la pietra che era sopra l’arca e con un sol colpo la divise in
due parti. E così, tolta una parte della pietra, aprirono il sepolcro. Una
volta apertolo, trovarono un’altra grande arca, ma di piombo, e subito
l’aprirono. Guardandovi dentro con grande curiosità, videro all’interno ancora
una cassa di piombo senza coperchio, essendo ormai completamente rovinate a
causa della ruggine le lamine di ferro che la chiudevano tutto intorno. Appena
la videro, furono pieni di gioia, e con le mani alzate al cielo dicevano: “Ti
rendiamo grazie, Signore Iddio, che ti sei degnato di far conoscere a noi la
tua misericordia mostrandoci il prezioso tesoro, oggetto del nostro desiderio”.
Allora disse loro Andrea
Balduino: “lo ho fatto la mia parte aprendo le varie casse; adesso voi
completate quanto resta da fare”. In risposta, uno dei compagni, Pietro Steno,
disse: “Nel nome di Gesù Cristo nostro Signore, per quanto io non ne sia
degno, tuttavia lo farò per la fede che ho in Lui. Spero infatti in Dio e nel
beato Simeone profeta che questo sia il mio compito, come mi è stato rivelato
in questa stessa notte in una visione: mi sembrava di essere con don Leonardo,
parroco della chiesa di S. Simeone in Rialto, e che egli dovesse celebrare la
messa, e che non ci fosse nessuno a servirla, se non io soltanto”. Gli
risposero i compagni: “Ciò che hai visto significa che sei tu che, in nome del
Cristo, devi entrare e prendere le sacre reliquie”. Allora Pietro,
inginocchiatosi sul pavimento e alzate le mani al cielo così pregò: “O
santissimo profeta Simeone, che hai avuto il privilegio di portare in braccio
il Signore e salvatore nostro Gesù Cristo, vera luce per illuminare le genti e
gloria del suo popolo Israele, non guardare ai miei peccati, ma per la tua
misericordia rendici degni di prendere con le nostre mani le tue preziosissime
membra, per trasportarle nel nostro paese, in modo che noi e la nostra
discendenza possiamo sempre onorare te per così grande grazia e insieme a te
degnamente benedire il Dio degli dei, che vive e regna nei secoli dei secoli.
Amen”.
E avvenne che mentre toccavano le
ossa del santo Simeone, si diffuse un soavissimo profumo, come balsamo che
discende sul corpo (40),
e riempì tutta la chiesa. E poiché gli stessi loro compagni che custodivano le
porte, lo sentirono e per la gioia, mista al timore che per caso qualcuno non
arrivasse in quel momento, esclamarono: “Fate presto e abbiate fiducia, perché
Dio è con noi”. E dopo aver preso le reliquie del santo Simeone, trovarono
nella stessa cassa una piccola ampolla di marmo, aperta la quale trovarono un
dente del santo Simeone e un anello rotto a metà. Trovarono anche un’altra
ampolla che conteneva il preziosissimo latte della Vergine Maria. Seppero
identificare tutte queste cose. Raccolte allora rapidamente le reliquie,
corsero in fratta alla nave e posero tutto in una cassa di legno assieme a dei
profumi e l’affidarono in custodia al fedelissimo Nicola Fereto, che la
conservò con ogni cura e rispetto. Ma poiché la città posta sopra un monte non
può rimanere nascosta, come non si può nascondere un lume posto sopra un candelabro,
a Dio piacque rivelare con segni prodigiosi queste sacre testimonianze.
Infatti per la maggior parte della notte, illuminava con un grande fulgore
tutti quelli che dormivano sulla nave e la maggioranza di quelli che erano
svegli vedendo una tal luminosità, rimanevano ammirati.
In quei giorni poi uscì un
editto del doge dei Veneti, Enrico Dandolo, e degli altri principi
dell’esercito che ordinava che tutte le imbarcazioni fossero tratte a terra in
modo che tutti gli uomini, in quelle regioni straniere, fossero al sicuro. I
nostri uomini fortemente colpiti da quell’ordine, ma non potendo fare
diversamente, presero la cassa con tutto il suo contenuto e la portarono in un
palazzo, che era stato prima di un greco molto potente, e nel quale c’era un piccolo
oratorio, e la posero nell’altare. Qui c’era anche una vecchia donna di origini
greche, molto religiosa, che custodiva la chiesa illuminandola e offrendo
incenso: a lei si rivolsero e la pregarono perché, a loro spese, illuminasse
bene la chiesa e la incensasse più di prima. Questo fecero per le sacre
reliquie, che qui avevano collocato e che per sei mesi rimasero presso quella
donna che comunque non conosceva il contenuto di ciò che custodiva.
Nel frattempo ci si chiedeva
dove fosse finito il corpo del beato Simeone e il malumore dei Greci era così
grande che la questione arrivò all’orecchio del doge e degli altri capi, che a
questo proposito emanarono un decreto che chi avesse trovato quelle reliquie
avrebbe ricevuto un premio in oro. Allora il Signore rese forte il cuore di
quegli uomini perché nessuno di loro fosse sedotto dall’amore per il denaro, ma
rimanessero tutti saldi nel buon proposito.
Finché
uno di loro, un
certo Angelo Drusari0 (41),
ebbe in sorte il permesso di ritornare in patria. Gli altri compagni gli
consegnarono allora la cassa con tutte le reliquie, pregandolo di portare a
buon fine l’opera intrapresa consegnandole a don Leonardo, parroco di San
Simeone e a ogni chierico che svolgesse il proprio ministero nella medesima
chiesa. Unita alle spoglie del santo profeta mandarono al parroco una lettera
che conteneva il racconto ordinato di come erano state trovate le reliquie. Il
Drusario, con l’aiuto di Dio, in breve tempo portò bene a compimento il suo
incarico.
Di quanto tripudio e di quanta
gioia si sia riempita la città di Venezia, e quante meraviglie durante il
viaggio in mare il Signore si sia degnato di mostrare, nessun uomo e nessuna
lingua sarebbe capace di raccontarlo. E così, ricevuto le reliquie del santo
Simeone, il parroco don Leonardo e gli altri chierici, pregarono sua eccellenza
Benedetto Faletro, allora Patriarca di Grado e sua eccellenza Marco Nicola,
vescovo di Castello (42),
di venire a riporre in chiesa questa preziosa testimonianza di fede. Essi
vennero solennemente in processione insieme a una moltitudine di popolo e,
pieni di gioia, con grande onore e devozione, prepararono con preziosi profumi
le reliquie e le misero in un’arca di marmo dietro l’altare nella chiesa di San
Simeone in Rialto. Qui si innalzano preghiere tino ai giorni nostri.
Così è stato trasportato il
santissimo corpo di Simeone profeta del Signore, insieme ad altre reliquie, da
Costantinopoli in Venezia nell’anno 1204 (43),
dall1ncarnazione del Signore Nostro Gesù Cristo, al quale sia onore e gloria
nei secoli dei secoli. Amen.
“Qui si innalzano preghiere
fino ai nostri giornil”. Ecco come una storia iniziata lontano un po’ alla
volta ci coinvolge fino ad arrivare ad oggi.
Nell’urna in cui arrivò a
Venezia, il santo Simeone riposò per 114 anni, poi si volle dargli una più
degna dimora. I donatori furono gli stessi abitanti della parrocchia,
sollecitati dal parroco, Pietro Ravacaulo, sotto la protezione del vescovo di
Castello, Giacomo Albertini, e dei suoi colleghi di Caorle, Jesolo e Torcello.
La statua giacente del santo, assieme all’antico sarcofago e alle preziose
iscrizioni, è ciò che rimane a memoria e testimonianza della venerazione dei
fedeli verso il corpo del santo profeta (44).
A questo punto, possiamo
riprendere le parole pronunciate dall’attuale patriarca Angelo in occasione
della sua visita alla parrocchia proprio per la festa del patrono, senza
dimenticare comunque tutti coloro che l’hanno preceduto e lo seguiranno nel
celebrare l’eucarestia in questa nostra chiesa: “Che figura splendida, che
grande Patrono voi avete! Quale possibilità eccezionale di educazione e di
solidità e di speranza nella vostra esistenza quotidiana! Quale modello per le
famiglie, per i giovani, per gli anziani, per i ragazzi di questa comunità! S.
Simeone, che voi da tanti secoli e giustamente per una concessione benevola di
qualche tempo fa, lo fate nelle vicinanze della Presentazione di nostro Signore
al tempio, per rimarcare che fa forza di questo santo è stata la vigile attesa
della promessa di Israele che ha potuto, pensate, prendere tra le braccia Gesù,
così come noi possiamo mangiare il suo corpo. (...) La libertà carica di attesa
del vecchio Simeone diventa figura compiuta dell’esistenza cristiana. Ogni
giorno, attraverso le circostanze più elementari della nostra vita, quelle
belle e quelle meno belle, quelle evita bili e quelle inevitabili, quelle
gioiose e quelle dolorose... attraverso tutte queste drcostanze dell’esistenza
il Padre ci invita in Gesù a dire il nostro sì, ad aderire a Lui che ci chiama.
E perciò mentre diamo un consiglio al nostro bambino, mentre ascoltiamo un
suggerimento di nostra moglie, mentre affrontiamo con serietà il nostro lavoro,
mentre ricaviamo un tempo la sera per recitare insieme il Rosario, mentre
guardiamo l’esperienza di malattia, di dolore, e di morte del nostro caro, con condivisione e
compassione, mentre gioiamo perché i nostri figli si sposano ed edificano una
famiglia... attraverso tutte queste circostanze la nostra vita si compie e non
è “come una spola che finisce”, ma è realmente un edificio che si abbellisce
sempre di più e va verso il suo compimento”.
Omnipotens
sempiterne Deus,
qui
Unigenitum tuum ulnis sancti Simeonis
in
tempio sancto tuo suscipiendum praesentasti,
tuam
supplices deprecamur clementiam;
ut,
eo interventiene,
in
tempo sancto gloriae tuae
praesentari
mereamur.
Onnipotente
eterno Dio,
che
presentasti al mondo il tuo Figlio unigenito
tra
le braccia del santo Simeone accorso al tempio,
chiediamo
con affetto la tua misericordia,
perché,
per sua intercessione,
siamo
degni di entrare
nel
tempio della tua gloria.
Amen!
E la storia continua...
1 A.CUTlER, Does the Simeon ofLuke 2
refer lo Simeon theson ofHi/leJ?, in "JBR", 34 (1966), pp.
29-35.
2 Protovangelo di Giacomo, 24, 4: "Dopo i tre giorni, i sacerdoti deliberarono chi
mettere al suo posto (del sacerdote Zaccaria), e la sorte cadde su Simeone.
Questo, infatti, era colui che era stato awisato dallo Spirito Santo che non
avrebbe visto la morte fino a quando non avesse visto il Cristo nella
carne".
3 Vangelo di Nicodemo (Recensione
latina "A"), 1, 1: "Ed ora ascoltatemi: giacché tutti conosciamo
il beato Simeone, sommo sacerdote, colui che
prese nelle sue mani il bambino Gesù, nel tempio. Questo Simeone ebbe due figli
(poco più avanti chiamati Carino e Leucio) e tutti noi siamo stati alla loro
sepoltura. Andate, dunque, a vedere i loro sepolcri: sono aperti, poiché essi
risorsero, ed ecco si trovano nella città di Arimatea ed abitano insieme in
preghiera...".
4 DE LA VALLEE POU55IN, L, Le Buddhisme et les Evangiles canoniques, in "Revue Biblique", 1906, pp.
353-55; CLEMEN, c., Buddistische Einfliisse im N. Test, in "Zeitschrift f. neutest.
Wissensch. ", XVII (1916), p. 128-55.
5 RAVASI, G., Videro il Bambino e sua
Madre. Meditazioni bibliche, Milano 19943, pp. 126-127.
6 Acta 55. Octobris, IV, Bruxelles 1780, p. 11.
7 Vangelo dello Pseudo-Matteo, 15, 2. AI termine della profezia di Simeone, il codice B procede
ancora così: "E avendo centododid anni e
potendosi reggere a stento, portò il fanciullo sulle sue braccia fino
all'altare del tempio del Signore. Il vecchio portava il fanciullo, ma il
fanciullo reggeva il vecchio. Allora Gesù disse: «La tua preghiera è stata
esaudita, Simeone». E tutti i maestri rimasero stupiti delle parole dette dal
fanciullo'.
8 MOLTMANN, J., Teologia della
speranza, Brescia 1970, p. 14.
9 Cfr. BROWN, R.E., l.iJ nascita del Messia
secondo Matteo e Luca, Assisi 1981, pp. 628-630.
10 Acta ss.
Octoblis, IV,
Bruxelles 1780, p. 17.
11 OPRIANO, De
mortal/tate, 3: "visto il bambino, seppe che sarebbe morto di lì a
poco. Allora, contento per la morte
che si awicinava e sicuro del vicino trapasso, prese il bambino tra le
braccia...".
12 ADAMNANO, De locis sanctis,
I, 13.
13 GREGORIO DI TOURS, Oe Gloria
Martyrum, 27, in Acta ss. Octobris, IV, Bruxelles 1780, p. 17.
14 Cfr. Guida di Terra Santa, Gerusalemme
1992, pp. 123-124.
15 ANDREA DANDOLO, Chronica per extensum descripta, ed. E.
PASTORELLO, Bologna 1942 (Rerum Italicarum Scriptores,
XII,1), p. 280, Il. 18-20.
16 Si tratta del manoscritto Gerti 26, un
codice agiografico del X'N->N secolo, finora pressoché sconosciuto. La Traslatio corporis Beati Simeonis è stata recuperata dallo studioso Paolo Chiesa, che ne ha poi
curato il testo critico e la relativa presentazione nell'articolo: Ladri di
reliquie a Costantinpoli durante la quarta crociata. La traslazione a Venezia del
corpo di Simeone profeta, in "Studi Medievali", 3° serie, Anno
XXXVI, Fasc.I, Giugno 1995, pp.431-459.
17 Il testo
latino della Traslatio Corporis
Beati Simeonis Prophete viene proposto nella traduzione italiana del dotto Giampaolo lotter, con la collaborazione
di don Luigi Vitturi.
18 Cfr. Salmo
23(24), 6. Anche nel seguito del testo, le citazioni bibliche sono date secondo
il testo della Vulgata.
19 Cfr. Salmo 30(31),24. 10
20 Cfr. Esodo 20, 5.
21 Cfr. Luca l, 52.
22 L'espressione "accipere
crucenf' è tecnica, per indicare coloro che accettavano l'invito del
pontefice a partecipare alla liberazione di
Gerusalemme e del Santo Sepolcro in particolare.
23 Questa introduzione a carattere
storico e morale risente certamente del modo di pensare del tempo e riporta la versione dei fatti in modo non del tutto obiettivo. Per una più
completa e sdentifica ricostruzione degli eventi della quarta crociata, si veda
MESCHINI, M., 1204. L'incompiuta. La IV crociata e le conquiste di
Costantinopoli, Milano 2004.
24 Cfr. Matteo S,6.
25 Cfr. Isaia 11, 2 - 3.
26 Cfr. Salmo 110(111), 10
27 Cfr. Salmo 32(33), 11
28 Cfr. Matteo 10, 28.
29 Cfr. Ecclesiastico (Siracide) 15, 1.
30 Cfr. Salmo 33(34), 10.
31 Cfr. Giovanni 15, 5.
32 La chiesa era effettivamente ubicata a
breve distan2a da santa Sofia, in dire2ione nord-ovest. Della reliquia di 5imeone in essa conservata parlano il patriografo De aedifidis
(Scriptores originum CostiJntinopo/itiJnarum, ed. Th. PREGER, Leipzig
1907, p. 263), il Sinaxarium Constantinopo/itanum (ed. H. DELAHAYE, Bruxelles 1902, coli. 439-440 e 158) e il cosiddetto Anonymus Mercati (edito da
K.N. OGGAAR, Une description de Constantinop/e traduite par un pè/erin ang/ais, in "Revue des études
byzantines", 4 (1976), pp. 211-267).
33 Nell'area della chiesa di Santa Maria
in Chalcoprateia, in un edificio sotterraneo di forma ottagonale, individuato verso la metà del novecento, furono ritrovati due frammenti
di affreschi appartenenti al cido dell'Infanzia di Gesù. Gli affreschi risalivano
all'epoca dei Paleologi, e non possono quindi avere attinenza con i mosaici
visibili nel 1204. Il Mango (Note on Byzantine Monuments, in "Dumbarton Oaks Papers", 23-24 (1969-1970), pp. 369372) ritiene che l'edificio in questione fosse appunto la cripta
dov'era conservato il corpo di san zaccaria (e quindi di 5imeone); dato il
soggetto degli affreschi, !'Ipotesi è assai verosimile.
34 L'insistenza che viene data a questo
termine fa pensare che l'autore della Traslatio abbia voluto
lasciare un segno della credibilità del suo
racconto.
35 Cfr. Giacomo 1, 17.
36 Cfr. I Giovanni 4, 18.
37 Cfr. Romani 11, 33.
38 Cfr. Salmo 64(65), 5.
39 "Qui sapienter ambulat vadit
confidente/': questa espressione a chiasmo, di
sapore certamente popolare, che richiama anche l'odierno
proverbio: "Chi va piano va sano e va lontano", può essere indice
della "popolarità" del testo in esame.
40 Cfr Salmo 132(133), 2
41 Nel testo il nome è citato due volte,
come Durazo o Drusario. Abbiamo preferito la forma adottata dal Dandolo, la
cui testimonianza precede cronalogicamente la composizione del codice
Braidense, dove è contenuta la Tras/atio. Il Sandinelli, nel suo libro
di memorie, datato 1877, afferma: "lo noterei in appendice alla storia
della traslazione che nel Catastico Bonsaver, n° 30, si fa menzione della
famiglia Drusago, la cui casa nel 1284 confinava con quella del pievano.
Potrebbe essere che il summentovato Angelo Drusento o Drusiaco appartenesse a
questa famiglia che abitava così vie no alla chiesa, e avendola quindi
probabilmente frequentata, nel visitare poi a Costantinopoli il copro del Santo
Titolare, siasi dato premura di farto portare a Venezia e collocare in questa
sua chiesa". Il Catastico Bonsaver, datato 1542, raccoglie la trascrizione
di documenti precedenti a questa data. Il n° 30 riporta la trascrizione di un
documento del 1284 di una disputa tra il parroco 5erafino Lombardo e un certo
Andrea prusario, che abitava vicino alla casa canonica.
42 E' questo un particolare che dà credibilità
al racconto: Benedetto Faledro e Marco Nicola, che partecipano alla sepoltura
del corpo di San Simeone, ressero rispettivamente il patriarcato di Grado e
l'episcopato di Castello dal 1199 al 1215 e dal 1181 al 1229. Compare solo qui
invece il nome del parroco Leonardo. Nel 1208 a San Simeone è attestato un
parroco di nome Nico/aus, ma nulla sappiamo degli anni precedenti.
43 Il racconto dice che il giorno
prescelto per l'azione fu una Domenica delle Palme, mentre le navi veneziane
erano alla fonda nel porto di Costantinopoli dopo la presa della città. Il
giorno in questione è certamente il 18 aprile 1204. Il testo latino recita: "curente
anno domini mi/esimo ducentesimo tercio, indictione septima". L'indizione
è un periodo cronologico di 15 anni e il punto di partenza è il 313 d.C., anno
dell'Editto di Costanti no. La prima "settima indizione" del 1300
cade nel 1304. Si può supporre che il 1203 sia da attribuire all'errore di un
copista oppure sia sorto in relazione al trasferimento delle reliquie
all1nterno della chiesa. La lapide posta dietro la statua del santo, nella
odierna cappella del Sacro Cuore, afferma che lo spostamento delle reliquie
awenne anno incarnationis MCCCXVlI, mense Februarii, die 1111, indidione
prima, e segnala che questa data ricorreva 114 anni dopo l'arrivo del corpo nel 1203. Anche se 11ndizione prima
ricorreva nel 1318, non ci
troviamo questa volta in presenza di una incongruenza
tra il dato indizionale e l'anno dell'era volgare, perché potrebbe essere usato
qui il cosiddetto "stile veneto" di datazione, secondo il quale
l'anno ab incamatione veniva computato a partire dal 1 marzo: quello che per noi è il 4
febbraio 1318 rientrava perciò ancora nell'anno veneto 1317. In sostanza, chi
redasse la lunga memoria sullo spostamento delle reliquie sapeva che esso era
avvenuto nel 1317 (in stile veneto, cioè 1318) e leggeva che il santo era
rimasto 114 anni nel sepolcro originario, e così scriveva nell'epigrafe.
44 Un
sarcofago, con la figura giacente del santo, sull'altar maggiore della chiesa,
venne descritto nel primo seicento dallo Stringa: "Il corpo Santo di
Simeone, giace in un sepolcro di marmo posto sopra l'altar maggiore, con la
figura di esso santo distesa sopra il sepolcro". Il 12 dicembre 1773, durante
alcuni lavori, fu scoperto nel pavimento della chiesa il sarcofago che oggi si
trova sotto la figura giacente, e sulla base dell1scrizione sulla sua parte
frontale si concluse che era quello in cui il santo avrebbe riposato per 114
anni. Nel 1765 l'altar maggiore fu rifatto e il sarcofago, oggi perduto, datato
dall"lSCrizione del 1318, fu posto sotto la mensa dell'altare (CAPPElLETTI, G., liI
chiesa di S.Simeone profetiJ vulgo il Grande descritta ed illustratiJ, Venezia 1860, p. 31). Pare che a quel tempo
si sistemasse sotto la mensa anche la grande epigrafe, poiché fu allora che si
ruppe, per via del peso dell'altare barocco. In data sconosciuta, probabilmente
alla fine del 1800, il sarcofago più antico, la grande iscrizione e la figura
giacente furono collocate nella cappella a sinistra del presbiterio, mentre
l'iscrizione più piccola si trova ancora sotto la mensa dell'altare.