Il Sestiere e la parrocchia Torna alla pagina iniziale"Il Sestier di Santa Croce non molto grande" come scrive nella sua Venezia città nobilissima et singolare Francesco Sansovino - "se non in quanto che l'Isole circonvicine le sono sottoposte", è ancor oggi il più piccolo sesti ere di Venezia. Tre
sono le chiese parrocchiali attualmente ancora attive nel sestiere:
quella di S. Nicolò da Tolentino, quella di S. Giacomo dall'Orio; e
infine la parrocchiale di S.Simeone Profeta, con la succursale dei S.S.
Simeone e Giuda, meglio conosciute entrambe tra il popolo con le
denominazioni di S. Simon Grando e S. Simon Piccolo. Il
sestiere di S. Croce, in particolare nell'area della parrocchia di S.
Simeone Profeta e di quella di S. Simeone e Giuda, ma anche di altre
parrocchie contermini, era il centro della lavorazione della lana, come
ancor oggi molti toponimi fanno ricordare, e intorno a cui ruotavano
numerosi altri mestieri importanti per l'economia della città. L'arte
della lana infatti che veniva annoverata nel Fiorentissima
l'arte della lana, conobbe una prima decadenza dopo la guerra con Genova
alla metà del XIV secolo dovuta all'aumento dei dazi, alla perdita di
mercati, alla carenza di mano d'opera. Vi fu poi una ripresa nel secolo
successivo legata alle contromisure adottate dal governo, ma anche, e
soprattutto, all'espansione di Venezia in
Terraferma, dove peraltro
la manifattura laniera era
fiorente ed affermata. Dai documenti si sa che tra il XV e il XVI secolo
operavano a Venezia circa duemila telai da lana, e che l'espansione della
produzione nel settore durò fino alla grave crisi
conseguente alla epidemia di peste del 1630. Arte
importantissima quella della lana, scrive Tomaso Garzoni che, pur dando
maggior guadagno ai mercanti che ai lavoranti, tuttavia, assicura il
sostentamento a numerosissimi artigiani e mercanti quali erano i
"lane ruoli, mercanti da lana, battilani o verghezini, scardassini,
tonditori da lana, cernitori, pettinatori, tiradori, purgadori, cimadori,
emendatori, filiere, orditori, tessari, cordatori, folatori, tintori da
lana, chiodaruoli, drappieri, sargieri, rascieri, tapezzieri, berettari,
cappe/ari, materassari". Qui a S. Simeone, o nelle vicinanze,
legati all'arte della lana esistono ancora i toponimi della fondamenta e
ponte dei Garzotti, delle Chioverette, di calle del Tintor, del campo
della Lana (abitato da molti lavoratori nella industria della lana e
sede anche di un ospedale dei Tessitori di Lana Tedeschi, i quali
abitavano già dal secolo XIV nel campo omonimo e nella vicina Gradisca).
Ricordiamo qui anche l'Oratorio e la Scuola dei Tessitori di Lana,
situata in campiello della Chiesa a S. Simon Piccolo, divenuta ora però
sede di abitazioni civili. La
parrocchia di S. Simeone Profeta, prospiciente a Nord sul Canal Grande,
lungo il quale si snoda dal ponte della Croce, sulla fondamenta di S.
Simeone, fino al rio Terrà in fondo alla riva di Biasio, è come
incastonata tra le tre parrocchie dei Tolentini, dei Frari e di S Giacomo
dall'Orio con le quali confina con il margine della fondamenta dei
Tolentini, il rio delle Muneghette e quello di S. Giovanni Evangelista
fino ai ponti della Laca e della Latte; quindi una linea la divide da S.
Giacomo, passando immaginariamente in mezzo al campiello e la calle del
Cristo, sfiorando il campiello delle Strope, attraversando il campo dei
Tedeschi, dividendo calle e campiello Orsetti per finire attraverso una
piccola "calesel la" in Lista Vecchia dei Bari e tornare
quindi dopo il Riello al succitato rio Terrà. E' un territorio non molto vasto, che fa di S.Simeone una parrocchia di m~dia grandezza; una zona ancora popolata, anche se decimata, come tutta la città del resto, dalle ultime vicende veneziane.
La prima chiesa e la città (Torna all'inizio) La
chiesa di S. Simeone Profeta, secondo quanto afferma la maggior parte di
storici e cronisti, risulta fondata nel X secolo, intorno all'anno 967,
su iniziativa e con il contributo finanziario delle famiglie degli Aoldi
(o Adoldi), Briosi e Ghisi. Tuttavia nelle Memorie della Chiesa,
conservate nell'Archivio Parrocchiale, (b.A, b.S ), si trova citato un
manoscritto del cittadino Enea Alarico, in data 1622, che spiega come la
nobile famiglia Briosi "venne di Padova, e furono Savii e Amadori
della Patria", e che "dal 927 fecero S. Simon Grande con li
Ghisi, Foscari et Aolda". Gli
Adoldi erano venuti dalla Grecia, dove avevano grandi proprietà nelle
isole di Andro e Sercine, vendute poi dall'ultimo erede, Nicolò Adoldo,
alla famiglia Michiel. La famiglia ottenne il patriziato Veneto e
divenne benemerita per le sue attività politiche e sociali; lo stemma
degli Adoldi consiste in uno scudo diviso da una fascia caricata da un
uccello dall' aspetto di un rapace. Foscari,
Ghisi, Adoldi e Briosi abitavano nella zona, più propriamente nei pressi
della chiesa dei S.S. Simeone e Giuda, dove sarebbero sorti i palazzi e
le case di proprietà di queste famiglie. La
chiesa costruita da queste famiglie consisteva più che in una vera
chiesa piuttosto in un oratorio, o una cappella, comunque una piccola
costruzione in legno, con il tetto di paglia, non dissimile dagli altri
edifici tipici del tempo, la cui architettura era ancora fino a poco tempo
fa esemplificata nei "casoni" sopravvissuti nelle valli
lagunari. Alla sua fondazione, nell' 829, la stessa chiesa di S. Marco era
tutta in legno, come ogni altra chiesa ed abitazione in Venezia costruite
prima del 1000. Adoldi,
Ghisi e Briosi edificarono dunque quella prima chiesetta a proprio uso e
degli abitanti di quella zona periferica, per lo più, in origine,
pescatori, ortolani o servitori alle dipendenze delle famiglie più
ricche. Fu certamente una istanza di religiosa pietà a informare quei
fondatori, ed anche la necessità di dare alla comunitàun punto di
riferimento morale e insieme civile. Non
esiste alcuna notizia certa sul primitivo assetto architettonico della
prima chiesa di S. Simeone, e nemmeno abbiamo documenti sul per ché
della scelta di tale santo titolare, né dei primi preti che la ressero.
Solamente, ma questo appartiene a epoche più tarde, possiamo farci
un'idea della ubicazione della chiesa dalla cartografia. Nella
famosissima carta di Jacopo de' Barbari, della fine del 1400, forse il più
antico documento in cui appaia la chiesa di S. Simeone nel suo primitivo
aspetto figura come un corpo unitario, con il tetto spiovente a capanna,
orientata come quella attuale in una situazione urbana che rispecchia
quella odierna, anche se non se ne riconosce l' assetto a tre navate su
pianta basilicale (Franzoi, 1975). Già però nella pianta risalente al
secolo XIV, pubblicata da Tommaso Temanza nella seconda netà del '700,
si riconoscono le chiese di S. Simeone Profeta, e di S. Simeone Apostolo,
con i relativi, benché sommari, confini parrocchiali. La
presenza di colonne molto antiche e la loro stessa disposizione nella
fabbrica odierna non ci consente però di affermare che si presentasse così
come è oggi fin dal tempo della sua ricostruzione in pietra, resasi
necessaria dopo uno dei frequentissimi incendi che, nel solo secolo XII,
ebbero a distruggere a decine le chiese e le case di abitazione della
città. Uno
degli incendi più tristemente famosi per le proporzioni assunte fu quello
divampato nell'ottobre del 1149 (Gallicciolli, 1795), che dilagò per
tredici contrade distruggendo ogni edificio. Scoppiato infatti a S. Maria
Mater Domini si propagò alla vicina contrada di S. Stae e quindi a
quelle contermini di S. Agostino, S. Stin, S. Boldo, S. Giacomo
dall'Orio, estendendosi poi a S. Zandegolà, S. Simeone Profeta, S.
Simeone Apostolo, S. Croce, S. Basilio, S. Nicolò dei Mendicoli e
all' Angelo Raffaele. Alla ricostruzione della chiesa, luogo di preghiera e di pietà religiosa, ma anche di incontro e di coesione sociale, parteciparono allora assieme alle famiglie più ricche ed importanti, anche tutti i membri della comunità, segno tangibile questo di una unione civile, sociale e spirituale.
La
seconda chiesa in pietra
Risale
al l 150 l'edificazione della seconda chiesa di S. Simeone Profeta; una
costruzione tutta o quasi in pietra, di forma basilicale a tre navate
, e tuttavia con molte differenze rispetto a quella attuale. La
facciata era arretrata di circa 5 metri e aveva sul davanti una
"cella" o porticato in legno, che forse si continuava con quel
sottoportico che oggi contorna il lato nord-ovest della chiesa. Il
pavimento della chiesa, della" cella" e del "campedello"
antistante alla chiesa, molto più vasto dell' odierno Campo Santo, erano
lastricati, secondo l'uso medievale, di "arche", cioè di tombe.
Il "campedello" però non venne più usato per seppellire i
morti fin dal 1534, come ebbe a convenire il Capitolo con la famiglia
Grimani proprietaria di stabili confinanti; il terreno di proprietà
della chiesa venne delimitato con una lista di marmo, sulla quale si legge
la scritta SACRUM (Catastico 1778, A.S.S.P.) Il
tetto a spioventi si reggeva su travi di legno ed era ancora ricoperto di
paglia, come nella primitiva costruzione. La
navata centrale era delimitata da colonne, sei per lato. Il presbiterio,
sull' altar maggiore, arrivava molto più in qua dell'attuale, fino alle
due prime colonne; ai lati del presbiterio due piccoli altari in legno,
nel tabernacolo di uno di essi si conservava il Santissimo. A destra del
presbiterio una cappella dedicata alla Madonna. Il
campanile fu costruito in stile romanico, con canna lesenata e con la
cella campanaria ricoperta da un tetto di "coppi" a falde
inclinate, che molto più tardi venne fatto sormontare da un cupolino. Nell'828
Bono da Malamocco e Rustico da Torcello, con la traslazione del corpo di
S. Marco da Alessandria a Venezia, inauguravano una tradizione che per
moltissimi anni i mercanti veneziani seguiranno, per rifornire le loro
chiese di sante reliquie, in una gara continua tra famiglia e famiglia,
tra contrada e contrada. Anche per la chiesa di S. Simeone arrivarono
perciò, a suo tempo, marmi e reliquie. Nel 1203, dopo la quarta crociata
quando Enrico Dandolo già si era fregiato del titolo di "signore di
un quarto e mezzo dell'Impero di Romania", due mercanti, "I
Plebei veneti Andrea Balduino e Angelo Drusiaco" dall'oratorio di
S. Maria di Costantinopoli asportarono, così vuole la tradizione, il
corpo di S. Simeone Profeta e lo trasportarono a Venezia, come vuole la
tradizione, assieme a quello di S. Ermolao, dove fu ricomposto nella
chiesa al suo nome intitolata (v. Memorie della Chiesa, b.A e b.S), anche
se non si conosce con sicurezza la data in cui la chiesa fu per la prima
volta dedicata al santo. In
un primo tempo le reliquie del profeta (la cui proprietà autentica è
rivendicata tra l'altro anche dalla città di Zara per l'esistenza del
corpo di un santo omonimo custodito in questa città, ma senza alcun
documento che lo supporti, sostiene il Corner; si veda per questo però
anche il bel saggio di Ch. Seymour jr.) furono situate sotto uno degli
altari di legno del presbiterio e, successivamente in un sarcofago di
marmo dove rimasero fino al l 317, anno in cui fu rifatto l'altar maggiore
e l'urna con le spoglie venne collocata sopra la mensa, previa la
ricognizione da parte del vescovo di Castello, Jacopo Albertini, e di
altri prelati. In
quell'occasione sull'urna marmo rea venne incisa la seguente dicitura: HIC STETIS CORPUS
BEATI SYMEONIS PRTE ANIS CENTUM ET
XIII Di
quest'epoca è da ricordare, secondo la tradizione, la presenza di S.
Domenico di Guzman, il quale in viaggio verso Roma, fermatosi a Venezia,
più volte avrebbe predicato in questa chiesa, suscitando tra l'altro nei
fedeli della parrocchia una particolare devozione per il Santo Rosario. I grandi restauri (dal secolo XIV al XVI) (Torna all'inizio) La chiesa subì poi con il passare degli anni continui rimaneggiamenti e migliorie ad opera dei parroci, e col concorso dei fedeli, nonché degli associati alle diverse Scuole di devozione sorte via via nel tempo, e aggregate alla parrocchia. Nel 1301 il tetto di paglia era stato sostituito con una copertura in tegole, ma poi nel corso del XIV secolo non sono ricordate iniziative particolari, oltre il già m~nzionato rifacimento dell' a1tar maggiore nel 1317, e la costruzione del fonte battesimale, che venne sistemato in fondo alla navata sinistra, nei pressi della porta di ingresso pricipale e successivamente trasferito in altra parte della chiesa vicino alla sacrestia. E' durante tutto il 1500 che la chiesa subì diversi ed importanti restauri, che la portarono ad essere assai vicina al suo assetto attuale, differente da quello che appare nella famosa pianta prospettica di Venezia, intagliata da Jacopo de' Barbari. Troviamo nelle Memorie della Chiesa, (b.A e b.S), già in precedenza menzionate, una richiesta di tale Giacomo Albini procuratore della chiesa, così formulata. "Et prima domando far capella ai lai l'altare grando, larga pie diexe come xe l' altra fata de la Madonna, e la Sagristia ai lai de dita capella. Appresso se vorave licencia de far el choro dretto come quello de mezzo sicché el fosse tutto avalido. E perché drizando detto choro vegnaria a impedir doi colonne in mezzo, una pei lai voremo quela tirar via, e de doi volti pizzaioli fame uno solo mazor pei do cai". Di recente Fabrizia Callegaro ha pubblicato alcuni documenti della chiesa di S. Simeone, tra cui una pergamena in data 28 gennaio 1505 m.v., nella quale è ampiamente descritto il progetto della sistemazione dell'area presbiteriale con la costruzione della nuova sacrestia e della cappella (F. Callegaro, 1991). Come si vede una richiesta di lavori, e modifiche, non indifferenti che portarono, a partire dal 1505, nel giro di alcuni anni alla costruzione della sacrestia con un suo altare per la custodia del Santissimo; alla edificazione della cappella detta allora della Trinità, o anche cappella dell' Albini, situata a sinistra dell' altar maggiore, mentre nel presbiterio venivano definitivamente aboliti i due altari lignei laterali. Dell'epoca è il quadro della Trinità, che il pittore Giovanni Mansueti, dipinse per la pala della cappella Albini, e di cui vedremo più tardi le vicende. Nel 1521 i confratelli della Scuola di S. Ermolao (una associazione con finalità di culto e assistenziali, che contò numerosi iscritti, fra cui 150 donne) che aveva in un primo tempo un suo altare nella cappella Albini, ottennero di poterlo spostare e costruire nella navata di destra, in stile lom bardesco, con una mensa marmorea e un nuovo sarcofago per accogliere le reliquie del martire e di altri santi. L'avvio
ai grandi restauri e rimaneggiamenti della chiesa di S. Simeone profeta
era stato dato dalle decisioni testamentarie di Giacomo Dalbin o Albini,
il quale in uno "strumento" del 29 gennaio 1506 così fa
scrivere dal suo notaio: "Havendo del 1502 adi primo aprii Habudo
licentia dal R.mmo Mx lo Patriarcha de cha Donado" (Tommaso Donà,
vescovo di Castello dal 1492 al 1504) ..."de poter oblegare me Ducati
Cinquanta ... qual se habia a spender in el far la Sagrestia e far una
Cappella a lai l'altra granda. Come è l'altra della Madonna si che la
capella granda vegnia in mezo de le do Capelle pizole e la Sagrestia
arente a la Capella se fa ... E prima far la Capella a Lai l'altar grando
larga pie diexe come se l'altrafacta. E la Sagrestia a lai la dita Capel
la In volto sara larga pie nove ben che questo ave dato licentia." Inoltre chiede di raddrizzare, come abbiam
visto,
il coro e di spostare le colonne e gli archi stessi della navata.
Sempre in quegli anni, intorno al 1525 vi fu una contesa tra il pievano
Alvise Bonsaver (eletto nel 1508, e che governò la parrocchia fino al
1546) per una casetta situata nei pressi della chiesa proprio
nell'esistente porticato, che avrebbe dovuto essere demolito, come deciso
successivamente, il 21 aprile 1528, dal parroco in capitolo, insieme
anche ai fabbricieri. Dice infatti il relativo documento: "pro
amplificando et eligenda dicta ecc.a illamq. in statum pulchriorem et
commodiorem
reducendo demoliri fecerint quamdam domunculam, sive certum hospitium ad
pede planum quam sive reperiebatur ad usum et commodum
confraternitatis Scholae Sancti Hermolai situa tu m in dicta...eccl.a".
E si demolisce, così, per poter ampliare e render più bella la chiesa,
quella casetta a piano terra, sulla sinistra della "cella"
antistante la chiesa stessa, in cui aveva sede l'ospizio retto dalla
Scuola di S. Ermolao, fondata nel 1326; un locale dove si tenevano le
suppellettili della Scuola e dove sembra vi fosse anche una farmacia, o
altra bottega (apothecam). Nello stesso luogo viene descritta ivi presente
all'epoca l'esistenza della figura in marmo di S. Ermolao, fin dal 1382, e
che attualmente é sotto il portico dirimpetto alla sacrestia (A.S.S.P,
b.A, b.L, b.S). La
lite tra il pievano e la Scuola di S. Ermolao terminò, con l'arbitrato
del patriarca Gerolamo Querini, con un accordo che vide la Scuola
gratificata,
in cambio di quella richiesta dal Bonsaver, di una casa un po' più ampia,
situata nella callesottoportico a fianco della chiesa. Oltre
a questi lavori, nel 1526, si restaurò completamente il presbiterio,
rifabbricato nelle forme attuali, mentre l'altar maggiore però, ancora
in legno, rimase come il precedente addossato alla parete. Nel
1536 secondo il legato testamentario del N .H. Giacomo Canal, venne
costruito un altare marmoreo, in un primo tempo dedicato all' Annunciata,
nella navata sinistra della chiesa, e accanto ad esso un' arca. Sull'
altare il Canal aveva fatto porre una immagine di "nostra donna di
razzo che m' attrovo in casa e tanti adornamenti di spaliera". Su di
esso, nel 1593, al posto della "bella donna di razzo" venne
messa la pala attuale raffigurante "La visitazione della Madonna a
S. Elisabetta", opera di Leonardo Corona (1561-1605), cambiando così
il titolo dell'altare. Nel
1560 Jacopo Robusti, il Tintoretto (15181594), aveva dipinto intanto
per la chiesa una grande tela dell' Ultima cena, posta probabilmente là
dove attualmente si trova.(A.S.S.P. Visite Pastorali: 1840). Il
campanile ebbe un altro radicale restauro nel 1550, con la sistemazione di
tre nuove campane. Sempre
nel secolo XVI, verso la fine, nel 1594, la Scuola del SS. Sacramento ed
il pievano in carica, Marsilio de' Marsilii (parroco dal 1591 al 1632),
con una spesa di 500 ducati, fecero alzare il pavimento della cappella
danneggiato dalle alte maree, ricoprendolo con lastre di marmo bianco e
rosso di Verona e sigilli sepolcrali. Davanti alla cappella il Sansovino
(nell' edizione della Venetia città nobilissima...de1.1604, con le
correzioni e l'ampliamento dello Stringa) descrive come vi fosse
"un bellissimo soffitto, che risponde all'altar del Santissimo
Sacramento tutto messo ad oro, con pitture, et intagli che adrornano
meravigliosamente". Intorno
al 1595 venne costruito, nella navata sinistra, tra l'altare della
Visitazione e quello quello attuale della Scuola dei Garzotti, un
monumentale
altare per la Scuola di S. Valentino, che il Cappelletti descrive di
proporzioni enormi, ricoperto di marmi preziosi e contornato da
grandissime colonne. Di questo altare, dedicato al santo degli
innamorati, faceva ancora menzione la guida dello Zanotto nel 1856 e il
Cappelletti nel suo opuscolo del 1860; poco si sa di come e quando sia
stato demolito. Il
pievano de' Marsilii, per ricordare in qualche modo la dedicazione della
chiesa, fece apporre, nel 1596, sulla facciata una epigrafe, trasferita
poi il15 luglio 1756 all'interno, sopra la porta laterale di sinistra
che dà sul sottoportico, e che così recita: CUM
NULLUM DE HUJUS TEMPLI
DEDICATIONE PUBLICUM
EXTARET MONUMENTUM
QUAE DIE XV JULII
CELEBRATUR MARSILIUS
DE MARSILII ANTISTES M.D.XC.VI EC. Lavori,
modificazioni e acquisizioni nel 1600
(Torna
all'inizio) Nel
160 l si dà mano a un radicale restauro del tetto, di cui è rimasta una
interessante testimonianza in una carta piegata e "imbrochetata ad
una Cadena del soffitto", rinvenuta dal muratore Andrea Tomasetti,
nel 1795, durante una ricognizione da lui fatta per verificare di quali
interventi necessitasse la fabbrica della chiesa, in occasione di un nuovo
restauro (A.S.S.P, b. S, e Gallicciolli, 1795). Lo
scritto, che è di mano di tale Gerolamo Fontana, primo prete del
capitolo, preoccupato non solo di lasciare un ricordo dell' avvenuto
restauro
e della parte da lui avutavi, ma anche voglioso di dare una personale
testimonianza dell'animazione di quei giorni durante i quali Venezia
era percorsa dal brivido di una possibile guerra contro gli Spagnoli,
così recita: "Al
Nome di Dio Ameni A 1601: adi pmo: Aprill furono fabricati li volti d
legname, cioé fatta lal tal'opera sotto a il Mag.co S.r Vardian dell
Santiss.mo Sagramento il S.r Valerio Coletti etl compagni sotto il Rdo Ms
P.o MarsiUo de Marsilisi Piovan et Ms p Gier.mo Fontama pmo prete et MsI
p Zuanne di Rossi Dotor secondo prete MsI Lissandro Gatti Diacono et ms p
Andrea Ravagnil Sudiacono fu compitor di questa opera Ms. Batta.! Ertile
marangon; nel ql tempo Era principe! il Sereniss.o Marin Grimani
travagliatta Venetia p il tumulto ch'era li Spagnoli in Milano etl in
Venetia
era gran parechio di Zente ch' ognil gno si partiva p andar a Bergamo
Soldattil da S. Marco et p memoria lo P. Gieronimol sop.a ditto ho fatto
la presente ch in occasioni et mai si trovasse si sappia di che tempo
furonl fatti qsti intagli et in ch statto si ritrovanol tutte le
cose". L'anno
1611 i
"Garzotti"; cioé i cardatori di lana, i quali ormai da
tempo avevano ottenuto di riunirsi in Scuola da soli, separandosi dai
"cimadori" coi quali erano uniti sotto il patronato di S.
Nicolò; ebbero il permesso dal Capitolo di erigere un altare per le
loro devozioni, da dedicarsi all' Annunciazione (i cui confini fossero
"per la larghezza siino dalli scalini della cappella che èalla
sacristiafin a quel scalino che descende vicino all'altare di S.
Valentino"); e di "fabricar due Arche" . Sull'altare, su cui si riconosce il segno del "garzo" (strumento usato per la cardatura a mano dei panni di lana), si legge l'iscrizione: ALTAR
DELLA SCUOLA ET ARTE DELLI GARZOTTI MDCXI Oltre
alle tombe richieste dai" Garzotti", altre sepolture vengono
costruite all'epoca, su domanda di diverse persone: p. es., nel 1612, si
fa un accordo tra il pievano Marsilio de' Marsilii, gli altri preti e il
diacono Andrea Dabagni per poter "una tumula, archa, seu sepulcro
fabricari, et construi facere possit et valeat, o modo quo melius sibi
videtur...
", per se stesso e per il fratello; e nel 1677, la famiglia ottiene
il permesso di seppellire in sacrestia il pievano Alvise Cocchelli,
morto nel mese di febbraio. E
a proposito di sepolture fu proprio Alvise Cocchelli, assieme ad un altro
prete, Giovanni Galante, e al parroco di allora Alessandro Gatti che, nel
163 l, incorse nei fulmi n i del Magistrato alla Sanità. Infatti
contravvenendo alle severe disposizioni dei Sopraprovveditori alla Sanità
e del Maggior Consiglio, in materia di sepolture in tempo di peste, come
risulta dalla relazione dei medici incaricati di una ispezione sanitaria
costoro: "nelle arche di tutta la Chiesa e sotto il terreno tutto
di quella sepelliti Morti in quantità maggiore di quello comporta la
capacità della Chiesa, e quali coperti parte in pietre cotte non ben
unite, parte con tavole per il più rotte, et in qualche angolo della
Chiesa esserci quantità di Cadaveri sepolti quasi nella superficie del
terreno, sopra il quale hanno posto intieri coperchi di Sepolture".
E così gran numero di morti era stato, indebitamente, sepolto anche nel
Campo Santo davanti alla chiesa, nel sottoportico, in "salizzada",
e in una corte interna della Canonica, malamente ricoperti di sabbione,
pietre cotte e coperchi fessurati. Dopo
un processo durato fino al dicembre del 1631, e quasi dieci mesi passati
in prigione, il Gatti venne condannato a pagare 100 ducati, e a risarcire
la spesa fatta a ricoprire i corpi" con calcina e Terra da Saoner",
a rifare il pavimento della chiesa con "quadroni tutti uniti"
sigillando le fessure" con mistura bittuminosa, o gessa da presa,
ovvero impiombando le", come era stato fatto nella chiesa di S.
Giovanni Novo per analoga infrazione; e a riparare" la corti cella
interna", il pozzo e la strada nel portico (A.S.S.P,b.A e b.S).
Agli altri due preti fu comminata una pena di 50 ducati cadauno, oltre il
concorso nelle spese suddette. Nel
1633 venne posta sull' altar maggiore la pala raffigurante la
"Presentazione al tempio", che Giacomo Palma il Giovane (1544 -
1628) aveva dipinto intorno al 1615; quadro che attualmente ha in chiesa
una diversa collocazione. Nella
seconda metà del secolo una serie di interventi e di restauri
modificarono ulteriormente, seppur di poco, l'assetto interno della
chiesa: nel 1650 il SS. Sacramento venne stabilmente trasferito nel
tabernacolo della cappella a sinistra del presbiterio, dedicata dal 1505,
e sembra fino ad allora, alla Madonna; nel 1660 venne eretto a spese di
"ca' Pisani" un altare in legno nella navata di destra (più
avanti di quello di S.Ermolao), intitolato a S. Domenico e alla Madonna
della Pietà, di cui non rimane più traccia. Il
tetto fu rialzato nel 1675 e furono aperte, sulle pareti della nave di
mezzo, le finestre a semiluna che danno luce alla chiesa, e
successivamente,
nel 1699, la prima volta venne fatto il soffitto (A.S.S.P, b.L). Anche l'altare nella cappella Albini venne rifatto in legno, con fregi e dorature, quando nel 1680 fu portata da Roma la testa di S. Osvaldo, per interessamento della procuratoressa Angela Correr; mentre qualche anno più tardi fu rifatto anche il pavimento di detta cappella.
La nuova sacrestia, le cappelle, le tombe, il campanile. (Torna all'inizio) Torna alla pianta della chiesa Nelle
"Memorie della Chiesa, dell' Archivio Parrocchiale di S. Simeone
profeta (b. A e b. S), molte sono le notizie riguardanti la chiesa, i
restauri
e le modificazioni avvenuti nel corso del 1700, L'anno
1702 la sacrestia ospita una nuova tomba, quella del primo prete Rev. P.
Andrea Cavallina, sepoltovi il 9 di agosto; mentre nel marzo del 1730
"vien sepolta nella N.a Sagrestia vicino al Scalino dell'Altare"
Teresa Cunegonda Subieski, "relitta del q.m Serenissimo
Massimiliano", duca di Baviera, la quale abitava in Riva di Biasio. Diverse
altre tombe vennero costruite, o risistemate, in chiesa, a più riprese,
nel corso del secolo: del 1733 esisteva nella Cappella maggiore una sola
tomba e su offerta sempre dei duchi di Baviera ne vengono costruite altre
quattro. "Perfabricar le sopradette Arche fu bisogno levar la mensa
dell'Altar Maggiore sotto la quale si scoperse una Cassa di marmo della
lunghezza d'un uomo quale levata si vide quattro Croci dalli quattro lati
di essa di basso rilevo, e d'un lato della suddetta eranvi scolpito le
seguenti parole in Gotthico: "HIC STETIT CORPUS B. SIMEONIS PROPH.
ANNIS CENTUM ET XlIII ", qual cassa fu di nuovo riposta sotto la sud.
mensa, et al giorno di oggi si vede per li sei fori fatti nel Parapetto di
detto Altar". All'interno dell'urna una tavoletta di marmo con una
iscrizione in caratteri gotici dorati ricorda la traslazione del corpo
di S. Simeone da Costantinopoli: +ISTUD EST CORPUS S. SYMEONIS PROPHETE
APORTATUM DE CON STANTINOPOLI AD HUNC LOCUMI MCCIIII. Il
corpo del Santo fu trasferito poi nel 1765, in occasione dell' erezione di
un nuovo altare in marmo al posto di quello vecchio di legno del 1526, in
una cassetta, posta sempre sotto l'altar maggiore, a spese del parroco
Carlo Orsetti (1761 - 1790) e col contributo dei parrocchiani venne fatta
la balaustra del coro ed il nuovo tabernacolo. L'altare venne quindi
consacrato dal vescovo di Caorle, Francesco II Trevisan Suarez 1'8 agosto
del 1765. Altre
due nuove arche erano state fatte, nel 1733, davanti all'altare nella
cappella del SS. Sacramento; invece, nel 1766, vennero aperte tre nuove
arche nel coro, e nel corso dei lavori, rinvenuti i corpi del parroco
Domenico Bombarda (1690 - 1718) e del prete Antonio Cadorin, che vennero
risistemati con ogni cura. Un
primo restauro, durante il secolo XVIII, venne fatto ad opera
dell'architetto Domenico Margutti, nel 1710, e quindi, nel 1719, il
parroco Alessandro Perdoa (1718 - 1758) provvide a spese proprie a far
ingrandire la sacrestia e a farvi erigere un nuovo altare in marmo, mentre
negli anni successivi si fecero, "in noghera", spalliere e
banchi. Anche
l'altare della cappella Albini dedicata a S. Osvaldo "essendo ormai
vecch.mo e rovinoso, perché di rudi, tavole" , venne rifatto, nel
1727, in marmo di Carrara, a spese del parroco e del Capitolo, con il
congruo concorso di un lascito di Marietta Corte; l'altare venne poi
ridedicato alla SS. Trinità. Da una scrittura dell'epoca, conservata
nell' archivio parrocchiale, si viene a sapere che era il più antico
altare in Venezia dedicato a S. Osvaldo, "liberator particolar de
febricitanti", e che il tagliapietra Giacomo Bragato alI'occasione
del restauro si impegnava "di far haltar di S. Sgualdo...doverà eser
con due Schalini di mandola de Verona con sua pradela in Contrasto e con
due colonne di rallo da Trento di due terzi e con i suoi quaritelli sopra
la mensa e schabello con il suo seder chevano atomo il quadro, e con suoi
Capitelli guarniti con Simase e frontalini e con sua custode di marmo fino
per poner le reliquie e meso in opera tuto a mie spese...et Parapetto
il tutto giusto al disegno...eccettuato la fattura delmure/:..".
Per l'altare era stata prevista una spesa di 800 ducati. C'è poi una
ricevuta rilsasciata da Al vise Zaghi, "scultor", in cui si
legge: "Mi obligo io Soto Scrito di due fegure di marmo fino de
Carara di grandezza di piedi tre...a ducati 40 l'una". Si tratta
delle due statue di S. Giovanni Battista e di S. Osvaldo, oggi ai lati
dell' altar maggiore. Di
un nuovo restauro godette nel 1758 il pavimento di questa cappella,
rifatto "hz salizo di marmo a quadretti bianchi e rossi, che prima
era in cotto a spese della Confraternita della Trinità" costituitasi
nel 1734 tra i Sacerdoti della chiesa. L'altar
maggiore, a sua volta, era stato allora arricchito, nel 1738, di due
statuette in marmo di Carrara, raffiguranti due angeli, opera dello
scultore
veneziano Angelo Gai (1686 - 1769) soprannominato il "mezzo
Michelangelo", e donate dal principe Luigi Pio di Savoia,
ambasciatore Ce sareo. Le due statuette vennero probabilmente vendute,
nella seconda metà dell'800, dal parroco Francesco Paganuzzi, il quale
aveva chiesto il permesso alle superiori autorità ecclesiastiche di
alienare "alcuni pezzi di marmo, come una balaustra, duefigure
d'angelo, ed altri oggetti", per far fronte alle spese di un più
necessario restauro, come risulta da una lettera alla Curia del 20 aprile
1888 conservata in archivio parrocchiale ( A.S.S.P, Registro Brevi di
Indulgenza e di Altari Privilegiati...1864. Rescritti Pontifici). Dopo
la metà del secolo si resero necessari dei radicali interventi sulla
fabbrica della chiesa, che minacciava rovina, e per decisione dei tre
Presidenti della Congregazione, il N.H. Giacomo Soranzo, il N.H. Carlo
Gradenigo e il Marchese Antonio Suarez (che era anche Cassiere e
Conservatore delle Elemosine) si passa all'esecuzione di alcune perizie
che rilevano la necessità di riparare tutto il coperto della chiesa e
il muro dalla parte dell'altare di S. M. Elisabetta. In occasione di
questi restauri venne "salizato in mazegni il Campo detto C. Santo ed
il sotto Portico della Chiesa"; l'anno successivo si trasferì il
Battistero dalla parte della sacrestia, mentre nel 1754 venne tolto il
vecchio altare del Rosario, detto di "Ca' Pisani". A spese del
patri zio Giacomo Soranzo si affidò all' architetto veneziano Giorgio
Massari (1686-1766) l'ampliamento della cappella del Rosario, eretta
dalla famiglia patrizia nel 1660, e la costruzione di un nuovo altare,
questo però a spese della Scuola "in sostituzione di quello antico
che era similmente di lor proprietà" (Cappelletti, 1860); consacrato
poi nell'ottobre dall'arcivescovo di Udine Bartolomeo Gradenigo. Nel
1756 demolita la antica facciata del 1525, al suo posto venne eretta una
nuova, progettata sempre da Giorgio Massari; lo ricorda l'iscrizione
posta nel centro, del seguente tenore: D.O.M.
DIVO QUOQUE SIMEONI PROPHETAE
SACRUM PIORUM AERE INSTAURATUM
A.D. M. D. CCLVI Ma
molti altri lavori si fecero ancora nel corso degli anni che vanno dalla
metà del secolo al 1780: fu abbattuto l'altare di S. Domenico; fu
costruito
un nuovo pulpito in legno (eliminato con i restauri degli anni '50 di
questo secolo); le statue lignee degli apostoli della nave centrale, che
erano colorite e dorate, vennero ridipinte di bianco in finto marmo;
sull'altar maggiore, come si è detto, si costruì un tabernacolo nuovo in
marmo; nuovi scanni e spalliere vennero costruiti per il Coro e le
cappelle; nuovi quadri furono posti sugli altari. Un nuovo organo venne
inaugurato nel 1762, ma di esso venne commissionato il rifacimento nel
1792 al più famoso degli organari dell'epoca,Gaetano Callido, e la
spesa venne sostenuta dalla Scuola del SS. Sacramento, che si impegnò
di pagare i 600 ducati di spesa nel corso di 15 anni. Nel
1772 venne restaurata la cappella del SS. e venne affrescata con scene di
storia sacra, rappresentanti, sull' altare" La cena di Emmaus",
e sulle pareti laterali il "Sacrificio di Melchisedech" e
"David davanti al sacerdote Abimelech", opere di Giovanni
Scaiario (1726-1762); mentre le decorazioni furono dipinte da Agostino
Mengozzi Colonna. Nel
1778 il campanile venne rifatto dalle fondamenta, con una cupola per
dare armonia al concerto delle campane, che con una spesa di 2444 ducati
vennero rifatte tutte e tre: la Maggiore (fusa nel 1610 da Gio. Battista
De Toni, e che si era rotta), la Mezzana (opera di Giacomo de' Calderari
del 1597) e la Minore o "sonello" (dallo stesso ultimo fonditore
fatta nel 1595). "Resta
invitata nella mia Chiesa di S. Simeon Profeta l'E. v.aa.: come
Procr. della medemal Martedì pros.o: sarà lì 5: Corr.e: Maggio all'I
ore una in c.a: per trattare dell'occorrentil bisogni di d.a mia Chiesa,
che della grazia I etc. I Il Pievano." Con questo biglietto il Rev.
D. Romolo Manetti, parroco di S. Simeone, convocava per il 5 maggio 1795
la Congregazione dei Procuratori di chiesa per discutere dei restauri di
cui l' edificio parrocchiale sembra avere ormai urgente, ed
improcrastinabile, bisogno. Già due mesi prima un pezzo di soffitto della
navata destra era caduto, facendo precipitare in testa di Lucrezia
Cappello,
domestica di casa Malanotti, con suo grande spavento, un gatto vivo. Dei
venticinque facenti parte della suddetta Congregazione solo undici
parteciparono a quella riunione, durante la quale tuttavia si decise
l'elezione dei Presidenti (il N.H. Piero Donà, il N.H. Antonio Zen, il
signor
Vettor Gabrieli), nonchè del Cassiere e del Conservatore delle Elemosine,
incaricati di guidare tutta l'operazione. Venne
affidato al muratore Andrea Tomasetti l'incarico di descrivere gli
interventi da fare e quantificarne la spesa. Il Tomasetti scrisse, tra le
altre cose, che "il soffitto tutto distaccato Marcito e
cadente" era pericolante, e con esso le travi del tetto per causa di
una grondaia malandata che faceva filtare l'acqua. Consigliò di abbattere
le parti pericolanti e di rifarle nuove: fu un restauro di considerevoli
proporzioni, consistente nel rifacimento di quasi tutto il tetto, nel
risanamento del muro della Cappella dell' altar maggiore e del muro lungo
tutto il portico esterno sul lato sinistro della chiesa. Venne rifatto
anche il soffitto della navata destra e la chiesa venne poi tutta
ridipinta. In
quegli anni tuttavia la chiesa perse parte del suo patrimonio di argenti,
come ricordano le carte dell' Archivio Parrocchiale ( A.S.S.P,b.P):
nell'agosto
1797 "si adottò dal Provvisorio Governo il piano di esaurire
l'Argenteria della Chiesa; e di rijfondere nella Cassa Nazionale tutte le
Aste e Lampadi, Candellieri e Vasi, Tabelle e Turiboli, Croci e
Crocefissi, Secchielli ed Aspersori, Paci, e forniture da Cataletti con
altri generi inservienti ad altari, mortorj e Scole"; poi tutto il
resto seguì la medesima sorte nel giro di due mesi. Ma
nel novembre dello stesso anno veniva promossa da parte del prete Gio
Batta Tisato una sottoscrizione a cui aderirono il popolo e le famiglie
patrizie, Gradenigo in testa, per "ripristinare gli argenti di
chiesa", però temendo "un rinnovato ladrocinio si consegnò
ad alcuni tra i nostri più facoltosi e divoti Parrocchiani (sacri vasi
riportati
della Pubblica Zecca, de' quali ne compariscono essi, e i particolari
acquirenti, e possidenti". Sul "nuovo governo succeduto
all'antica nodstra Repubblica" il Tisato ha parole dure, ricordando
come "non contento d'aver spogliate le Chiese tutte, e sovrammodo la
nostra...impose gravi ed insopperibili Tanse...". Nel
1798 sempre ad opera del Tisato, venne riordinato l'Archivio della chiesa,
(A.S.S.P, Catastico 1778). Lavori, restauri e cambiamenti nella chiesa dal 1800 ai giorni nostri (Torna all'inizio)Ripetuti
restauri, lavori e rimaneggiamenti diversi vanno ricordati in questo
periodo storico durante in quale tuttavia non poche opere pittoriche, e
sculture, di grande interesse presenti nella chiesa di S. Simeone Profeta
andarono disperse. Per
esempio si perdono le tracce di una tela di Domenico Tintoretto,
raffigurante il Redentore risorto, che ancora nel 1815 e nel 1887 veniva
segnalata rispettivamente dalla Guida per la cittàdi Venezia di
Giannantonio Moschini, e da quella pubblicata dall'editore Querci, nonché
da un Inventario di chiesa dell'800, conservato nell' Archivio
Parrocchiale, mentre non se ne trova piùtraccia nella guida del
Lorenzetti del 1923. Altro
quadro interessante, che risultava esposto nel 1771 sull' altare dell'
Annunciazione, segnalato dal Moschini, presente negli inventari del 24
settembre 1820 e del 20 maggio 1840 e che si rende poi irreperebile, è
una Sacra Famiglia del pittore Lorenzo Gramiccia (sec. XVIII), di
proprietà
degli eredi Pasquini (Pansecchi, 1986). Mancano
anche una pala dell'altare di S. Valentino, situato tra l'altare della
Visitazione e quello dell' Annunciata, esso pure presente nella
chiesa almeno fino al 1860 (Cappelletti, 1860) e ricordata dalla
guida di Francesco Zanotto del 1856, ma menzionata anche da Marco Boschini
nelle Ricche minere della pittura veneziana (2a ediz. 1674) e attribuita a
Bernardino Prudenti. Sono assenti anche dei dipinti di Maffeo Verona,
presenti nella cappella del Rosario, un Cristo condotto al Calvario e una
Crocifissione di Pietro Roselli, segnalate in sacrestia nei due volumi di
A. Zanetti, Della pittura Veneziana, nel 1792 e nel 1797. Sempre dalla
sacrestia, e dalla cappella maggiore, mancano una Cena di Cristo cogli
Apostoli, un Cristo nell'orto, un Sacrificio di Noè e un Abramo visitato
da tre angeli di Nicolò Bambini (Radassao, 1990); un S. Girolamo di
Fortunato Pasquetti, ed altre opere minori. Nel
1838 il prospetto della facciata, disegnata dal Massari, venne nuovamente
rivestito di marmo, ed un nuovo rimaneggiamento subì quindi nel 1861,
come ricorda l'iscrizione sull' archi trave FIDELIUM
OBLAT ENCAEN A.D. MDCCCLXI non
si sa con quale rispetto del primitivo progetto massariano (Massari,
1971). Nel
1860 venne fatta una supplica al Patriarca, Domenico Agostini, in data 23
marzo, per il rifacimento del "pavimento di marmo a surrogazione di
quello di cotto" del 1631, e venne anche fatta richiesta di poter
usare "porzione del pavimento della chiesa di S. Lucia",
demolita in quell'anno per far posto alla Stazione Ferroviaria (Zorzi,
1973).Riapparve così l'antico pavimento e vennero riportate alla luce
interessanti lastre sepolcrali, datate fra il 1368 e 1614, descritte
accuratamente dal Cappelletti. Tra
il 1885 e il 1888, ad opera del dinamico parroco Rev.do Francesco
Paganuzzi altri restauri vennero eseguiti, con l'abbattimento di due
altari nella navata sinistra, lo spostamento di quello dell'
Annunciazione, la sistemazione definitiva della sacrestia e dei piccoli
locali annessi, destinati a piccolo ufficio e a contenere l'Archivio
Parrocchiale; quindi dell' altar maggiore, ed altri lavori di minor
importanza. Sopra
la porta della sacristia una scritta latina ricorda questi lavori: PIETAS
EXIMIA A
FIDELIBUS IMPENSA DECORI
TEMPLI
HUIUS REFECTI EXORNATI ANN.
MDCCCLXXXV POSTERIS
IN DOCUMENTUM STET Nel
nostro secolo da ricordare tra il 1953 e il 1955, durante la reggenza del
parroco d. Marcello Dell' Andrea, e in occasione del suo 25mo di
sacerdozio,
il restauro completo del tetto, il consolidamento del soffitto, il
rifacimento delle prime due arcate, la nuova intonacatura di tutta la
chiesa.
Vennero restaurate le due cappelle laterali, venne tolto il monumento
tombale di Antonio Donà in stile neoclassico (1810), opera del canoviano
Antonio Bosa, posto vicino all' altare della Visitazione. Successivamente
(1957) la cappellina sulla parete di destra, che prima ospitava la Madonna
lignea in trono, ora posta vicino all'ingresso, fu adattata a Battisterio
su progetto dell' architetto Giorgia Scattolin (foto alato). Nel
1965 furono rifuse le tre vecchie campane (opera della fonderia di
Francesco de' Poli di Vittorio Veneto) e ne venne aggiunta una quarta;
vennero quindi dotate di un dispositivo elettrico per azionarle realizzato
dalla ditta Giuseppe Morellato e figli di Giovanni Morellato, di Falzè
di Trevignano (TV). A seconda della loro grandezza e tonalità vengono
distinte in: Ermolaa (fa diesis), Rosaria (sol diesis), Simeona (la
diesis) e Messa o "sonello". In
questi ultimi anni dal parroco d. Giacomo Marchesan sono stati fatti
restaurare gli altari del Rosario, della Trinità e il piccolo altare
della sacrestia; ed inoltre, anche con il concorso della Sovraintendenza,
alcuni quadri come la Trinità del Mansueti e la Addolorata di Nicolò
Bambini, entrambi in sacrestia, nonché la S. Agnese del Gramiccia, la
Madonna lignea in trono, un'asta da processione della Scuola di S. Pietro,
e sono stati compiuti altri lavori finanziati anche con lasciti di fedeli. Le Scuole di Devozione a S. Simeone profeta (Torna all'inizio) La
Repubblica di Venezia aveva sempre guardato con attenzione a ogni forma
associativa ben conoscendo l'importanza ch.e avevano queste piccole
comunità nella promozione della solidarietàe del controllo e dell'
aggregazione sociale, anche al di fuori dell'indubbio peso che avevano le
associazioni a sfondo religioso nella formazione e nel controllo morale
dei singoli individui. Avevano
perciò i governanti veneziani lasciate libere, e talora promosse, queste
associazioni, limitandosi a regolamentarne la vita, sia pure con
interventi tanto prudenti quanto decisi. Già
nei primi decenni del secolo XVI il Senato, lo stesso M.C., i
Provveditori di Comun e il C.X. con numerosi decreti intervengono nella
vita delle Scuole Grandi e Piccole, e di ogni altra forma di associazione
come i Sovvegni o le Fraglie, vigilando sull' osservanza dei capitoli
delle "mariegole", intimando ai Guardiani e ai Gastaldi di
riunire le assemblee nei tempi e nei modi previsti dagli statuti,
escludendo dalle riunioni la presenza di ogni persona interessata come
"debitori, creditori, parenti" che potessero influire sulle
decisioni degli associati. Severa
era la sorveglianza delle Magistrature sul modo con cui le Scuole si
procacciavano i fondi, e sul come venivano utilizzati e spesi i denari
dei soci. Controlli annuali erano previsti all'interno delle Scuole da
parte dei revisori dei conti, ed all'esterno da parte della stessa
ragioneria
di stato. I beni delle Scuole dovevano essere inventariati in registri e
catasti particolari; una speciale attenzione veniva posta ai lasciti
testamentari
soprattutto se si trattava di beni immobili. Nell'ultimo secolo di vita
la Repubblica rese ancora più stretta questa sorveglianza inibendo nel
1771 l'esportazione "del Dinaro Nazionale" in territori esteri
per finalità dichiarate religiose; nel 1785 rinnovando in C.X. la
proibizione della creazione di nuove Scuole di devozione, sciogliendo le
associazioni illegali o in deficit; e infine invitando le Scuole a
depositare i loro denari qualora, essendo in attivo, i loro fondi
superassero i 500 ducati. E'
evidente che si trattava di una misura congiunturale per rastrellare
quattrini da utilizzare per uso pubblico, e non erano pochissimi se si
pensa che nel 1797 la Scuola del Rosario di S. Simeone profeta aveva un
deposito di 10.000 ducati che assicurava una rendita annua di 300 ducati.
L'interesse del governo della Repubblica per le Scuole e le varie
associazioni trovava comunque un riscontro nella solidarietà verso lo
stato e nel senso di appartenere ad una comunità "nazionale",
che i cittadini veneziani avevano particolarmente forte. Esempi
di questa solidarietà e di questo senso dello stato dei Veneziani non
mancano nella lunga storia della città: dalle sottoscrizioni in caso di
guerra, alla continua partecipazione di ogni classe sociale alle vicende
della Repubblica. Si
deve inoltre qui sottolineare la singolare analogia, e la grande
somiglianza, tra le norme che regolavano l'apparato statale veneziano e le
regole che erano alla base degli statuti delle Scuole e delle altre
associazioni. Non
ci deve sfuggire inoltre come questi uomini, sia "i grandi della
terra", sia gli altri, piùpiccoli nell' ambito della società,
avessero tutti una comune certezza, una stessa convinzione, una univoca
tendenza: la fede in Dio e la necessità di realizzare la sua volontà.
Fede che si traduceva in opere concrete, volontà che si poteva realizzare
in un comportamento corretto e coerente nell'ambito della società civile,
in un modo di vita nel quale la pietà religiosa aveva un posto non
inferiore accanto ai doveri quotidiani e un peso che oggi fatichiamo ad
immaginare, così distolti come siamo da una esistenza affannata e in
ogni senso dispendiosa. Scuola del Rosario (Torna all'inizio)Il
decreto dei Provveditori di Comun che conferma la Scuola, e riportato
nella "mariegola", èdellS marzo 1536; ma la Scuola è di
fondazione molto più antica,ab immemorabile erecta, anzi sarebbe la prima
delle Scuole del Rosario sorta in Venezia (A. Niero, 1961), anteriore a
quella dei S.S. Giovanni e Paolo, fondata nel 1597, e a quella di s.
Domenico di Castello del 1619 . La
Scuola in antecedenza era nata col titolo della B.V. Maria del Rosario e
del Martire S. Chieregino (S. Quirico), e sembra che, secondo la
tradizione, abbia tratto origine dalla devozione per il Rosario stabilita
in questa chiesa dallo stesso S. Domenico di Guzman che, di passaggio a
Venezia, vi avrebbe predicato. Inoltre si vuole che la chiesa di S.
Simeone Profeta sia sta la prima, tra le chiese secolari, ad avere un
altare dedicato a S. Domenico. Nel
1553 i confratelli della Scuola ottennero di poter usare dell' altare
della Cappella della Madonna, che si premurarono di mantenere adornato e
addobbato; si trova, infatti, una supplica del 1622, diretta ai Capi della
Scuola e fatta da una certa Barbara e altre 149 compagne (riunite insieme
in Pia confraternita con l'obbligo di far celebrare alla morte di
ciascuna il numero di 100 messe di suffragio), le quali chiedono di poter
donare in segno di devozione alI B. V. una lampada d'argento "del
valsente di ducati ventisei" e un calice con la patena. Particolare
curioso è l'esistenza di una supplica dei Capi della Scuola al doge,
nella quale si chiede che venga soppressa una Compagnia del Rosario
istituita a S. Giacomo dell'Orio "con danno della nostra". La
prima cappelletta del Rosario fu innalzata Come
abbiam visto nell755la cappella venne ampliata e rifatta, sempre a spese
dei Soranzo, su disegni del Massari; il lavoro del nuovo altare in marmo
venne eseguito dal tagliapietra Lorenzo Bon, e venne definitivamente
terminato nel 1772 con la costruzione della balaustra in marmo, assumendo
l'attuale aspetto. Altri restauri di quest' altare si ebbero poi nel
1817 e nel 1887, quest'ultimo
ad opera del parroco Francesco Paganuzzl. La
Scuola che era fortemente decaduta e quindi abolita, con le leggi
napoleoniche del 1806 - 1810, si ricostituì l' 8 dicembre del 1816 ad
opera di "24 Divoti" riunitisi con il parroco Romolo Manetti per
"sistemare nel miglior modo possibile l'antichissima Scuola della
SS.ma Vergine del Rosario", e continuò ancora per diversi anni la
sua attività, giungendo fino a tempi molto vicini. Scuola di S.
Ermolao
Nata
nei primi decenni del secolo XIV (1326) ebbe come scopi quelli abituali
delle scuole di devozione, cioè quelli della cristiana pietà "en
subsidio, e merito delle anime nostre biadha, e caritativa
morte", con il fine precipuo della salvezza dell'anima, pur
attraverso i meriti acquisiti con le opere di vera carità, come recita la
"mariegola". "A
zo che le predette ovre de caritade fate per sovignimento de li poveri
posando per ovre venir ademplide..." con l'aiuto di Dio e del santo
Ermolao, "quando algune bone persone vora entrar en questa nostra
Scola chel debio dar e donar a la Scola per il sovigninimento de li
poveri", secondo quanto gli ispira il Signore, "segondo la sua
possibilitude fermamente crezando che lo recevere per un cento, e senza
tuto la vita eterna". Oltre
che dalle offerte il finanziamento delle attività assistenziali della
Scuola proveniva, come si ricava dal Capitolo VI della "mariegola",
che statuiva che alla morte di ciascun confratello "se debia
reschoder e recever per sovegnimento de li poveri della Scola de li beni
de zascun frar nostro...grossi V e plu, e men, segondo la possibilità di
quello". L'ammissione
alla Scuola avveniva, dopo un accurato esame del candidato, a discrezione
del Gastaldo e dei Decani, ed era subordinata al compimento dei 16 anni
e al fatto (dal 1586) che si Tra
gli obblighi degli ufficiati della Scuola, oltre a quelli riguardanti la
frequenza ai riti e alle preghiere, vi era "appresso lo comandamento
de la caritade, e dilection si sia tegnudi de visitar li poveri enfermi de
questa benedeta Scola et a queli sovegnir caritativamente de li beni de
la Scola, e se mester sera aver ne cesso à quelli de farli veglar de note
ed etiam di, o far sepelir queli se del so no fosse che se
potesse...". Inoltre in particolari occasioni era previsto
"che sempre una refecion se debia far a li poveri" della
parrocchia, ed anche "li poveri infermi del hospedal de San Zane
Evangelista sia paxhudi". Gli
iscritti alla Scuola erano assai numerosi; nel 1315 la Scuola si era posta
il limite di 400 iscritti. Un numero considerevole se si pensa che la
Scuola di S. Maria e di S. Gallo contava nel 1497
non più di 150 iscritti, e che la Scuola di S. Nicolò dei Greci, a S.
Biagio, era stata limita dal C.X. a 250 membri. Comunque vi furono scuole
che contarono da 500 fino a 1800 iscritti, come fu per tal une Scuole
Grandi. Alle
attività della Scuola di S. Ermolao parteciparono anche molte donne,
con una presenza così massiccia ("chel sia en questa benedeta Scola
molte done", dice la "mariegola") da ritenere opportuno che
vi fosse una Gastaldessa coadiuvata da un gruppo di Decane, elette dal
1347 nel Capitolo della seconda domenica di Quaresima. Ad esse veniva
anche riconosciuto il diritto di avere, da parte degli ufficiali e dei
consociati della Scuola, le stesse onoranze funebri dovute agli uomini.
Peraltro pur godendo di una certa autonomia le "serore" non
partecipavano alle riunioni del Capitolo, e non entravano, almeno
ufficialmente,
nei momenti decisionali; tuttavia la Gastaldessa e le Decane avevano
l'obbligo, e il privilegio, di essere presenti accanto al Gastaldo alle
cerimonie funebri per le consorelle defunte. Le
Decane erano il tramite tra le consociate ammalate o povere e tutti i pòveri
in generale, e la Gastaldessa. Come
abbiamo visto la Scuola sorta con scopi spirituali aveva anche la finalità
di aiutare i confratelli malati; ma solo dopo un anno di contumacia
essi maturavano il diritto a ricevere una sovvenzione di 20 soldi la
settimana. Negli anni successivi ricevevano 30 soldi dopo il terzo anno
di iscrizione, e 40 dopo il quarto. La
Scuola aveva avuto dapprima la sede nella "cella" antistante la
chiesa e, dopo il 1525, in una casa nel sottoportico della chiesa stessa
nei pressi della sacrestia. Per
tre volte la Scuola si approssimò alla rovina economica, avendo
accentuato il suo aspetto di "sovegno caritativo" e per via del
grande numero di malati che si trovava ad assistere, ma sempre si
rimetteva un poco, finché nel 1760 fu definitivamente abolita (ASSP,b.
S). Dapprincipio
ebbe un suo altare nella cappella vicina alla sacrestia, ma dopo il 1505
secondo il progetto del lascito disposto da Giacomo Albini, per cui tra
gli altri lavori veniva completamente rifatta la cappella, dedicata poi
alla SS. Trinità, la Scuola si trasferì su un nuovo altare posto sulla
navata di destra, edificato nel 1521. Il
27 marzo del 1626 venne ridotta Sovvegno, che durò per altri 140 anni. Scuola dell' Arte dei Garzotti (Torna all'inizio)Divisisi
dai "cimolini" (coi quali erano uniti dal 1539 nella
Confraternita di S. Nicolò, che aveva la sua sede in rio Marin), i
Garzotti domandarono, nel 1608, al Capitolo di S. Simeone di poter
innalzare un proprio altare nella chiesa; il capitolo, nel 1611, rispose
"che il luogo per far altar sii nella fassada dirimpetto alla porta
che va in casa del Sig.r Piovano, cioè dove adesso è il reliquiario
quanto tien tutto il volto. Et li confini di detta altar per larghezza
siino dalli scalini alla cappella che è alla Sacristia fin a quel scalino
che descende vicino all' altar di S. Valentino." Assieme
all'altare, che porta il segno dell' arte e che venne dedicato alla
Annunciazione, i confratelli ottennero più tardi pure la concessione di
avere dei banchi e di fabbricarsi delle tombe, che sono poste davanti alla
attuale cappella del SS., dove per terra si legge: LUOCO
DELLA SCUOLA DELLI GARZOTTI. M.D.CXIII L'Arte
dei Garzotti, e di conseguenza la Scuola venne soppressa per decreto del
Senato l'anno 1787, assieme ad altre quattro Arti" spettanti tutte il
Lanificio, cioè quella de Cimolini, de' Laneri, de' Tesseri e de'
Cimadori da Panni" (A.S.S.P, Convention con li Garzotti). Su
questo altare, la cui pala rappresenta l'Annunciazione in tempi
successivi era anche esposto un quadro raffigurante la "Sacra
Famiglia, con S. Giovannino, S. Elisabetta, S. Anna e S. Zaccaria";
tale quadro, segnalato dal Moschini, del pittore Lorenzo Gramiccia dagli
inventari di chiesa risultava di proprietà della famiglia Pasquini, ed
è ora conservato nel Museo del Seminario di Quebec in Canada (F.
Pansecchi, 1986). Nel
1876 vi fu posta una antica tela di S. Domenico restaurata dal pittore
Luigi Mavero, ora dispersa; durante il secolo XIX venne anche richiesto
da una associazione di devoti di un Capitello di Corte Canal prima, e
quindi da una Compagnia di S. Luigi ed un' altra dell' Assunta. Scuola
di S. Pietro - Congregazione della SS. Trinita
(Torna
all'inizio)
Dalle
Memorie di Chiesa ( A.S.S.P,b. S) si viene a conoscere che il 12 settembre
del 1734 venne fondata dai sacerdoti della chiesa una Congregazione
intitolata alla SS. Trinità, a scopi di mutua assistenza tra 13 preti e
per scopi di religiosa pietà; la Congregazione ottenne dal Capitolo
l'uso dell'altare nella omonima Cappella, dietro l'obbligo di versare
annualmente una quota di e ducati correnti. Le regole di questa
Congregazione
passarono poi a costituire lo statuto di quella che viene chiamata
Scuola di S. Pietro (ma che probabilmente è da identificare con la prima,
visto che in un registro intitolato "Atti di S. Pietro,
1757-1839" (A.S.S.P, b. G) viene riportato che nel 1734 sarebbe stata
fondata, da sacerdoti di chiesa, la Scuola di S. Pietro). Di
questa Scuola sappiamo che nel 1735, con i soldi delle elemosine raccolte
dai chierici, venne acquistato un reliquiario d'argento per porvi le
reliquie dell' Apostolo; che nel 1760, quando venne abolita la Scuola di
S. Ermolao ed il Sovvegno, sull'altare di quest'ultima, oltre ai quadri
e alle sculture del distrutto altare di S. Domenico, venne posto anche un
quadro raffigurante S. Pietro di proprietà della Congregazione dei
sacerdoti. A spese della Compagnia di S. Pietro vennero fatti anche
molti restauri nella chiesa in tempi diversi. La
Scuola conobbe un momento di particolare floridezza dopo il 1771 quando,
promulgata la legge che faceva divieto di portar denaro fuori dello Stato,
tutte le elemosine abitualmente raccolte da una compagnia di questuanti
e destinate in parte al Santuario di Assisi, vennero convogliate alla
Scuola di S. Pietro. Si trattava quasi di 4000 lire annuali, di cui 3000
erano destinate alla celebrazione di messe e funzioni religiose di suffragio
per i morti, mentre le rimanenti 1000 tornavano a beneficio della
Scuola. In tal modo i 1500 associati alla compagnia questuante poterono
continuare la loro opera di raccolta di denaro, godendo poi anche dei
benefici spirituali di questa Scuola, i cui sacerdoti si impegnavano di
celebrare messe a favore dei questuanti. L'operazione ebbe un grande
successo e gli aggregati salirono a 4252, nel 1772; e a 8000, nel 1777,
con la raccolta annuale rispettivamente di 11137 lire e 20554, di cui
una parte restava alla Scuola di S. Pietro e venivano investiti in vario
modo, arricchendo il patrimonio della Scuola. (A.S.S.P.,b.G., Atti di S.
Pietro). La
Scuola, come già detto, parte di questi proventi li destinò anche ad
opere di restauro e di miglioria della chiesa parrocchiale come p.es.
nel 11782 e nel 1787 per il campanile; nel 1792 per l'organo; nel 1795 per
un grosso restauro della chiesa.Ancora nel secolo XIX la Compagnia
continuò
a svolgere la sua attività, almeno fino al 1820;
in tale anno sembra sia stata incorporata in quella del SS. Sacramento,
col titolo di Devozione di S. Pietro. A far illanguidire la Compagnia
contribuirono dapprima le leggi che avevano abolite le con fraterni te e
le scuole; nel 1836 il colera ne sfoltì ampiamente le file; nel 1877
contava ancora 12 confratelli, ma intorno alla fine del secolo se ne
perdono le tracce. Intanto
però nella parrocchia, nel 1838, era sorta ad opera del prete Francesco
Tomasetti la Compagnia dell' Addolorata, che celebrava le sue liturgie
sull' altare di S. Ermolao, che era stato della Scuola di S. Pietro, e sul
quale il pievano Romolo Manetti, quando era ancora alunno di chiesa, aveva
istituito la devozione per S. Vincenzo Ferreri. Scuola
del SS. Sacramento
(Torna
all'inizio) La
devozione per il Corpo di Cristo, cioè per la SS. Eucaristia, è una
delle più antiche, e fino al secolo XIII v'era una sola solennità nella
quale si celebrava il Corpo del Signore, ed era il Giovedì Santo. Successivamente
nel 1246, Roberto, vescovo di Liegi, istituì la festa del Corpo del
Signore (Corpus Domini), che nel 1264 Urbano IV rese valida per tutta la
Chiesa, e Clemente V, nel 1311, confermò con una nuova bolla. A
Venezia la festa del COI'PUS Domini venne dichiarata festa solenne in
Palatio et ubique nel 1295, ad opera del Maggior Consiglio, che nel 1407
decreto anche che fosse fatta una solenne processione in Piazza S. Marco (Gallicciolli,
1795). Uno
dei documenti più antichi riguardanti Scuole del SS. in Venezia è un
decreto del Consiglio dei Dieci, dell' Il giugno 1385, nel quale viene
concesso alle monache del Corpus Domini: "possint facere fieri una
Scholam cum pene/lo sub eodem vocabulo Corporis Christi, in qua possint
intrare personae omnes tam masculi quam foeminae". Al
titolo del Corpo di Cristo si trovano poi nel secolo XV altari in varie
chiese della città, ed anche qualche confraternita (la prima nel 1395).
Ma è nel secolo XVI che, in clima di Riforma cattolica, si diffuse
sempre più la viva devozione per l'Eucaristia, e si fondarono molte
scuole, più tardi presenti in ogni chiesa. Nella chiesa di S. Simeone
esisteva un altare in legno dedicato al SS. Sacramento addossato alla
parete da un lato del presbiterio, nella Cappella Maggiore; il SS. venne
portato nella Cappella attuale (dedicata prima fin dal 1505 alla Madonna)
nella seconda metà del secolo XVII; ma, secondo le notizie riportate nel
ms. del Sandrinelli (A.S.S.P, b. S) la data della costituzione della
Scuola sarebbe quella del 21 agosto 1560,e per quanto vi siano notizie
anteriori della presenza del Santissimo su questo altare (visite
pastorali del 1581 e del 1591, in Arch. Curia Patriarcale). Già
in altra parte si è parlato dei restauri della Cappella effettuati nel
1772, e qualche ulteriore cenno sarà fatto in prosieguo. Nel
1760, abolito il Sovvegno di S. Ermolao, dai Provveditori di Comun, i
confratelli della Suola del SS. entrarono in possesso dei locali e dei
mobili di questo. Essa seguì poi le sorti di tutte le Scuole cittadine. Sovvegno di S. Elisabetta (Torna all'inizio)Derivato
da una più antica Scuola, venne istituito nel 1666, il 30 gennaio per
poter fornire ai poveri malati medico, medicine e ogni altra cosa di cui
avessero bisogno; "si errigeva per sollievo de'Fratelli infermi un
sovvegno di Medico, medicina et altro... "si legge infatti nella
Matricola. Venne costituito da trentadue compagni che si riunirono
"nel luogo solito", cioè in Sacrestia, sotto la guida del
parroco Domenico Pischiutta; nel 1683 ottennero un banco in chiesa. Durò fino al 1760; ma ancora sotto il pievano Giovan Battista Giorda (1838 - 1863) esisteva una Compagnia dei Morti di S. Elisabetta, che ogni anno la prima domenica di settembre si recava al cimitero di S. Cristoforo per recitarvi l'Ufficio dei morti e celebrare una messa. Dopo i confratelli si riunivano per un pranzo. L'altare
del Sovvegno, che in precedenza era dedicato all' Annunziata, era stato
fatto erigere dal N.H. Giacomo Canal, il quale allo scopo aveva disposto
un lascito testamentario, nel 1536 Scuola di S. Valentino (Torna all'inizio)
Il
20 maggio 1602 ''fu fondata, et istituita, questa benedetta Scola, et
Fraternita, sotto la invocazion di Ms. S. Valentin", in parrocchia
di S. Simeone Profeta all'epoca del parroco Marsilio de' Marsiliis,
durante il dogado di Marino Grimani. Essa si costituì "sotto Ms
Bortolo de Dom.co: Vardian, e Ms Zanbattista de Iseppo Avicario, e Ms
Iseppo de Piero Scrivan, Ms Mattio de Piero Sinicho, e Ms Andrea de Angelo
Sinicho et Compagni, et a frutto, et utilità delle Anime di tutti li
Fideli Cristiani"; venne fatto un accordo col pievano e col
Capitolo per poter istituire la Scuola ed avere un altare "a honor de
Dio e della sua Madre, et de S. Valentin", per aver un posto per
mettere un banco e che "il nostro Nonzolo possa andar cercando
per Giesia secondo il consueto delle altre scuole...", nonché di
celebrare le messe per i morti, per le feste e per le elezioni delle cariche, con l'obbligo di fornire i debiti contributi. Il contratto venne
approvato e ratificato il 7 giugno 1602 dai Provveditori di Comun. La
Scuola affidò poi al Capitolo una crocetta d'argento con la reliquia di
S. Valentino, che venne usata per la benedizione degli infermi. Durò fino al XVIII secolo.
Le
reliquie Il
Cappelletti trattando delle reliquie conservate in questa chiesa
giustamente si limita a ricordare le più cospicue e le più preziose.
Delle altre, che pur sono numerose (una quarantina ne riportano gli
inventari, redatti in occasione delle visite pastorali, tra il XVII e il
XIX secolo), non fa la minima menzione. Anche
noi ci adeguiamo a questa scelta, certi di non mancare di rispetto agli
"alcuni osseti dei 40 Innocenti", e alle altre piccole ossa di
S. Pietro o di S. Tommaso, né tanto meno a tutte le altre sacre e
venerabili memorie di numerosi fra santi e martiri, ma per la grande
difficoltà di affrontare un simile argomento. Ricordiamo
perciò soltanto le spoglie del Santo titolare, portate a Venezia nel
XIII secolo ed ora conservate nell'urna posta sotto alla mensa dell'altar
maggiore; e le ossa di S. Ermolao frammiste a quelle di S. Pantaleone. Inoltre
un' altra reliquia considerata ben più insigne è conservata nella chiesa
di S. Simeone profeta: si tratta di una piccola ampolla contenente una o
due gocce del Sangue di Cristo, una porzione di quello conservato nel
tesoro di S. Marco e che fu donato alla parrocchia dal doge Reniero Zen,
nato e battezzato in questa contrada e la cui famiglia abitava in Riva di
Biasio. Questa reliquia, assieme ad una spina della Corona e a un
piccolo frammento della Colonna della Flagellazione, veniva in passato
esposta solennemente la domenica delle Palme e il primo luglio, solennità
del Preziosissimo Sangue, ed era condotta in processione per le strade
della parrocchia la sera del Venerdì Santo.a mensa. L'esterno
e la facciata
II
piccolo campo, denominato Campo Santo, aperto sul rio Marin e sul quale si
affaccia la chiesa dà un minimo di respiro al prospetto esterno della
chiesa, altrimenti chiuso dalle quinte delle case. Un
sobrio motivo geometrico in pietra bianca d'Istria divide il "sacrum"
dal resto del campo, e richiama i motivi disegnati sulla facciata. La
facciata attuale è stata rifatta nella seconda metà del secolo scorso,
come ricorda la scritta sul fregio: FIDELIUM
OBLAT. ENCAEN. A. D. MDCCCLXI e
come riportano il Cappelletti e il Tassini. E'
abitualmente ritenuto che a progettare questo prospetto sia stato il
celebre architetto veneziano Giorgio Massari, nel 1756, in occasione di
radicali restauri. La lapide sopra il portale ricorda questo avvenimento,
tuttavia è da credere che non si tratti dell' epigrafe originale, ma che
sia stata riportata in occasione del rifacimento ottocentesco (A.
Massari, 1967), peraltro non si sa fino a che punto fedele e rispettoso
del primitivo progetto. Come
si è detto la facciata occupa il lato di fondo, di fronte al rio, del
Campo Santo, e ripete la disposizione interna in tre navate, correggendone
però l' asimmetria. E'
una facciata semplice e severa, sulla quale si distribuiscono spazi e
volumi, articolati in uno schema palladiano. Due colonne di stile
composito,
che sporgono dal suolo con un non troppo alto basamento, dividono la parte
centrale, più alta, dai due brevi corpi laterali, un po' più bassi e
sormontati
da due volute che ne accompagnano lo spiovente del tetto, e appena
movimentati da una finestra rettangolare e semplici motivi geometrici. Al
centro della facciata si apre il portale, tra due pilastri lisci,
abbastanza elegante; ai lati più in su due ampie finestre con l'arco a
tutto sesto. Al di sopra della ricordata lapide dedicatoria; e ancora più
in alto il semplice coronamento a listelli; infine il timpano contornato
da un grosso cornicione, decorato a motivi geometrici e con un occhio
d'apertura circolare. Anche
se, come sembra, poco è rimasto dell'originale progetto massariano, si
può però dire che un certo respiro palladiano (caratteristica
dell'architetto
veneziano) non manca a questo prospetto, che ben si inserisce nel
contesto urbano e non manca di una adeguata leggerezza e armonia,
necessarie a non sovrastare il breve spazio su cui la chiesa si affaccia. L'interno
(Torna
all'inizio) Appena
entrati dalla porta centrale non ci si rende conto della asimmetria delle
tre navate, che però risalta ad uno sguardo più attento. Lunga nel suo
insieme m. 29,30 e larga m. 19,45, la chiesa si restringe dal lato della
facciata fino a raggiungere m. 16,80, poiché il muro di sinistra si
adatta all'andamento della calle adiacente. Una
doppia fila di cinque
colonne, in stile medievale, divide la chiesa in tre navate di
differenti proporzioni: m. 7 la navata centrale, m. 3 quella di sinistra e
m. 7,30 quella di destra, che si concludono nelle tre cappelle absidali
dell'altar maggiore e dei due altari del Sacro Cuore (già dellaSS. Trinità o di S. Osvaldo) e del SS.mo
Sacramento. In
fondo a sinistra si apre la porta di accesso alla sacrestia e ai due
piccoli stanzini adiacenti dell' Archi vio Parrocchiale. II
pavimento, più volte restaurato (porta la data di un 'ultimo restauro nel
1907), a quadri di marmo bianco e rosso, presenta numerose lapidi
sepo1crali, ben descritte per la prima volta dal Cappelletti nel 1860, e
tra le quali segnaliamo (delle altre faremo cenno altrove) quella del
pievano
Alvise Bonsaver (1508 - 1546), la quarta dall' ingresso nella navata
centrale, in marmoree colonne, in stile medievale, divide la chiesa in
tre navate di differenti proporzioni: m. 7 la navata centrale, m. 3 quella
di sinistra e m. 7,30 quella di destra, che si concludono nelle tre
cappelle absidali dell'altar maggiore e dei due altari del Sacro Cuore
(già della bianco con su elegantemente profilata in nero l'effigie del
morto, mentre nella cornice che la contorna si legge: ALOYSIO
BONSAVERIO EDIS HUJUSCEAN TISTITI OPTIMO. NEC NON DIVI MARCI CANONICO. ET
VICARIO MERITISSIMO SACRIQUE. COLLEGII DIVAE MARIA E COGNOMENTO MATRIS
DOMINI ARCHIPRESBITERO DIGNISSIMO. HAEREDES PIENTISSIMI POSUERE. La
chiesa è molto ben illuminata ricevendo luce sufficiente dalle ampie
lunette della navata centrale e di quel1a di sinistra, nonché dalle
finestre
rettangolari della parete di fondo e di quella di destra, aperte anche
nella Cappella del Rosario. L'iconografia
della chiesa deve aver avuto un suo piano organizzativo, che però i molti
spostamenti di diversi quadri, e la scomparsa di altri, hanno
sostanzialmente alterato. Riconosciamo tuttavia alcuni temi fondamentali;
innanzi tutto una particolare devozione mariana che risalta dal le pale
di quasi tutti gli altari: la Presentazione al Tempio sull' altar
maggiore, sul quadro del Palma vicino all'ingresso principale;
l'Annunciazione e La Visitazione sugli altari della navata di sinistra; la
Cappella del Rosario a destra, nonché la presenza di una Addolorata
sulla pala del Pollarol sull'altare di S. Ermolao, e alcune sculture
marmoree
sul pali otto dell' altare dei Garzotti, nel Battisterio e sopra la porta
di accesso laterale, e infine la statua di legno della Madonna in trono.
Altro tema è quella ecclesiale espresso dalle dodici statue di apostoli
(singolarmente manca Giuda Taddeo e al suo posto è stato messo S.
Paolo, l'apostolo delle genti) situate sopra le colonne e ai lati del
presbiterio; pregevole opera di Francesco Terilli, scultore feltrino,
presente a Venezia dopo il 1589 e fino al 1618, e nelle cui opere si
ritrovano
echi sansovineschi e della scultura di Alessandro Vittoria (G. Biasuz,
1988). Nella
cappella del SS.mo invece gli affreschi dello Scaiario illustrano il tema
del sacrificio del Cristo e della Resurrezione, con le allusive storie
bibliche sulle pareti laterali e la Cena di Emmaus sull' altare. La navata destra (Torna all'inizio) Torna alla pianta della chiesa Si
inizia la visita del1a chiesa esplorando questa navata che offre alcune
opere di un certo interesse. Immediatamente
a destra del1' ingresso, sopra un antico bancone in legno di noce, si vede
un interessante lavoro di scultura minore, una statua in legno laccato
della Madonna con Bambino (di proprietà della Scuola del Rosario) seduta
su un bel trono intagliato e indorato, la cui parte centrale superiore
è occupata da una corona sostenuta da putti alati, così come quelli che
circondano ai lati la Vergine in gloria, mentre sull' esterno della sedia
ai lati sono due bassorilievi rappresentanti in orazione i due santi che
furono particolarmente devoti al Santo Rosario: a destra S. Domenico di
Guzman, S. Caterina da Siena a sinistra. Non è presente alcuna scritta
che consenta una attribuzione della scultura, databile comunque nel secolo
XVIII. I fedeli della Comunità di S.Simeone hanno affettuosamente
ribattezzato la scultura con il nome de "La Madonna del caregon". Più
in là nell' angolo, presso alla porta che conduce in Canonica, appesa
alla parete, pessimamente illuminata, la grande pala che in precedenza
era stata sull' altar maggiore, raffigurante la Presentazione al Tempio,
opera di Jacopo Palma il Giovane (1548 - 1628), tra i pittori manieristi
uno dei più importanti e alla sua epoca il più avanzato artista
veneziano. Recatosi già in giovane età alla corte del duca di Urbino,
passò nel 1567 a Roma dove rimase fino al 1570; tornato a Venezia nel
1575 dipinse, su commissione del parroco di S. Giacomo dall'Orio, Giovanni
Maria da Ponte, una piccola pala votiva con la Madonna e quattro Santi. La
Beata Vergine al centro, in ginocchio, davanti al vecchio Simeone gli
porge sulle braccia il bambino, portato al Tempio per sciogliere
l'abituale
voto delle puerpere ebree. L'assiste lo sposo, e per lei una compagna o
una parente porta in una gabbietta le offerte per il tempio, due tortore
bianche. Tutta
intorno una folla in movimento, segno di rimembranze tintorettiane,
osserva la scena che si svolge in uno scenario rinascimentale. In alto due
angeli coronano il centro del quadro, e in mezzo a loro discende una luce
che si posa sul bambino e si diffonde alle figure adiacenti. In
ginocchio sul davanti, tagliate a tre quarti, le figure dei committenti,
una coppia di nobili come rivela il loro abito. Subito
appresso il cinquecentesco altare, in stile lombardesco, intitolato a S.
Ermolao e in onore del quale venne edificato, dalla omonima scuola di
devozione, nel 1521. Si
alza dal suolo con una bassa predella di due gradini in marmo bianco,
decorata con motivi geometrici di croci disegnate da marmi policromi,
così come è decorato elegantemente anche il paliotto. Sulla mensa si
alza il sarcofago, che contiene le reliquie del santo titolare assieme a
quelle di altri santi; è in marmo dorato, decorato a motivi floreali e
da due tondi con figure di angelo, con un cartiglio centrale. Due colonne
in stile dorico, sostengono l'arco che inquadra la pala, datata al 1769,
del pittore Carlo Pollarol (1713 - 1782) raffigurante una Madonna
Addolorata in gloria, venerata dai santi Ermolao, Domenico di Guzman,
Vincenzo Ferreri e Pietro. La tela è in cattivo stato di conservazione
e bisognosa di un adeguato restauro. Ai
lati dell'altare due mensole di marmo sostenute da una ampia voluta. Proseguendo
si incontra la piccola cappellina, adattata a battistero dopo i lavori
degli anni 1955 - 1957, su un progetto dell' architetto Giorgia Scattolin.
Il fonte battesimale, una grande coppa in marmo rosso di Verona, è
ricoperto da un bel coperchio in rame battuto lavorato da Giorgio Rallo (
orefice ancora in piena attività), e sovrastato da una statua in bronzo
raffigurante il Battista, opera dello scultore Giuseppe Romanelli. Sulla
parete di fondo della cappellina due tondi in marmo, del secolo XV,
raffiguranti l' Annunciazione. Ai
lati della cappellina, a destra una cornice marmorea quattrocentesca, in
cattivo stato, col bordo dentellato e le fascie scolpite a motivi floreali
e con le figure di profeti dell' Antico Testamento e gli Evangelisti.
Racchiude un mosaico recente (del mosaicista Giulio Padoan) con l'effigie
di S. Pio X. A sinistra, in alto, in una nicchietta sulla parete una
statua in marmo di S. Valentino, del secolo XV, discretamente
conservata. Vien
dopo la Cappella del Rosario, col relativo altare. Sono entrambi del
1755, l'una costruita a spese della famiglia Soranzo di rio Marin, l'altro
a spese della Scuola, e affidati entrambi per la loro progettazione al
Massari. La
Cappella, che si sviluppa all'esterno nello spazio dell' orto della
canonica, si presenta con un prospetto classico con un' arcata in forma di
portale e l'architrave retto da due pilastri corinzi, sul quale si
scorge lo stemma nobiliare dei Soranzo. L'accesso alla Cappella si ha da
una predella in marmi policromi, a gradini convessi e limitata da una
balaustra marmorea. L'altare
di impostazione tardobarocca, anche se progettato in un' epoca in cui si
era già affermato il gusto neo-classico, tra due coppie di colonne
corinzie in marmo rosso, venato di bianco, custodisce una pala di marmo
con putti, angioletti e un drappo, che incornicia ora un quadro di scarso
valore, opera di Sebastiano Santi (XIX sec.). Sovrasta il tutto un timpano con il fastigio decorato da due statue di angeli ai lati e dal cartiglio centrale su cui si legge la scritta: REGINA
SANCTISSIMI ROSARII.
E' ritenuta opera del Morleiter (A. Massari, 1967), ma nelle
Memorie della Chiesa si legge che il lavoro in marmo del nuovo altare
venne eseguito dal tagliapietra Lorenzo Bon. Prima
della porta che conduce in Salizzada della chiesa, e sopra di essa, si
possono vedere due interessanti sculture di epoca gotica. La
prima raffigura S. Giovanni Evangelista venerato da Bartolomeo Ravacaulo,
come si legge sulla iscrizione descritta dal Gevembroch nel secolo XVIII,
e ora gravemente danneggiata in più parti: HONORE/
S. IOHANNIS EV[ANGELISTE BAR]THOLOMEUS
[RAVACHAULUS]/ HUIUS ECCLESIE
PLE[BANUS FECIT]/ FIERI HOC ALTARE
E[T FA]RE UNO CAPELANO D. IPSO SUIS
PERPETUIS TEMPORIBUS. E'
considerata un'opera del secolo XIV, con influssi delle opere di Giovanni
Pisano (Wolters, 1976). La
seconda, sopra la porta, raffigura un Angelo, forse parte di una
Annunciazione, discretamente conservato; anche questo di epoca gotica. Resta
ora da descrivere la Cappella del SS.mo Sacramento a cui si accede da un
cancelletto in ferro che chiude la balaustra in marmo sopra i due gradini,
che la alzano dal piano della chiesa. La
cappella fin dal 1505, epoca in cui venne edificata, era dedicata alla
Madonna e solo attorno al 1650 passò a custodire il S.S. mo Sacramento. Nel
1772 venne restaurata a fondo, e a quell'epoca risalgono l'affresco
della pala, che rappresenta la Cena di Emmaus (ripulita di recente) e
quelli delle pareti laterali di storie dell' Antico Testamento, allusi vi
al mistero dell' Eucaristia (Sacrificio di Melchisedec, David davanti al
sacerdote Alchimelec), nonché quattro allegorie sacre monocrome. Gli
affreschi laterali sono tutti assai mal conservati, quasi illeggibili per
i danni dell' umidità all'intonaco ormai cadente. Queste
opere sono attribuite a Giovanni Scaiario (1726 - 1792), di famiglia
oriunda da Asiago, pittore di maniera tiepolesca e di non scarso
interesse,
raffinato nel colore e nelle sfumature. Fu iscritto in Venezia alla
Fraglia dei Pittori dal 1754 al 1773; fu membro anche dell' Accademia
veneziana,
nella quale ricoprì anche delle cariche. Per
l'altare del SS.mo Sacramento (una delle poche opere dello Scaiario
documentate in Venezia) lavorò accanto a lui Agostino Mengozzi Colonna,
il quale dipinse la parte ornamentale e le quadrature (Rigon, 1981). La
navata centrale
Già
si è detto delle statue lignee che ornano la navata centrale, opera
secentesca di Francesco Terilli. Dell'altar
maggiore originario, coevo all'erezione della chiesa, non è rimasta
alcuna traccia. Sappiamo solamente che nei primi anni del secolo XIII
secolo Andrea Baldovino e Angelo Drusiaco, dopo la conquista i
Costantinopoli, portarono a Venezia il corpo del santo Profeta e che
questo
venne posto nell'altar maggiore, probabilmente rifatto in quella
occasione. Centoquattordici anni dopo, nel febbraio del 1318, l'altare
venne ricostruito e il corpo del santo Simeone, previa la ricognizione da
parte del vescovo di Castello, Jacopo Albertini e di altri prelati,
venne posto in un sarcofago marmoreo, posto sempre sull'altar maggiore e
così descritto dallo Stringa nel 1604: "Il corpo Santo di S. Simeone
predetto, che giace in un sepolcro di marmo posto sopra l'altar maggiore,
con la figura di esso santo disteso sopra il sepolcro". Sull'urna
marmorea venne incisa la seguente scritta: HIC
STETIS CORPUS BEATI SYMEONIS PRTE ANNIS CENTUM ET XIII. Attualmente
la statua del santo si trova nella cappella a sinistra del presbiterio, la
cosiddetta cappella Albini, o della Trinità; è posta sopra un sarcofago
rinvenuto sotto il pavimento della chiesa durante alcuni lavori il 12
dicembre del 1773. Il primitivo sarcofago è andato perduto nel 1765,
quando venne rifatto l'altar maggiore, mentre era parroco Carlo Orsetti
(1761 - 1790), e venne abolito quello più antico del 1526 che era in
legno. L'altare
è isolato dalla parete da una specie di sottopassaggio, a cui si accede
da due porticine laterali aperte nel presbiterio. Lo stile settecentesco,
che risente di influssi tardo barocchi, è reso ancor più austero dal
marmo nero, con screziature bianche, delle quattro colonne in stile
composito, che si alzano da un breve basamento sul livello della mensa e
spartiscono gli spazi: al centro la pala, datata 1892, e firmata da F.
Vason, raffigurante la Presentazione al Tempio; ai lati in due nicchie
con semicalotta a conchiglia, dentro le quali, poste sopra due basi che
chiaramente risultano essere state aggiunte, figurano, le statue di S.
Giovanni Evangelista, a sinistra, e di S.Osvaldo a destra provenienti
dalla cappella della Trinità per la quale, come si è visto, erano state
scolpite nel 1727. Invece
sull'altar maggiore non vi sono più i due Angeli in marmo, scolpiti da
Antonio Gai, e che erano stati donati dal principe Luigi Pio di Savoia
nell'aprile del 1738 "ad abbellimento del presbiterio"
(Cappelletti, 1860), e che probabilmente furono venduti nella seconda
metà del secolo scorso. Al
presbiterio si accede oltrepassando la balaustra marmorea, e dal piano
del suolo l'altare si alza poi con una predella a gradini ad angolo
arrotondato,
in marmo rosso di Verona. Ora
la parte superiore del tabernacolo marmoreo, aggiunto nel 1766, non è
più al suo posto, ma si trova, smontata, nello spazio restrostante
l'altare.
La mensa dell'altare contiene l'urna con le spoglie del Santo Simeone.
Davanti all'altare, sul pavimento, alcune pietre tombali del Capitolo
senza alcuna iscrizione; ai lati un presbiterio in legno. Sul
fondo della navata, sopra la porta centrale d'ingresso, montato su di un
soppalco di legno retto da quattro colonne in stile corinzio, esse pure in
legno, si vede l'organo settecentesco, opera di Gaetano Callido, che più
volte restaurato è ancora ben funzionante. La
navata sinistra Partendo
dalla porta d'ingresso si può ora vedere la più stretta navata di
sinistra, ricca di begli altari e di alcuni pregevoli dipinti. Subito
a sinistra della porta, sulla parete curvilinea del lato occidentale della
chiesa, si vede prima di tutto (ben illuminato da luce naturale nelle ore
del primo pomeriggio) un'Ultima cena di Jacopo Tintoretto (15 l 8 -
1594), datata circa al 1560. Un'
opera non certamente minore del grande pittore veneziano, in cui si
riconosce la grande capacità costruttiva; il sapiente uso della luce, che
nasce dalla figura del Cristo, oscura tutte le altre fonti luminose, e si
diffonde su tutta la scena confondendo i contorni nell' ambiente
circostante e accendendo il colore; il forte cromatismo, di derivazione
tizianesca, ancora visibile in tutta la sua generosità, nonostante la
cattiva conservazione. Oltre
alla figura del Cristo spiccano nel dipinto l'immagine del committente,
verosimilmente il parrocco, in vesti da chierico, situato all'estrema sinistra
che si distingue per il candore della veste. Immediatamente
adiacente l'altare della Visitazione, cinquecentesco, in stile
lombardesco, montato su tre gradini e decorato con marmi e tondi
policromi. La
pala rappresenta l'Incontro di Maria ed Elisabetta, ad Ain-Karim, alla
presenza di Giuseppe e di Zaccaria, posti in posizione più arretrata,
è opera del muranese Leonardo Corona, buon pittore cinquecentesco, emulo
e concorrente del Palma, allievo di Tiziano e di Tintoretto, dai quali
trasse la buona qualità del disegno e uno spiccato senso del colore. Tra
l'altare e la porta laterale, sulla parete dove fino agli anni' 50
campeggiava il monumento funebre di Antonio Donà (1810), opera del
canoviano
Antonio Bosa (sec. XVIII-XIX), è appeso un quadro di grande formato
rappresentante una Santa Agnese in preghiera, con ai piedi un putto con un
agnellino, ignorato fino alla segnalazione di F. Pansecchi del 1986 il
quadro, che èuna copia fedele fin nei particolari di una Sant'Agnese
del Domenichino a Hampton Court, èattribuito al Gramiccia. Segue
più avanti l'altare della Scuola dei Garzotti (1611) austero nelle sue
colonne di marmo nero, appena alleggerite dai capitelli in stile
composito.
Sul paliotto marmoreo, decorato da tondi policromi, al centro, in rilievo
una Annunciazione (due pregevoli figurine marmoree), alla maniera di
Alessandro Vittoria. Anche
la pala, del pittore Blanc (attribuita in precedenza a Jacopo Palma il
giovane), raffigura l'Annunciazione, secondo i canoni classici della
rappresentazione, con l'Arcangelo che si presenta alla Vergine in
preghiera. Lasciata
a sinistra la porta della Sacrestia si accede, salendo tre gradini, alla
piccola cappella cinquecentesca della Trinità (adesso del Sacro Cuore).
Il piccolo altare, rifatto nel secolo XVIII, è interessante per la
policromia dei marmi, da poco restaurato e ripulito, attende una ulteriore
sistemazione. Sulla
parete di destra della cappella, in una specie di nicchia poco profonda
trova posto un sarcofago marmoreo duecentesco, sulla cui parte frontale si
legge l'iscrizione: HIC
STETIT CORPUS BEATI SYMEONIS PROPHETE ANNIS CENTUM ET XlIII. Il
sarcofago era stato ritrovato nel 1773 durante alcuni lavori sul
pavimento della chiesa. Sopra
il sarcofago è posta una statua del santo, giacente, databile tra la fine
del trecento e l'inizio del quattrocento, esempio notevole di scultura
gotica, opera di Marco Romano., databile intorno al1317-1318. Murata
dietro alla statua del santo si legge una iscrizione che descrive la
traslazione del corpo del santo nella chiesa. IN
CHRISTI NOMINE AMEN ANNO INCARNATIONIS MCCXVII MENSE FEBRUARII DIE IIII
INDICTIONE PRIMA TRANSLATIO CORPORIS/ SANCTI SYMEONIS PROPHETE FACTA FUIT
DE QUADAM ARCHA IN HOC ALTARE POSITA IN QUA CXIIII ANNIS/ STETERAT UT IN
TRANSLATIONE DE CONSTANTINOPOLI MCCIII HUC FACTA ET SCRIPTURIS AUTENTI/
CIS PLENIUS CONTINETUS IN HOC EXCELLENTISSIMUM SEPULCRUM PER
VENERABILEM PETREM DOMINUM/ IACOBUM DEI GRATIA EPISCOPUM CASTELLANUM CUM
QUIBUSDAM ALIIS CONVICINIS EPISCOPIS PROCU/ RANTE CUM DEI AUXILIO
BARTHOLOMEO RAVACHAULO EIUSDEM ECCLESIE PLEBANO SINE ALI QUA ECCLESIE/
PECUNIA PROPTER QUOD SUPPLICAT IDEM PLEBANUS HIUS ECCLESIE CAPITULO AC
UNIVERSO CONVICI/NIO UT PER CHRISTI MISERICORDIAM IN SUIS SACRIFICIIS
ET ORATIONIBUS SEMPER SIT IN EORUM MEMORIA/ VISITET QUILIBET LIBENTER
HEC PRECIOSA CORPORA QUIA EX INDE XL DIES DIEBUS SINGULIS RELAXANTUR
DEINIUNCTA SIBI PENITENTI A A DOMINO PATRIARCHA DE ALEXANDRIA DE ORDINARII
LICENCIA/ CELAVIT MARCUS OPUS HOC INSIGNE ROMANUS LAUDIBUS NON PARCUS EST
SUA DIGNA MANUS. La
sacrestia Si
accede alla sacrestia dalla porta posta subito dopo l'altare dei
Garzotti; una bella porta in noce decorata a motivi floreali, tra i quali
spiccano due tondi in bassorilievo rappresentanti la presentazione di
Maria al tempio l'uno e la presentazione di Gesù l'altro. La
sistemazione attuale della sacrestia risale al secolo scorso come ricorda
l'iscrizione nella lapide sopra la porta: PIETAS
EXIMIA A
FIDELIBUS IMPENSA DECORI TEMPLI
HUIUS REFECTI EX ORNATI ANN. M DCCC LXXXV POSTERIS
IN DOCUMENTUM STET All'interno
della sacrestia si conservano ora solo due quadri di quanti ornavano nel
passato questa stanza. Una
Madonna di pietà di Nicolò Bambini (1651 - 1736), citata dal Zanetti nel
1733 e menzionata dallo stesso nel 1771 quale Vergine Addolorata posta
sull' altare della sacrestia. Attualmente si trova sulla parete attigua
(Roberto Radassao, tesi di laurea, 1989 1990). Sull'
altare si trova invece una piccola tavola, raffigurante la Santissima
Trinità, originariamente dipinta per la cappella omonima edificata nel
1505. Il quadro è opera di Giovanni Mansueti (1485 - 1527), discepolo di
Gentile Bellini, che mostra nella struttura compositiva del dipinto la
derivazione di scuola belliniana, ma non è tuttavia privo di una sua
particolare peculiarità, o comunque di altre influenze, come dimostrano
l'imponenza e la maestosità delle figure e alcuni particolari dello
schema compositivo (A.Perissa Torrini, scheda in Restituzioni '91,
Quattordici opere restaurate). Da
segnalare anche sopra la porta della sacrestia, all' esterno, una tela
rappresentante un San Pietro, fornita di una bella cornice secentesca. Il
quadro era di proprietà della omonima Scuola di S. Pietro, come anche la
bella e pesante asta da processione in legno dorato, opera del XVIII
secolo,
con la figura del Santo Apostolo prigioniero liberato dall' angelo. Torna alla foto della Sacrestia Torna alla pianta della chiesa _____________________________________________________________________________________________________ BIBLIOGRAFIA
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