Contesto e vicende storiche   Torna alla pagina iniziale

(tratto dalla omonima guida di Giampaolo Lotter)

Sommario

Il sestiere e la parrocchia  La prima chiesa e la città La seconda chiesa in pietra I grandi restauri (dal secolo XIV al XVI) Lavori, modificazioni e acquisizioni nel 1600 La nuova sacrestia, le cappelle, le tombe, il campanile Lavori, restauri e cambiamenti nella chiesa dal 1800 ai giorni nostri Le Scuole di Devozione a S. Simeone profeta Scuola del Rosario Scuola di S.Ermolao Scuola dell'Arte dei Garzotti Scuola di S.Pietro  Congregazione della SS.Trinità Scuola del SS.Sacramento Sovvegno di S.Elisabetta Scuola di S.Valentino 

Profilo artistico e schede L'esterno e la facciata L'interno La navata destra La navata centrale La navata sinistra La sacrestia

Bibliografia

Il Sestiere e la parrocchia                  Torna alla pagina iniziale

"Il Sestier di Santa Croce non molto grande" ­come scrive nella sua Venezia città nobilissima et singolare Francesco Sansovino - "se non in quanto che l'Isole circonvicine le sono sottoposte", è ancor oggi il più piccolo sesti ere di Venezia.

Tre sono le chiese parrocchiali attualmente ancora attive nel sestiere: quella di S. Nicolò da Tolentino, quella di S. Giacomo dall'Orio; e infine la parrocchiale di S.Simeone Profeta, con la succursale dei S.S. Simeone e Giuda, meglio conosciute entrambe tra il popolo con le denominazioni di S. Simon Grando e S. Simon Piccolo.

Il sestiere di S. Croce, in particolare nell'area della parrocchia di S. Simeone Profeta e di quella di S. Simeone e Giuda, ma anche di altre parrocchie contermini, era il centro della lavorazione della lana, come ancor oggi molti toponimi fanno ricordare, e intorno a cui ruotavano numerosi altri mestieri importanti per l'economia della città. L'arte della lana infatti che veniva annoverata nel 1268, da Martino da Canale, al sesto posto delle attività cittadine, in un primo tempo aveva trovato la sua collocazione fuori del centro cittadino a Murano e a Torcello, ma più tardi nel XIV secolo illaborerium lane i lanifici cioè, cominciarono a rientrare a Venezia per riavvicinarsi al centro commerciale di Rialto. Dapprima in una Ruga S. Nicolò nelle vicinanze di Rialto, e quindi nella zona di S. Simeon Grande e rio Marin, dove nel secolo XV esisteva anche l'edificio del Purgo, ossia la sede dove venivano lavati (purgati) i pannilani e dove risiedeva anche la Camera del Purgo, il magistrato che giudicava le liti insorte tra i lavoratori della lana, e vegliava sulla bontà dei manufatti; l'istituzione venne successivamente trasferita altrove (Tassini,1933; Molmenti,1906; Brunello, 1951).

Fiorentissima l'arte della lana, conobbe una prima decadenza dopo la guerra con Genova alla metà del XIV secolo dovuta all'aumento dei dazi, alla perdita di mercati, alla carenza di mano d'opera. Vi fu poi una ripresa nel secolo successivo legata alle contromisure adottate dal governo, ma anche, e soprattutto, all'espansione di Venezia in Terraferma, dove peraltro la manifattura laniera era fiorente ed affermata. Dai documenti si sa che tra il XV e il XVI secolo operavano a Venezia circa duemila telai da lana, e che l'espansione della produzione nel settore durò fino alla grave crisi conseguente alla epidemia di peste del 1630.

Arte importantissima quella della lana, scrive Tomaso Garzoni che, pur dando maggior guadagno ai mercanti che ai lavoranti, tuttavia, assicura il sostentamento a numerosissimi artigiani e mercanti quali erano i "lane ruoli, mercanti da lana, battilani o verghezini, scardassini, tonditori da lana, cernitori, pettinatori, tiradori, purgadori, cimadori, emendatori, filiere, orditori, tessari, cordatori, folatori, tintori da lana, chiodaruoli, drappieri, sargieri, rascieri, tapezzieri, berettari, cappe/ari, materassari". Qui a S. Simeone, o nelle vicinanze, legati all'arte della lana esistono ancora i toponimi della fondamenta e ponte dei Garzotti, delle Chioverette, di calle del Tintor, del campo della Lana (abitato da molti lavoratori nella industria della lana e sede anche di un ospedale dei Tessitori di Lana Tedeschi, i quali abitavano già dal secolo XIV nel campo omonimo e nella vicina Gradisca). Ricordiamo qui anche l'Oratorio e la Scuola dei Tessitori di Lana, situata in campiello della Chiesa a S. Simon Piccolo, divenuta ora però sede di abitazioni civili. 

La parrocchia di S. Simeone Profeta, prospiciente a Nord sul Canal Grande, lungo il quale si snoda dal ponte della Croce, sulla fondamenta di S. Simeone, fino al rio Terrà in fondo alla riva di Biasio, è come incastonata tra le tre parrocchie dei Tolentini, dei Frari e di S Giacomo dall'Orio con le quali confina con il margine della fondamenta dei Tolentini, il rio delle Muneghette e quello di S. Giovanni Evangelista fino ai ponti della Laca e della Latte; quindi una linea la divide da S. Giacomo, passando immaginariamente in mezzo al campiello e la calle del Cristo, sfiorando il campiello delle Strope, attraversando il campo dei Tedeschi, dividendo calle e campiello Orsetti per finire attraverso una piccola "calesel la" in Lista Vecchia dei Bari e tornare quindi dopo il Riello al succitato rio Terrà.

E' un territorio non molto vasto, che fa di S.Simeone una parrocchia di m~dia grandezza; una zona ancora popolata, anche se decimata, come tutta la città del resto, dalle ultime vicende veneziane.

 

La prima chiesa e la città             (Torna all'inizio)

   La chiesa di S. Simeone Profeta, secondo quanto afferma la maggior parte di storici e cronisti, risulta fondata nel X secolo, intorno all'anno 967, su iniziativa e con il contributo finanziario delle famiglie degli Aoldi (o Adoldi), Briosi e Ghisi. Tuttavia nelle Memorie della Chiesa, conservate nell'Archivio Parrocchiale, (b.A, b.S ), si trova citato un manoscritto del cittadino Enea Alarico, in data 1622, che spiega come la nobile famiglia Briosi "venne di Padova, e furono Savii e Amadori della Patria", e che "dal 927 fecero S. Simon Grande con li Ghisi, Foscari et Aolda".

Gli Adoldi erano venuti dalla Grecia, dove avevano grandi proprietà nelle isole di Andro e Sercine, vendute poi dall'ultimo erede, Nicolò Adoldo, alla famiglia Michiel. La famiglia ottenne il patriziato Veneto e divenne benemerita per le sue attività politiche e sociali; lo stemma degli Adoldi consiste in uno scudo diviso da una fascia caricata da un uccello dall' aspetto di un rapace.

Foscari, Ghisi, Adoldi e Briosi abitavano nella zona, più propriamente nei pressi della chiesa dei S.S. Simeone e Giuda, dove sarebbero sorti i palazzi e le case di proprietà di queste famiglie.

La chiesa costruita da queste famiglie consisteva più che in una vera chiesa piuttosto in un oratorio, o una cappella, comunque una piccola costruzione in legno, con il tetto di paglia, non dissimile dagli altri edifici tipici del tempo, la cui architettura era ancora fino a poco tempo fa esemplificata nei "casoni" sopravvissuti nelle valli lagunari. Alla sua fondazione, nell' 829, la stessa chiesa di S. Marco era tutta in legno, come ogni altra chiesa ed abitazione in Venezia costruite prima del 1000.

Adoldi, Ghisi e Briosi edificarono dunque quella prima chiesetta a proprio uso e degli abitanti di quella zona periferica, per lo più, in origine, pescatori, ortolani o servitori alle dipendenze delle famiglie più ricche. Fu certamente una istanza di religiosa pietà a informare quei fondatori, ed anche la necessità di dare alla comunitàun punto di riferimento morale e insieme civile.

Non esiste alcuna notizia certa sul primitivo assetto architettonico della prima chiesa di S. Simeone, e nemmeno abbiamo documenti sul per ché della scelta di tale santo titolare, né dei primi preti che la ressero. Solamente, ma questo appartiene a epoche più tarde, possiamo farci un'idea della ubicazione della chiesa dalla cartografia.

 

Nella famosissima carta di Jacopo de' Barbari, della fine del 1400, forse il più antico documento in cui appaia la chiesa di S. Simeone nel suo primitivo aspetto figura come un corpo unitario, con il tetto spiovente a capanna, orientata come quella attuale in una situazione urbana che rispecchia quella odierna, anche se non se ne riconosce l' assetto a tre navate su pianta basilicale (Franzoi, 1975). Già però nella pianta risalente al secolo XIV, pubblicata da Tommaso Temanza nella seconda netà del '700, si riconoscono le chiese di S. Simeone Profeta, e di S. Simeone Apostolo, con i relativi, benché sommari, confini parrocchiali.

La presenza di colonne molto antiche e la loro stessa disposizione nella fabbrica odierna non ci consente però di affermare che si presentasse così come è oggi fin dal tempo della sua ricostruzione in pietra, resasi necessaria dopo uno dei frequentissimi incendi che, nel solo secolo XII, ebbero a distruggere a decine le chiese e le case di abitazione della città.

Uno degli incendi più tristemente famosi per le proporzioni assunte fu quello divampato nell'ottobre del 1149 (Gallicciolli, 1795), che dilagò

per tredici contrade distruggendo ogni edificio. Scoppiato infatti a S. Maria Mater Domini si propagò alla vicina contrada di S. Stae e quindi a quelle contermini di S. Agostino, S. Stin, S. Bol­do, S. Giacomo dall'Orio, estendendosi poi a S. Zandegolà, S. Simeone Profeta, S. Simeone Apo­stolo, S. Croce, S. Basilio, S. Nicolò dei Mendicoli e all' Angelo Raffaele.

Alla ricostruzione della chiesa, luogo di preghiera e di pietà religiosa, ma anche di incontro e di coesione sociale, parteciparono allora assieme alle famiglie più ricche ed importanti, anche tutti i membri della comunità, segno tangibile questo di una unione civile, sociale e spirituale.

 

La seconda chiesa in pietra                 (Torna all'inizio)  

    Risale al l 150 l'edificazione della seconda chiesa di S. Simeone Profeta; una costruzione tutta o quasi in pietra, di forma basilicale a tre navate , e tuttavia con molte differenze rispetto a quella attuale.

La facciata era arretrata di circa 5 metri e aveva sul davanti una "cella" o porticato in legno, che forse si continuava con quel sottoportico che oggi contorna il lato nord-ovest della chiesa. Il pavimento della chiesa, della" cella" e del "campedello" antistante alla chiesa, molto più vasto dell' odierno Campo Santo, erano lastricati, secondo l'uso medievale, di "arche", cioè di tombe. Il "campedello" però non venne più usato per seppellire i morti fin dal 1534, come ebbe a convenire il Capitolo con la famiglia Grimani proprietaria di stabili confinanti; il terreno di proprietà della chiesa venne delimitato con una lista di marmo, sulla quale si legge la scritta SACRUM (Catastico 1778, A.S.S.P.)

Il tetto a spioventi si reggeva su travi di legno ed era ancora ricoperto di paglia, come nella primitiva costruzione.

La navata centrale era delimitata da colonne, sei per lato. Il presbiterio, sull' altar maggiore, arrivava molto più in qua dell'attuale, fino alle due prime colonne; ai lati del presbiterio due piccoli altari in legno, nel tabernacolo di uno di essi si conservava il Santissimo. A destra del presbiterio una cappella dedicata alla Madonna.

Il campanile fu costruito in stile romanico, con canna lesenata e con la cella campanaria ricoperta da un tetto di "coppi" a falde inclinate, che molto più tardi venne fatto sormontare da un cupolino.

Nell'828 Bono da Malamocco e Rustico da Torcello, con la traslazione del corpo di S. Marco da Alessandria a Venezia, inauguravano una tradizione che per moltissimi anni i mercanti veneziani seguiranno, per rifornire le loro chiese di sante reliquie, in una gara continua tra famiglia e famiglia, tra contrada e contrada. Anche per la chiesa di S. Simeone arrivarono perciò, a suo tempo, marmi e reliquie. Nel 1203, dopo la quarta crociata quando Enrico Dandolo già si era fregiato del titolo di "signore di un quarto e mezzo dell'Impero di Romania", due mercanti, "I Plebei veneti Andrea Balduino e Angelo Drusiaco" dall'oratorio di S. Maria di Costantinopoli asportarono, così vuole la tradizione, il corpo di S. Simeone Profeta e lo trasportarono a Venezia, come vuole la tradizione, assieme a quello di S. Ermolao, dove fu ricomposto nella chiesa al suo nome intitolata (v. Memorie della Chiesa, b.A e b.S), anche se non si conosce con sicurezza la data in cui la chiesa fu per la prima volta dedicata al santo.

In un primo tempo le reliquie del profeta (la cui proprietà autentica è rivendicata tra l'altro anche dalla città di Zara per l'esistenza del corpo di un santo omonimo custodito in questa città, ma senza alcun documento che lo supporti, sostiene il Corner; si veda per questo però anche il bel saggio di Ch. Seymour jr.) furono situate sotto uno degli altari di legno del presbiterio e, successivamente in un sarcofago di marmo dove rimasero fino al l 317, anno in cui fu rifatto l'altar maggiore e l'urna con le spoglie venne collocata sopra la mensa, previa la ricognizione da parte del vescovo di Castello, Jacopo Albertini, e di altri prelati.

In quell'occasione sull'urna marmo rea venne incisa la seguente dicitura:

 

HIC STETIS CORPUS BEATI SYMEONIS

PRTE ANIS CENTUM ET XIII

 

Di quest'epoca è da ricordare, secondo la tradizione, la presenza di S. Domenico di Guzman, il quale in viaggio verso Roma, fermatosi a Venezia, più volte avrebbe predicato in questa chiesa, suscitando tra l'altro nei fedeli della parrocchia una particolare devozione per il Santo Rosario.

 

 

I grandi restauri (dal secolo XIV al XVI)        (Torna all'inizio)

 

La chiesa subì poi con il passare degli anni continui rimaneggiamenti e migliorie ad opera dei parroci, e col concorso dei fedeli, nonché degli associati alle diverse Scuole di devozione sorte via via nel tempo, e aggregate alla parrocchia. Nel 1301 il tetto di paglia era stato sostituito con una copertura in tegole, ma poi nel corso del XIV secolo non sono ricordate iniziative particolari, oltre il già m~nzionato rifacimento dell' a1tar maggiore nel 1317, e la costruzione del fonte battesimale, che venne sistemato in fondo alla navata sinistra, nei pressi della porta di ingresso pricipale e successivamente trasferito in altra parte della chiesa vicino alla sacrestia.

E' durante tutto il 1500 che la chiesa subì diversi ed importanti restauri, che la portarono ad essere assai vicina al suo assetto attuale, differente da quello che appare nella famosa pianta prospettica di Venezia, intagliata da Jacopo de' Barbari.

Troviamo nelle Memorie della Chiesa, (b.A e b.S), già in precedenza menzionate, una richiesta di tale Giacomo Albini procuratore della chiesa, così formulata. "Et prima domando far capella ai lai l'altare grando, larga pie diexe come xe l' altra fata de la Madonna, e la Sagristia ai lai de dita capella. Appresso se vorave licencia de far el choro dretto come quello de mezzo sicché el fosse tutto avalido. E perché drizando detto choro vegnaria a impedir doi colonne in mezzo, una pei lai voremo quela tirar via, e de doi volti pizzaioli fame uno solo mazor pei do cai". Di recente Fabrizia Callegaro ha pubblicato alcuni documenti della chiesa di S. Simeone, tra cui una pergamena in data 28 gennaio 1505 m.v., nella quale è ampiamente descritto il progetto della sistemazione dell'area presbiteriale con la costruzione della nuova sacrestia e della cappella (F. Callegaro, 1991).

Come si vede una richiesta di lavori, e modifiche, non indifferenti che portarono, a partire dal 1505, nel giro di alcuni anni alla costruzione della sacrestia con un suo altare per la custodia del Santissimo; alla edificazione della cappella detta allora della Trinità, o anche cappella dell' Albini, situata a sinistra dell' altar maggiore, mentre nel presbiterio venivano definitivamente aboliti i due altari lignei laterali.

Dell'epoca è il quadro della Trinità, che il pittore Giovanni Mansueti, dipinse per la pala della cappella Albini, e di cui vedremo più tardi le vicende.

Nel 1521 i confratelli della Scuola di S. Ermolao (una associazione con finalità di culto e assistenziali, che contò numerosi iscritti, fra cui 150 donne) che aveva in un primo tempo un suo altare nella cappella Albini, ottennero di poterlo spostare e costruire nella navata di destra, in stile lom bardesco, con una mensa marmorea e un nuovo sarcofago per accogliere le reliquie del martire e di altri santi.

L'avvio ai grandi restauri e rimaneggiamenti della chiesa di S. Simeone profeta era stato dato dalle decisioni testamentarie di Giacomo Dalbin o Albini, il quale in uno "strumento" del 29 gennaio 1506 così fa scrivere dal suo notaio: "Havendo del 1502 adi primo aprii Habudo licentia dal R.mmo Mx lo Patriarcha de cha Donado" (Tommaso Donà, vescovo di Castello dal 1492 al 1504) ..."de poter oblegare me Ducati Cinquanta ... qual se habia a spender in el far la Sagrestia e far una Cappella a lai l'altra granda. Come è l'altra della Madonna si che la capella granda vegnia in mezo de le do Capelle pizole e la Sagrestia arente a la Capella se fa ... E prima far la Capella a Lai l'altar grando larga pie diexe come se l'altrafacta. E la Sagrestia a lai la dita Capel la In volto sara larga pie nove ben che questo ave dato licentia."

Inoltre chiede di raddrizzare, come abbiam visto, il coro e di spostare le colonne e gli archi stessi della navata. Sempre in quegli anni, intorno al 1525 vi fu una contesa tra il pievano Alvise Bonsaver (eletto nel 1508, e che governò la parrocchia fino al 1546) per una casetta situata nei pressi della chiesa proprio nell'esistente porticato, che avrebbe dovuto essere demolito, come deciso successivamente, il 21 aprile 1528, dal parroco in capitolo, insieme anche ai fabbricieri. Dice infatti il relativo documento: "pro amplificando et eligenda dicta ecc.a illamq. in statum pulchriorem et commodiorem reducendo demoliri fecerint quamdam domunculam, sive certum hospitium ad pede planum quam sive reperiebatur ad usum et commodum confraternitatis Scholae Sancti Hermolai situa tu m in dicta...eccl.a". E si demolisce, così, per poter ampliare e render più bella la chiesa, quella casetta a piano terra, sulla sinistra della "cella" antistante la chiesa stessa, in cui aveva sede l'ospizio retto dalla Scuola di S. Ermolao, fondata nel 1326; un locale dove si tenevano le suppellettili della Scuola e dove sembra vi fosse anche una farmacia, o altra bottega (apothecam). Nello stesso luogo viene descritta ivi presente all'epoca l'esistenza della figura in marmo di S. Ermolao, fin dal 1382, e che attualmente é sotto il portico dirimpetto alla sacrestia (A.S.S.P, b.A, b.L, b.S).

La lite tra il pievano e la Scuola di S. Ermolao terminò, con l'arbitrato del patriarca Gerolamo Querini, con un accordo che vide la Scuola gratificata, in cambio di quella richiesta dal Bonsaver, di una casa un po' più ampia, situata nella callesottoportico a fianco della chiesa.

Oltre a questi lavori, nel 1526, si restaurò completamente il presbiterio, rifabbricato nelle forme attuali, mentre l'altar maggiore però, ancora in legno, rimase come il precedente addossato alla parete.

Nel 1536 secondo il legato testamentario del N .H. Giacomo Canal, venne costruito un altare marmoreo, in un primo tempo dedicato all' Annunciata, nella navata sinistra della chiesa, e accanto ad esso un' arca. Sull' altare il Canal aveva fatto porre una immagine di "nostra donna di razzo che m' attrovo in casa e tanti adornamenti di spaliera". Su di esso, nel 1593, al posto della "bella donna di razzo" venne messa la pala attuale raffigurante "La visitazione della Madonna a S. Elisabetta", opera di Leonardo Corona (1561-1605), cambiando così il titolo dell'altare.

Nel 1560 Jacopo Robusti, il Tintoretto (1518­1594), aveva dipinto intanto per la chiesa una grande tela dell' Ultima cena, posta probabilmente là dove attualmente si trova.(A.S.S.P. Visite Pastorali: 1840).

Il campanile ebbe un altro radicale restauro nel 1550, con la sistemazione di tre nuove campane.

Sempre nel secolo XVI, verso la fine, nel 1594, la Scuola del SS. Sacramento ed il pievano in carica, Marsilio de' Marsilii (parroco dal 1591 al 1632), con una spesa di 500 ducati, fecero alzare il pavimento della cappella danneggiato dalle alte maree, ricoprendolo con lastre di marmo bianco e rosso di Verona e sigilli sepolcrali. Davanti alla cappella il Sansovino (nell' edizione della Venetia città nobilissima...de1.1604, con le correzioni e l'ampliamento dello Stringa) descrive come vi fosse "un bellissimo soffitto, che risponde all'altar del Santissimo Sacramento tutto messo ad oro, con pitture, et intagli che adrornano meravigliosamente".

Intorno al 1595 venne costruito, nella navata sinistra, tra l'altare della Visitazione e quello quello attuale della Scuola dei Garzotti, un monumentale altare per la Scuola di S. Valentino, che il Cappelletti descrive di proporzioni enormi, ricoperto di marmi preziosi e contornato da grandissime colonne. Di questo altare, dedicato al santo degli innamorati, faceva ancora menzione la guida dello Zanotto nel 1856 e il Cappelletti nel suo opuscolo del 1860; poco si sa di come e quando sia stato demolito.

Il pievano de' Marsilii, per ricordare in qualche modo la dedicazione della chiesa, fece apporre, nel 1596, sulla facciata una epigrafe, trasferita poi il15 luglio 1756 all'interno, sopra la porta laterale di sinistra che dà sul sottoportico, e che così recita:

CUM NULLUM DE HUJUS

TEMPLI DEDICATIONE

PUBLICUM EXTARET

MONUMENTUM QUAE DIE XV

JULII CELEBRATUR

MARSILIUS DE MARSILII

ANTISTES M.D.XC.VI EC.

Lavori, modificazioni e acquisizioni nel 1600          (Torna all'inizio)

Nel 160 l si dà mano a un radicale restauro del tetto, di cui è rimasta una interessante testimonianza in una carta piegata e "imbrochetata ad una Cadena del soffitto", rinvenuta dal muratore Andrea Tomasetti, nel 1795, durante una ricognizione da lui fatta per verificare di quali interventi necessitasse la fabbrica della chiesa, in occasione di un nuovo restauro (A.S.S.P, b. S, e Gallicciolli, 1795).

Lo scritto, che è di mano di tale Gerolamo Fontana, primo prete del capitolo, preoccupato non solo di lasciare un ricordo dell' avvenuto restauro e della parte da lui avutavi, ma anche voglioso di dare una personale testimonianza dell'animazione di quei giorni durante i quali Venezia era percorsa dal brivido di una possibile guerra contro gli Spagnoli, così recita:

"Al Nome di Dio Ameni A 1601: adi pmo: Aprill furono fabricati li volti d legname, cioé fatta lal tal'opera sotto a il Mag.co S.r Vardian dell Santiss.mo Sagramento il S.r Valerio Coletti etl compagni sotto il Rdo Ms P.o MarsiUo de Marsilisi Piovan et Ms p Gier.mo Fontama pmo prete et MsI p Zuanne di Rossi Dotor secondo prete MsI Lissandro Gatti Diacono et ms p Andrea Ravagnil Sudiacono fu compitor di questa opera Ms. Batta.! Ertile marangon; nel ql tempo Era principe! il Sereniss.o Marin Grimani travagliatta Venetia p il tumulto ch'era li Spagnoli in Milano etl in Venetia era gran parechio di Zente ch' ognil gno si partiva p andar a Bergamo Soldattil da S. Marco et p memoria lo P. Gieronimol sop.a ditto ho fatto la presente ch in occasioni et mai si trovasse si sappia di che tempo furonl fatti qsti intagli et in ch statto si ritrovanol tutte le cose".

L'anno 1611 i "Garzotti"; cioé i cardatori di lana, i quali ormai da tempo avevano ottenuto di riunirsi in Scuola da soli, separandosi dai "cimadori" coi quali erano uniti sotto il patronato di S. Nicolò; ebbero il permesso dal Capitolo di erigere un altare per le loro devozioni, da dedicarsi all' Annunciazione (i cui confini fossero "per la larghezza siino dalli scalini della cappella che èalla sacristiafin a quel scalino che descende vicino all'altare di S. Valentino"); e di "fabricar due Arche" .

Sull'altare, su cui si riconosce il segno del "garzo" (strumento usato per la cardatura a mano dei panni di lana), si legge l'iscrizione:

ALTAR DELLA SCUOLA ET ARTE DELLI GARZOTTI MDCXI

 

Oltre alle tombe richieste dai" Garzotti", altre sepolture vengono costruite all'epoca, su domanda di diverse persone: p. es., nel 1612, si fa un accordo tra il pievano Marsilio de' Marsilii, gli altri preti e il diacono Andrea Dabagni per poter "una tumula, archa, seu sepulcro fabricari, et construi facere possit et valeat, o modo quo melius sibi videtur... ", per se stesso e per il fratello; e nel 1677, la famiglia ottiene il permesso di seppellire in sacrestia il pievano Alvise Cocchelli, morto nel mese di febbraio.

E a proposito di sepolture fu proprio Alvise Cocchelli, assieme ad un altro prete, Giovanni Galante, e al parroco di allora Alessandro Gatti che, nel 163 l, incorse nei fulmi n i del Magistrato alla Sanità. Infatti contravvenendo alle severe disposizioni dei Sopraprovveditori alla Sanità e del Maggior Consiglio, in materia di sepolture in tempo di peste, come risulta dalla relazione dei medici incaricati di una ispezione sanitaria costoro: "nelle arche di tutta la Chiesa e sotto il terreno tutto di quella sepelliti Morti in quantità maggiore di quello comporta la capacità della Chiesa, e quali coperti parte in pietre cotte non ben unite, parte con tavole per il più rotte, et in qualche angolo della Chiesa esserci quantità di Cadaveri sepolti quasi nella superficie del terreno, sopra il quale hanno posto intieri coperchi di Sepolture". E così gran numero di morti era stato, indebitamente, sepolto anche nel Campo Santo davanti alla chiesa, nel sottoportico, in "salizzada", e in una corte interna della Canonica, malamente ricoperti di sabbione, pietre cotte e coperchi fessurati.

Dopo un processo durato fino al dicembre del 1631, e quasi dieci mesi passati in prigione, il Gatti venne condannato a pagare 100 ducati, e a risarcire la spesa fatta a ricoprire i corpi" con calcina e Terra da Saoner", a rifare il pavimento della chiesa con "quadroni tutti uniti" sigillando le fessure" con mistura bittuminosa, o gessa da presa, ovvero impiombando le", come era stato fatto nella chiesa di S. Giovanni Novo per analoga infrazione; e a riparare" la corti cella interna", il pozzo e la strada nel portico (A.S.S.P,b.A e b.S). Agli altri due preti fu comminata una pena di 50 ducati cadauno, oltre il concorso nelle spese suddette.

Nel 1633 venne posta sull' altar maggiore la pala raffigurante la "Presentazione al tempio", che Giacomo Palma il Giovane (1544 - 1628) aveva dipinto intorno al 1615; quadro che attualmente ha in chiesa una diversa collocazione.

Nella seconda metà del secolo una serie di interventi e di restauri modificarono ulteriormente, seppur di poco, l'assetto interno della chiesa: nel 1650 il SS. Sacramento venne stabilmente trasferito nel tabernacolo della cappella a sinistra del presbiterio, dedicata dal 1505, e sembra fino ad allora, alla Madonna; nel 1660 venne eretto a spese di "ca' Pisani" un altare in legno nella navata di destra (più avanti di quello di S.Ermolao), intitolato a S. Domenico e alla Madonna della Pietà, di cui non rimane più traccia.

Il tetto fu rialzato nel 1675 e furono aperte, sulle pareti della nave di mezzo, le finestre a semiluna che danno luce alla chiesa, e successivamente, nel 1699, la prima volta venne fatto il soffitto (A.S.S.P, b.L).

Anche l'altare nella cappella Albini venne rifatto in legno, con fregi e dorature, quando nel 1680 fu portata da Roma la testa di S. Osvaldo, per interessamento della procuratoressa Angela Correr; mentre qualche anno più tardi fu rifatto anche il pavimento di detta cappella.

 

La nuova sacrestia, le cappelle, le tombe, il campanile.       (Torna all'inizio)  Torna alla pianta della chiesa

 Nelle "Memorie della Chiesa, dell' Archivio Parrocchiale di S. Simeone profeta (b. A e b. S), molte sono le notizie riguardanti la chiesa, i restauri e le modificazioni avvenuti nel corso del 1700,

L'anno 1702 la sacrestia ospita una nuova tomba, quella del primo prete Rev. P. Andrea Cavallina, sepoltovi il 9 di agosto; mentre nel marzo del 1730 "vien sepolta nella N.a Sagrestia vicino al Scalino dell'Altare" Teresa Cunegonda Subieski, "relitta del q.m Serenissimo Massimiliano", duca di Baviera, la quale abitava in Riva di Biasio.

Diverse altre tombe vennero costruite, o risistemate, in chiesa, a più riprese, nel corso del secolo: del 1733 esisteva nella Cappella maggiore una sola tomba e su offerta sempre dei duchi di Baviera ne vengono costruite altre quattro. "Perfabricar le sopradette Arche fu bisogno levar la mensa dell'Altar Maggiore sotto la quale si scoperse una Cassa di marmo della lunghezza d'un uomo quale levata si vide quattro Croci dalli quattro lati di essa di basso rilevo, e d'un lato della suddetta eranvi scolpito le seguenti parole in Gotthico: "HIC STETIT CORPUS B. SIMEONIS PROPH. ANNIS CENTUM ET XlIII ", qual cassa fu di nuovo riposta sotto la sud. mensa, et al giorno di oggi si vede per li sei fori fatti nel Parapetto di detto Altar". All'interno dell'urna una tavoletta di marmo con una iscrizione in caratteri gotici dorati ricorda la traslazione del corpo di S. Simeone da Costantinopoli:

 

+ISTUD EST CORPUS

S. SYMEONIS PROPHETE

APORTATUM DE CON

STANTINOPOLI AD

HUNC LOCUMI MCCIIII.

 

Il corpo del Santo fu trasferito poi nel 1765, in occasione dell' erezione di un nuovo altare in marmo al posto di quello vecchio di legno del 1526, in una cassetta, posta sempre sotto l'altar maggiore, a spese del parroco Carlo Orsetti (1761 - 1790) e col contributo dei parrocchiani venne fatta la balaustra del coro ed il nuovo tabernacolo. L'altare venne quindi consacrato dal vescovo di Caorle, Francesco II Trevisan Suarez 1'8 agosto del 1765.

Altre due nuove arche erano state fatte, nel 1733, davanti all'altare nella cappella del SS. Sacramento; invece, nel 1766, vennero aperte tre nuove arche nel coro, e nel corso dei lavori, rinvenuti i corpi del parroco Domenico Bombarda (1690 - 1718) e del prete Antonio Cadorin, che vennero risistemati con ogni cura.

Un primo restauro, durante il secolo XVIII, venne fatto ad opera dell'architetto Domenico Margutti, nel 1710, e quindi, nel 1719, il parroco Alessandro Perdoa (1718 - 1758) provvide a spese proprie a far ingrandire la sacrestia e a farvi erigere un nuovo altare in marmo, mentre negli anni successivi si fecero, "in noghera", spalliere e banchi.

Anche l'altare della cappella Albini dedicata a S. Osvaldo "essendo ormai vecch.mo e rovinoso, perché di rudi, tavole" , venne rifatto, nel 1727, in marmo di Carrara, a spese del parroco e del Capitolo, con il congruo concorso di un lascito di Marietta Corte; l'altare venne poi ridedicato alla SS. Trinità. Da una scrittura dell'epoca, conservata nell' archivio parrocchiale, si viene a sapere che era il più antico altare in Venezia dedicato a S. Osvaldo, "liberator particolar de febricitanti", e che il tagliapietra Giacomo Bragato alI'occasione del restauro si impegnava "di far haltar di S. Sgualdo...doverà eser con due Schalini di mandola de Verona con sua pradela in Contrasto e con due colonne di rallo da Trento di due terzi e con i suoi quaritelli sopra la mensa e schabello con il suo seder chevano atomo il quadro, e con suoi Capitelli guarniti con Simase e frontalini e con sua custode di marmo fino per poner le reliquie e meso in opera tuto a mie spese...et Parapetto il tutto giusto al disegno...eccettuato la fattura delmure/:..". Per l'altare era stata prevista una spesa di 800 ducati. C'è poi una ricevuta rilsasciata da Al vise Zaghi, "scultor", in cui si legge: "Mi obligo io Soto Scrito di due fegure di marmo fino de Carara di grandezza di piedi tre...a ducati 40 l'una". Si tratta delle due statue di S. Giovanni Battista e di S. Osvaldo, oggi ai lati dell' altar maggiore. 

Di un nuovo restauro godette nel 1758 il pavimento di questa cappella, rifatto "hz salizo di marmo a quadretti bianchi e rossi, che prima era in cotto a spese della Confraternita della Trinità" costituitasi nel 1734 tra i Sacerdoti della chiesa.

L'altar maggiore, a sua volta, era stato allora arricchito, nel 1738, di due statuette in marmo di Carrara, raffiguranti due angeli, opera dello scultore veneziano Angelo Gai (1686 - 1769) soprannominato il "mezzo Michelangelo", e donate dal principe Luigi Pio di Savoia, ambasciatore Ce sareo. Le due statuette vennero probabilmente vendute, nella seconda metà dell'800, dal parroco Francesco Paganuzzi, il quale aveva chiesto il permesso alle superiori autorità ecclesiastiche di alienare "alcuni pezzi di marmo, come una balaustra, duefigure d'angelo, ed altri oggetti", per far fronte alle spese di un più necessario restauro, come risulta da una lettera alla Curia del 20 aprile 1888 conservata in archivio parrocchiale ( A.S.S.P, Registro Brevi di Indulgenza e di Altari Privilegiati...1864. Rescritti Pontifici).

Dopo la metà del secolo si resero necessari dei radicali interventi sulla fabbrica della chiesa, che minacciava rovina, e per decisione dei tre Presidenti della Congregazione, il N.H. Giacomo Soranzo, il N.H. Carlo Gradenigo e il Marchese Antonio Suarez (che era anche Cassiere e Conservatore delle Elemosine) si passa all'esecuzione di alcune perizie che rilevano la necessità di riparare tutto il coperto della chiesa e il muro dalla parte dell'altare di S. M. Elisabetta. In occasione di questi restauri venne "salizato in mazegni il Campo detto C. Santo ed il sotto Portico della Chiesa"; l'anno successivo si trasferì il Battistero dalla parte della sacrestia, mentre nel 1754 venne tolto il vecchio altare del Rosario, detto di "Ca' Pisani". A spese del patri zio Giacomo Soranzo si affidò all' architetto veneziano Giorgio Massari (1686-1766) l'ampliamento della cappella del Rosario, eretta dalla famiglia patrizia nel 1660, e la costruzione di un nuovo altare, questo però a spese della Scuola "in sostituzione di quello antico che era similmente di lor proprietà" (Cappelletti, 1860); consacrato poi nell'ottobre dall'arcivescovo di Udine Bartolomeo Gradenigo.

Nel 1756 demolita la antica facciata del 1525, al suo posto venne eretta una nuova, progettata sempre da Giorgio Massari; lo ricorda l'iscrizione posta nel centro, del seguente tenore:

 

D.O.M. DIVO QUOQUE SIMEONI

PROPHETAE SACRUM PIORUM AERE

INSTAURATUM A.D. M. D. CCLVI

 

Ma molti altri lavori si fecero ancora nel corso degli anni che vanno dalla metà del secolo al 1780: fu abbattuto l'altare di S. Domenico; fu costruito un nuovo pulpito in legno (eliminato con i restauri degli anni '50 di questo secolo); le statue lignee degli apostoli della nave centrale, che erano colorite e dorate, vennero ridipinte di bianco in finto marmo; sull'altar maggiore, come si è detto, si costruì un tabernacolo nuovo in marmo; nuovi scanni e spalliere vennero costruiti per il Coro e le cappelle; nuovi quadri furono posti sugli altari. Un nuovo organo venne inaugurato nel 1762, ma di esso venne commissionato il rifacimento nel 1792 al più famoso degli organari dell'epoca,Gaetano Callido, e la spesa venne sostenuta dalla Scuola del SS. Sacramento, che si impegnò di pagare i 600 ducati di spesa nel corso di 15 anni.

Nel 1772 venne restaurata la cappella del SS. e venne affrescata con scene di storia sacra, rappresentanti, sull' altare" La cena di Emmaus", e sulle pareti laterali il "Sacrificio di Melchisedech" e "David davanti al sacerdote Abimelech", opere di Giovanni Scaiario (1726-1762); mentre le decorazioni furono dipinte da Agostino Mengozzi Colonna.

Nel 1778 il campanile venne rifatto dalle fondamenta, con una cupola per dare armonia al concerto delle campane, che con una spesa di 2444 ducati vennero rifatte tutte e tre: la Maggiore (fusa nel 1610 da Gio. Battista De Toni, e che si era rotta), la Mezzana (opera di Giacomo de' Calderari del 1597) e la Minore o "sonello" (dallo stesso ultimo fonditore fatta nel 1595).      Torna alla pianta della chiesa         Vedi foto del campanile

"Resta invitata nella mia Chiesa di S. Simeon Profeta  l'E. v.aa.: come Procr. della medemal Martedì pros.o: sarà lì 5: Corr.e: Maggio all'I ore una in c.a: per trattare dell'occorrentil bisogni di d.a mia Chiesa, che della grazia I etc. I Il Pievano." Con questo biglietto il Rev. D. Romolo Manetti, parroco di S. Simeone, convocava per il 5 maggio 1795 la Congregazione dei Procuratori di chiesa per discutere dei restauri di cui l' edificio parrocchiale sembra avere ormai urgente, ed improcrastinabile, bisogno. Già due mesi prima un pezzo di soffitto della navata destra era caduto, facendo precipitare in testa di Lucrezia Cappello, domestica di casa Malanotti, con suo grande spavento, un gatto vivo. Dei venticinque facenti parte della suddetta Congregazione solo undici parteciparono a quella riunione, durante la quale tuttavia si decise l'elezione dei Presidenti (il N.H. Piero Donà, il N.H. Antonio Zen, il signor Vettor Gabrieli), nonchè del Cassiere e del Conservatore delle Elemosine, incaricati di guidare tutta l'operazione.

Venne affidato al muratore Andrea Tomasetti l'incarico di descrivere gli interventi da fare e quantificarne la spesa. Il Tomasetti scrisse, tra le altre cose, che "il soffitto tutto distaccato Marcito e cadente" era pericolante, e con esso le travi del tetto per causa di una grondaia malandata che faceva filtare l'acqua. Consigliò di abbattere le parti pericolanti e di rifarle nuove: fu un restauro di considerevoli proporzioni, consistente nel rifacimento di quasi tutto il tetto, nel risanamento del muro della Cappella dell' altar maggiore e del muro lungo tutto il portico esterno sul lato sinistro della chiesa. Venne rifatto anche il soffitto della navata destra e la chiesa venne poi tutta ridipinta.

In quegli anni tuttavia la chiesa perse parte del suo patrimonio di argenti, come ricordano le carte dell' Archivio Parrocchiale ( A.S.S.P,b.P): nell'agosto 1797 "si adottò dal Provvisorio Governo il piano di esaurire l'Argenteria della Chiesa; e di rijfondere nella Cassa Nazionale tutte le Aste e Lampadi, Candellieri e Vasi, Tabelle e Turiboli, Croci e Crocefissi, Secchielli ed Aspersori, Paci, e forniture da Cataletti con altri generi inservienti ad altari, mortorj e Scole"; poi tutto il resto seguì la medesima sorte nel giro di due mesi.

Ma nel novembre dello stesso anno veniva promossa da parte del prete Gio Batta Tisato una sottoscrizione a cui aderirono il popolo e le famiglie patrizie, Gradenigo in testa, per "ripristinare gli argenti di chiesa", però temendo "un rinnovato ladrocinio si consegnò ad alcuni tra i nostri più facoltosi e divoti Parrocchiani (sacri vasi riportati della Pubblica Zecca, de' quali ne compariscono essi, e i particolari acquirenti, e possidenti". Sul "nuovo governo succeduto all'antica nodstra Repubblica" il Tisato ha parole dure, ricordando come "non contento d'aver spogliate le Chiese tutte, e sovrammodo la nostra...impose gravi ed insopperibili Tanse...".

Nel 1798 sempre ad opera del Tisato, venne riordinato l'Archivio della chiesa, (A.S.S.P, Catastico 1778).

 

Lavori, restauri e cambiamenti nella chiesa dal 1800 ai giorni nostri   (Torna all'inizio)

Ripetuti restauri, lavori e rimaneggiamenti diversi vanno ricordati in questo periodo storico durante in quale tuttavia non poche opere pittoriche, e sculture, di grande interesse presenti nella chiesa di S. Simeone Profeta andarono disperse.

Per esempio si perdono le tracce di una tela di Domenico Tintoretto, raffigurante il Redentore risorto, che ancora nel 1815 e nel 1887 veniva segnalata rispettivamente dalla Guida per la cittàdi Venezia di Giannantonio Moschini, e da quella pubblicata dall'editore Querci, nonché da un Inventario di chiesa dell'800, conservato nell' Archivio Parrocchiale, mentre non se ne trova piùtraccia nella guida del Lorenzetti del 1923.

Altro quadro interessante, che risultava esposto nel 1771 sull' altare dell' Annunciazione, segnalato dal Moschini, presente negli inventari del 24 settembre 1820 e del 20 maggio 1840 e che si rende poi irreperebile, è una Sacra Famiglia del pittore Lorenzo Gramiccia (sec. XVIII), di proprietà degli eredi Pasquini (Pansecchi, 1986).

Mancano anche una pala dell'altare di S. Valentino, situato tra l'altare della Visitazione e quello dell' Annunciata, esso pure presente nella  chiesa almeno fino al 1860 (Cappelletti, 1860) e ricordata dalla guida di Francesco Zanotto del 1856, ma menzionata anche da Marco Boschini nelle Ricche minere della pittura veneziana (2a ediz. 1674) e attribuita a Bernardino Prudenti. Sono assenti anche dei dipinti di Maffeo Verona, presenti nella cappella del Rosario, un Cristo condotto al Calvario e una Crocifissione di Pietro Roselli, segnalate in sacrestia nei due volumi di A. Zanetti, Della pittura Veneziana, nel 1792 e nel 1797. Sempre dalla sacrestia, e dalla cappella maggiore, mancano una Cena di Cristo cogli Apostoli, un Cristo nell'orto, un Sacrificio di Noè e un Abramo visitato da tre angeli di Nicolò Bambini (Radassao, 1990); un S. Girolamo di Fortunato Pasquetti, ed altre opere minori.

Nel 1838 il prospetto della facciata, disegnata dal Massari, venne nuovamente rivestito di marmo, ed un nuovo rimaneggiamento subì quindi nel 1861, come ricorda l'iscrizione sull' archi trave 

FIDELIUM OBLAT ENCAEN A.D. MDCC­CLXI

 non si sa con quale rispetto del primitivo progetto massariano (Massari, 1971).

Nel 1860 venne fatta una supplica al Patriarca, Domenico Agostini, in data 23 marzo, per il rifacimento del "pavimento di marmo a surrogazione di quello di cotto" del 1631, e venne anche fatta richiesta di poter usare "porzione del pavimento della chiesa di S. Lucia", demolita in quell'anno per far posto alla Stazione Ferroviaria (Zorzi, 1973).Riapparve così l'antico pavimento e vennero riportate alla luce interessanti lastre sepolcrali, datate fra il 1368 e 1614, descritte accuratamente dal Cappelletti.

Tra il 1885 e il 1888, ad opera del dinamico parroco Rev.do Francesco Paganuzzi altri restauri vennero eseguiti, con l'abbattimento di due altari nella navata sinistra, lo spostamento di quello dell' Annunciazione, la sistemazione definitiva della sacrestia e dei piccoli locali annessi, destinati a piccolo ufficio e a contenere l'Archivio Parrocchiale; quindi dell' altar maggiore, ed altri lavori di minor importanza.

Sopra la porta della sacristia una scritta latina ricorda questi lavori:

 

PIETAS EXIMIA

A FIDELIBUS IMPENSA

DECORI

TEMPLI HUIUS REFECTI EXORNATI

ANN. MDCCCLXXXV

POSTERIS IN DOCUMENTUM STET

 

Nel nostro secolo da ricordare tra il 1953 e il 1955, durante la reggenza del parroco d. Marcello Dell' Andrea, e in occasione del suo 25mo di sacerdozio, il restauro completo del tetto, il consolidamento del soffitto, il rifacimento delle prime due arcate, la nuova intonacatura di tutta la chiesa. Vennero restaurate le due cappelle laterali, venne tolto il monumento tombale di Antonio Donà in stile neoclassico (1810), opera del canoviano Antonio Bosa, posto vicino all' altare della Visitazione.

Successivamente (1957) la cappellina sulla parete di destra, che prima ospitava la Madonna lignea in trono, ora posta vicino all'ingresso, fu adattata a Battisterio su progetto dell' architetto Giorgia Scattolin (foto alato).

Nel 1965 furono rifuse le tre vecchie campane (opera della fonderia di Francesco de' Poli di Vittorio Veneto) e ne venne aggiunta una quarta; vennero quindi dotate di un dispositivo elettrico per azionarle realizzato dalla ditta Giuseppe Morellato e figli di Giovanni Morellato, di Falzè di Trevignano (TV). A seconda della loro grandezza e tonalità vengono distinte in: Ermolaa (fa diesis), Rosaria (sol diesis), Simeona (la diesis) e Messa o "sonello".

In questi ultimi anni dal parroco d. Giacomo Marchesan sono stati fatti restaurare gli altari del Rosario, della Trinità e il piccolo altare della sacrestia; ed inoltre, anche con il concorso della Sovraintendenza, alcuni quadri come la Trinità del Mansueti e la Addolorata di Nicolò Bambini, entrambi in sacrestia, nonché la S. Agnese del Gramiccia, la Madonna lignea in trono, un'asta da processione della Scuola di S. Pietro, e sono stati compiuti altri lavori finanziati anche con lasciti di fedeli.

 

Le Scuole di Devozione a S. Simeone profeta        (Torna all'inizio)

La Repubblica di Venezia aveva sempre guardato con attenzione a ogni forma associativa ben conoscendo l'importanza ch.e avevano queste piccole comunità nella promozione della solidarietàe del controllo e dell' aggregazione sociale, anche al di fuori dell'indubbio peso che avevano le associazioni a sfondo religioso nella formazione e nel controllo morale dei singoli individui.

Avevano perciò i governanti veneziani lasciate libere, e talora promosse, queste associazioni, limitandosi a regolamentarne la vita, sia pure con interventi tanto prudenti quanto decisi.

Già nei primi decenni del secolo XVI il Senato, lo stesso M.C., i Provveditori di Comun e il C.X. con numerosi decreti intervengono nella vita delle Scuole Grandi e Piccole, e di ogni altra forma di associazione come i Sovvegni o le Fraglie, vigilando sull' osservanza dei capitoli delle "mariegole", intimando ai Guardiani e ai Gastaldi di riunire le assemblee nei tempi e nei modi previsti dagli statuti, escludendo dalle riunioni la presenza di ogni persona interessata come "debitori, creditori, parenti" che potessero influire sulle decisioni degli associati.

Severa era la sorveglianza delle Magistrature sul modo con cui le Scuole si procacciavano i fondi, e sul come venivano utilizzati e spesi i denari dei soci. Controlli annuali erano previsti all'interno delle Scuole da parte dei revisori dei conti, ed all'esterno da parte della stessa ragioneria di stato. I beni delle Scuole dovevano essere inventariati in registri e catasti particolari; una speciale attenzione veniva posta ai lasciti testamentari soprattutto se si trattava di beni immobili. Nell'ultimo secolo di vita la Repubblica rese ancora più stretta questa sorveglianza inibendo nel 1771 l'esportazione "del Dinaro Nazionale" in territori esteri per finalità dichiarate religiose; nel 1785 rinnovando in C.X. la proibizione della creazione di nuove Scuole di devozione, sciogliendo le associazioni illegali o in deficit; e infine invitando le Scuole a depositare i loro denari qualora, essendo in attivo, i loro fondi superassero i 500 ducati.

E' evidente che si trattava di una misura congiunturale per rastrellare quattrini da utilizzare per uso pubblico, e non erano pochissimi se si pensa che nel 1797 la Scuola del Rosario di S. Simeone profeta aveva un deposito di 10.000 ducati che assicurava una rendita annua di 300 ducati. L'interesse del governo della Repubblica per le Scuole e le varie associazioni trovava comunque un riscontro nella solidarietà verso lo stato e nel senso di appartenere ad una comunità "nazionale", che i cittadini veneziani avevano particolarmente forte.

Esempi di questa solidarietà e di questo senso dello stato dei Veneziani non mancano nella lunga storia della città: dalle sottoscrizioni in caso di guerra, alla continua partecipazione di ogni classe sociale alle vicende della Repubblica.

Si deve inoltre qui sottolineare la singolare analogia, e la grande somiglianza, tra le norme che regolavano l'apparato statale veneziano e le regole che erano alla base degli statuti delle Scuole e delle altre associazioni.

Non ci deve sfuggire inoltre come questi uomini, sia "i grandi della terra", sia gli altri, piùpiccoli nell' ambito della società, avessero tutti una comune certezza, una stessa convinzione, una univoca tendenza: la fede in Dio e la necessità di realizzare la sua volontà. Fede che si traduceva in opere concrete, volontà che si poteva realizzare in un comportamento corretto e coerente nell'ambito della società civile, in un modo di vita nel quale la pietà religiosa aveva un posto non inferiore accanto ai doveri quotidiani e un peso che oggi fatichiamo ad immaginare, così distolti come siamo da una esistenza affannata e in ogni senso dispendiosa.

 

  

Scuola del Rosario                      (Torna all'inizio)

Il decreto dei Provveditori di Comun che conferma la Scuola, e riportato nella "mariegola", èdellS marzo 1536; ma la Scuola è di fondazione molto più antica,ab immemorabile erecta, anzi sarebbe la prima delle Scuole del Rosario sorta in Venezia (A. Niero, 1961), anteriore a quella dei S.S. Giovanni e Paolo, fondata nel 1597, e a quella di s. Domenico di Castello del 1619 .

La Scuola in antecedenza era nata col titolo della B.V. Maria del Rosario e del Martire S. Chieregino (S. Quirico), e sembra che, secondo la tradizione, abbia tratto origine dalla devozione per il Rosario stabilita in questa chiesa dallo stesso S. Domenico di Guzman che, di passaggio a Venezia, vi avrebbe predicato. Inoltre si vuole che la chiesa di S. Simeone Profeta sia sta la prima, tra le chiese secolari, ad avere un altare dedicato a S. Domenico.

Nel 1553 i confratelli della Scuola ottennero di poter usare dell' altare della Cappella della Madonna, che si premurarono di mantenere adornato e addobbato; si trova, infatti, una supplica del 1622, diretta ai Capi della Scuola e fatta da una certa Barbara e altre 149 compagne (riunite insieme in Pia confraternita con l'obbligo di far celebrare alla morte di ciascuna il numero di 100 messe di suffragio), le quali chiedono di poter donare in segno di devozione alI B. V. una lampada d'argento "del valsente di ducati ventisei" e un calice con la patena.

Particolare curioso è l'esistenza di una supplica dei Capi della Scuola al doge, nella quale si chiede che venga soppressa una Compagnia del Rosario istituita a S. Giacomo dell'Orio "con danno della nostra".

La prima cappelletta del Rosario fu innalzata nel 1660 dalla famiglia Soranzo di rio Marin, decorata con stucchi e con un altare ligneo dorato, che era chiamato di "ca' Pisani".

Come abbiam visto nell755la cappella venne ampliata e rifatta, sempre a spese dei Soranzo, su disegni del Massari; il lavoro del nuovo altare in marmo venne eseguito dal tagliapietra Lorenzo Bon, e venne definitivamente terminato nel 1772 con la costruzione della balaustra in marmo, assumendo l'attuale aspetto. Altri restauri di quest' altare si ebbero poi nel 1817 e nel 1887, quest'ultimo ad opera del parroco Francesco Paganuzzl.

La Scuola che era fortemente decaduta e quindi abolita, con le leggi napoleoniche del 1806 - 1810, si ricostituì l' 8 dicembre del 1816 ad opera di "24 Divoti" riunitisi con il parroco Romolo Manetti per "sistemare nel miglior modo possibi­le l'antichissima Scuola della SS.ma Vergine del Rosario", e continuò ancora per diversi anni la sua attività, giungendo fino a tempi molto vicini.

 

Scuola di S. Ermolao          (Torna all'inizio)           

Nata nei primi decenni del secolo XIV (1326) ebbe come scopi quelli abituali delle scuole di devozione, cioè quelli della cristiana pietà "en subsidio, e merito delle anime nostre biadha, e caritativa morte", con il fine precipuo della salvezza dell'anima, pur attraverso i meriti acquisiti con le opere di vera carità, come recita la "mariegola".

"A zo che le predette ovre de caritade fate per sovignimento de li poveri posando per ovre venir ademplide..." con l'aiuto di Dio e del santo Ermolao, "quando algune bone persone vora entrar en questa nostra Scola chel debio dar e donar a la Scola per il sovigninimento de li poveri", secondo quanto gli ispira il Signore, "segondo la sua possibilitude fermamente crezando che lo recevere per un cento, e senza tuto la vita eterna".

Oltre che dalle offerte il finanziamento delle attività assistenziali della Scuola proveniva, come si ricava dal Capitolo VI della "mariegola", che statuiva che alla morte di ciascun confratello "se debia reschoder e recever per sovegnimento de li poveri della Scola de li beni de zascun frar nostro...grossi V e plu, e men, segondo la possibilità di quello".

L'ammissione alla Scuola avveniva, dopo un accurato esame del candidato, a discrezione del Gastaldo e dei Decani, ed era subordinata al compimento dei 16 anni e al fatto (dal 1586) che si trattasse di "homo de bonafama e conversacion".

Tra gli obblighi degli ufficiati della Scuola, oltre a quelli riguardanti la frequenza ai riti e alle preghiere, vi era "appresso lo comandamento de la caritade, e dilection si sia tegnudi de visitar li poveri enfermi de questa benedeta Scola et a queli sovegnir caritativamente de li beni de la Scola, e se mester sera aver ne cesso à quelli de farli veglar de note ed etiam di, o far sepelir queli se del so no fosse che se potesse...". Inoltre in particolari occasioni era previsto "che sempre una refecion se debia far a li poveri" della parrocchia, ed anche "li poveri infermi del hospedal de San Zane Evangelista sia paxhudi".

Gli iscritti alla Scuola erano assai numerosi; nel 1315 la Scuola si era posta il limite di 400 iscritti. Un numero considerevole se si pensa che la Scuola di S. Maria e di S. Gallo contava nel

1497 non più di 150 iscritti, e che la Scuola di S. Nicolò dei Greci, a S. Biagio, era stata limita dal C.X. a 250 membri. Comunque vi furono scuole che contarono da 500 fino a 1800 iscritti, come fu per tal une Scuole Grandi.

Alle attività della Scuola di S. Ermolao parteciparono anche molte donne, con una presenza così massiccia ("chel sia en questa benedeta Scola molte done", dice la "mariegola") da ritenere opportuno che vi fosse una Gastaldessa coadiuvata da un gruppo di Decane, elette dal 1347 nel Capitolo della seconda domenica di Quaresima. Ad esse veniva anche riconosciuto il diritto di avere, da parte degli ufficiali e dei consociati della Scuola, le stesse onoranze funebri dovute agli uomini. Peraltro pur godendo di una certa autonomia le "serore" non partecipavano alle riunioni del Capitolo, e non entravano, almeno ufficialmente, nei momenti decisionali; tuttavia la Gastaldessa e le Decane avevano l'obbligo, e il privilegio, di essere presenti accanto al Gastaldo alle cerimonie funebri per le consorelle defunte.

Le Decane erano il tramite tra le consociate ammalate o povere e tutti i pòveri in generale, e la Gastaldessa.

Come abbiamo visto la Scuola sorta con scopi spirituali aveva anche la finalità di aiutare i confratelli malati; ma solo dopo un anno di contumacia essi maturavano il diritto a ricevere una sovvenzione di 20 soldi la settimana. Negli anni successivi ricevevano 30 soldi dopo il terzo anno di iscrizione, e 40 dopo il quarto.

La Scuola aveva avuto dapprima la sede nella "cella" antistante la chiesa e, dopo il 1525, in una casa nel sottoportico della chiesa stessa nei pressi della sacrestia.

Per tre volte la Scuola si approssimò alla rovina economica, avendo accentuato il suo aspetto di "sovegno caritativo" e per via del grande numero di malati che si trovava ad assistere, ma sempre si rimetteva un poco, finché nel 1760 fu definitivamente abolita (ASSP,b. S).

Dapprincipio ebbe un suo altare nella cappella vicina alla sacrestia, ma dopo il 1505 secondo il progetto del lascito disposto da Giacomo Albini, per cui tra gli altri lavori veniva completamente rifatta la cappella, dedicata poi alla SS. Trinità, la Scuola si trasferì su un nuovo altare posto sulla navata di destra, edificato nel 1521.

Il 27 marzo del 1626 venne ridotta Sovvegno, che durò per altri 140 anni.

 

Scuola dell' Arte dei Garzotti                (Torna all'inizio)

Divisisi dai "cimolini" (coi quali erano uniti dal 1539 nella Confraternita di S. Nicolò, che aveva la sua sede in rio Marin), i Garzotti domandarono, nel 1608, al Capitolo di S. Simeone di poter innalzare un proprio altare nella chiesa; il capitolo, nel 1611, rispose "che il luogo per far altar sii nella fassada dirimpetto alla porta che va in casa del Sig.r Piovano, cioè dove adesso è il reliquiario quanto tien tutto il volto. Et li confini di detta altar per larghezza siino dalli scalini alla cappella che è alla Sacristia fin a quel scalino che descende vicino all' altar di S. Valentino."

Assieme all'altare, che porta il segno dell' arte e che venne dedicato alla Annunciazione, i confratelli ottennero più tardi pure la concessione di avere dei banchi e di fabbricarsi delle tombe, che sono poste davanti alla attuale cappella del SS., dove per terra si legge:

 

LUOCO DELLA SCUOLA DELLI GARZOTTI. M.D.CXIII

 

L'Arte dei Garzotti, e di conseguenza la Scuola venne soppressa per decreto del Senato l'anno 1787, assieme ad altre quattro Arti" spettanti tutte il Lanificio, cioè quella de Cimolini, de' Laneri, de' Tesseri e de' Cimadori da Panni" (A.S.S.P, Convention con li Garzotti).

Su questo altare, la cui pala rappresenta l'Annunciazione in tempi successivi era anche esposto un quadro raffigurante la "Sacra Famiglia, con S. Giovannino, S. Elisabetta, S. Anna e S. Zaccaria"; tale quadro, segnalato dal Moschini, del pittore Lorenzo Gramiccia dagli inventari di chiesa risultava di proprietà della famiglia Pasquini, ed è ora conservato nel Museo del Seminario di Quebec in Canada (F. Pansecchi, 1986).

Nel 1876 vi fu posta una antica tela di S. Domenico restaurata dal pittore Luigi Mavero, ora dispersa; durante il secolo XIX venne anche richiesto da una associazione di devoti di un Capitello di Corte Canal prima, e quindi da una Compagnia di S. Luigi ed un' altra dell' Assunta.

 

Scuola di S. Pietro - Congregazione della SS. Trinita        (Torna all'inizio)

 

 Dalle Memorie di Chiesa ( A.S.S.P,b. S) si viene a conoscere che il 12 settembre del 1734 venne fondata dai sacerdoti della chiesa una Congregazione intitolata alla SS. Trinità, a scopi di mutua assistenza tra 13 preti e per scopi di religiosa pietà; la Congregazione ottenne dal Capitolo l'uso dell'altare nella omonima Cappella, dietro l'obbligo di versare annualmente una quota di e ducati correnti. Le regole di questa Congregazione passarono poi a costituire lo statuto di quella che viene chiamata Scuola di S. Pietro (ma che probabilmente è da identificare con la prima, visto che in un registro intitolato "Atti di S. Pietro, 1757-1839" (A.S.S.P, b. G) viene riportato che nel 1734 sarebbe stata fondata, da sacerdoti di chiesa, la Scuola di S. Pietro).

Di questa Scuola sappiamo che nel 1735, con i soldi delle elemosine raccolte dai chierici, venne acquistato un reliquiario d'argento per porvi le reliquie dell' Apostolo; che nel 1760, quando venne abolita la Scuola di S. Ermolao ed il Sovvegno, sull'altare di quest'ultima, oltre ai quadri e alle sculture del distrutto altare di S. Domenico, venne posto anche un quadro raffigurante S. Pietro di proprietà della Congregazione dei sacerdoti. A spese della Compagnia di S. Pietro vennero fatti anche molti restauri nella chiesa in tempi diversi.

La Scuola conobbe un momento di particolare floridezza dopo il 1771 quando, promulgata la legge che faceva divieto di portar denaro fuori dello Stato, tutte le elemosine abitualmente raccolte da una compagnia di questuanti e destinate in parte al Santuario di Assisi, vennero convogliate alla Scuola di S. Pietro. Si trattava quasi di 4000 lire annuali, di cui 3000 erano destinate alla celebrazione di messe e funzioni religiose di suffragio per i morti, mentre le rimanenti 1000 tornavano a beneficio della Scuola. In tal modo i 1500 associati alla compagnia questuante poterono continuare la loro opera di raccolta di denaro, godendo poi anche dei benefici spirituali di questa Scuola, i cui sacerdoti si impegnavano di celebrare messe a favore dei questuanti. L'operazione ebbe un grande successo e gli aggregati salirono a 4252, nel 1772; e a 8000, nel 1777, con la raccolta annuale rispettivamente di 11137 lire e 20554, di cui una parte restava alla Scuola di S. Pietro e venivano investiti in vario modo, arricchendo il patrimonio della Scuola. (A.S.S.P.,b.G., Atti di S. Pietro).

La Scuola, come già detto, parte di questi proventi li destinò anche ad opere di restauro e di miglioria della chiesa parrocchiale come p.es. nel 11782 e nel 1787 per il campanile; nel 1792 per l'organo; nel 1795 per un grosso restauro della chiesa.Ancora nel secolo XIX la Compagnia continuò a svolgere la sua attività, almeno fino al

1820; in tale anno sembra sia stata incorporata in quella del SS. Sacramento, col titolo di Devozione di S. Pietro. A far illanguidire la Compagnia contribuirono dapprima le leggi che avevano abolite le con fraterni te e le scuole; nel 1836 il colera ne sfoltì ampiamente le file; nel 1877 contava ancora 12 confratelli, ma intorno alla fine del secolo se ne perdono le tracce.

Intanto però nella parrocchia, nel 1838, era sorta ad opera del prete Francesco Tomasetti la Compagnia dell' Addolorata, che celebrava le sue liturgie sull' altare di S. Ermolao, che era stato della Scuola di S. Pietro, e sul quale il pievano Romolo Manetti, quando era ancora alunno di chiesa, aveva istituito la devozione per S. Vincenzo Ferreri.

 

 

Scuola del SS. Sacramento                (Torna all'inizio)

 

La devozione per il Corpo di Cristo, cioè per la SS. Eucaristia, è una delle più antiche, e fino al secolo XIII v'era una sola solennità nella quale si celebrava il Corpo del Signore, ed era il Giovedì Santo.

Successivamente nel 1246, Roberto, vescovo di Liegi, istituì la festa del Corpo del Signore (Corpus Domini), che nel 1264 Urbano IV rese valida per tutta la Chiesa, e Clemente V, nel 1311, confermò con una nuova bolla.

A Venezia la festa del COI'PUS Domini venne dichiarata festa solenne in Palatio et ubique nel 1295, ad opera del Maggior Consiglio, che nel 1407 decreto anche che fosse fatta una solenne processione in Piazza S. Marco (Gallicciolli, 1795).

Uno dei documenti più antichi riguardanti Scuole del SS. in Venezia è un decreto del Consiglio dei Dieci, dell' Il giugno 1385, nel quale viene concesso alle monache del Corpus Domini: "possint facere fieri una Scholam cum pene/lo sub eodem vocabulo Corporis Christi, in qua possint intrare personae omnes tam masculi quam foeminae".

Al titolo del Corpo di Cristo si trovano poi nel secolo XV altari in varie chiese della città, ed anche qualche confraternita (la prima nel 1395). Ma è nel secolo XVI che, in clima di Riforma cattolica, si diffuse sempre più la viva devozione per l'Eucaristia, e si fondarono molte scuole, più tardi presenti in ogni chiesa. Nella chiesa di S. Simeone esisteva un altare in legno dedicato al SS. Sacramento addossato alla parete da un lato del presbiterio, nella Cappella Maggiore; il SS. venne portato nella Cappella attuale (dedicata prima fin dal 1505 alla Madonna) nella seconda metà del secolo XVII; ma, secondo le notizie riportate nel ms. del Sandrinelli (A.S.S.P, b. S) la data della costituzione della Scuola sarebbe quella del 21 agosto 1560,e per quanto vi siano notizie anteriori della presenza del Santissimo su questo altare (visite pastorali del 1581 e del 1591, in Arch. Curia Patriarcale).

Già in altra parte si è parlato dei restauri della Cappella effettuati nel 1772, e qualche ulteriore cenno sarà fatto in prosieguo.

Nel 1760, abolito il Sovvegno di S. Ermolao, dai Provveditori di Comun, i confratelli della Suola del SS. entrarono in possesso dei locali e dei mobili di questo.

Essa seguì poi le sorti di tutte le Scuole cittadine.

 

Sovvegno di S. Elisabetta                (Torna all'inizio)

Derivato da una più antica Scuola, venne istituito nel 1666, il 30 gennaio per poter fornire ai poveri malati medico, medicine e ogni altra cosa di cui avessero bisogno; "si errigeva per sollievo de'Fratelli infermi un sovvegno di Medico, medicina et altro... "si legge infatti nella Matricola. Venne costituito da trentadue compagni che si riunirono "nel luogo solito", cioè in Sacrestia, sotto la guida del parroco Domenico Pischiutta; nel 1683 ottennero un banco in chiesa.

Durò fino al 1760; ma ancora sotto il pievano Giovan Battista Giorda (1838 - 1863) esisteva una Compagnia dei Morti di S. Elisabetta, che ogni anno la prima domenica di settembre si recava al cimitero di S. Cristoforo per recitarvi l'Ufficio dei morti e celebrare una messa. Dopo i confratelli si riunivano per un pranzo.

L'altare del Sovvegno, che in precedenza era dedicato all' Annunziata, era stato fatto erigere dal N.H. Giacomo Canal, il quale allo scopo aveva disposto un lascito testamentario, nel 1536

 

Scuola di S. Valentino                (Torna all'inizio)

    Il 20 maggio 1602 ''fu fondata, et istituita, questa benedetta Scola, et Fraternita, sotto la invocazion di Ms. S. Valentin", in parrocchia di S. Simeone Profeta all'epoca del parroco Marsilio de' Marsiliis, durante il dogado di Marino Grimani. Essa si costituì "sotto Ms Bortolo de Dom.co: Vardian, e Ms Zanbattista de Iseppo Avicario, e Ms Iseppo de Piero Scrivan, Ms Mattio de Piero Sinicho, e Ms Andrea de Angelo Sinicho et Compagni, et a frutto, et utilità delle Anime di tutti li Fideli Cristiani"; venne fatto un accordo col pievano e col Capitolo per poter istituire la Scuola ed avere un altare "a honor de Dio e della sua Madre, et de S. Valentin", per aver un posto per mettere un banco e che "il nostro Nonzolo possa andar cercando per Giesia secondo il consueto delle altre scuole...", nonché di celebrare le messe per i morti, per le feste e per le elezioni delle cariche, con l'obbligo di fornire i debiti contributi. Il contratto venne approvato e ratificato il 7 giugno 1602 dai Provveditori di Comun.

     La Scuola affidò poi al Capitolo una crocetta d'argento con la reliquia di S. Valentino, che venne usata per la benedizione degli infermi.

Durò fino al XVIII secolo.

 

Le reliquie                          (Torna all'inizio)

Il Cappelletti trattando delle reliquie conservate in questa chiesa giustamente si limita a ricordare le più cospicue e le più preziose. Delle altre, che pur sono numerose (una quarantina ne riportano gli inventari, redatti in occasione delle visite pastorali, tra il XVII e il XIX secolo), non fa la minima menzione.

Anche noi ci adeguiamo a questa scelta, certi di non mancare di rispetto agli "alcuni osseti dei 40 Innocenti", e alle altre piccole ossa di S. Pietro o di S. Tommaso, né tanto meno a tutte le altre sacre e venerabili memorie di numerosi fra santi e martiri, ma per la grande difficoltà di affrontare un simile argomento.

Ricordiamo perciò soltanto le spoglie del Santo titolare, portate a Venezia nel XIII secolo ed ora conservate nell'urna posta sotto alla mensa dell'altar maggiore; e le ossa di S. Ermolao frammiste a quelle di S. Pantaleone.

Inoltre un' altra reliquia considerata ben più insigne è conservata nella chiesa di S. Simeone profeta: si tratta di una piccola ampolla contenente una o due gocce del Sangue di Cristo, una porzione di quello conservato nel tesoro di S. Marco e che fu donato alla parrocchia dal doge Reniero Zen, nato e battezzato in questa contrada e la cui famiglia abitava in Riva di Biasio. Questa reliquia, assieme ad una spina della Corona e a un piccolo frammento della Colonna della Flagellazione, veniva in passato esposta solennemente la domenica delle Palme e il primo luglio, solennità del Preziosissimo Sangue, ed era condotta in processione per le strade della parrocchia la sera del Venerdì Santo.a mensa.

 

 

 

PROFILO ARTISTICO E SCHEDE

L'esterno e la facciata          (Torna all'inizio)               Torna alla pianta della chiesa

II piccolo campo, denominato Campo Santo, aperto sul rio Marin e sul quale si affaccia la chiesa dà un minimo di respiro al prospetto esterno della chiesa, altrimenti chiuso dalle quinte delle case.

Un sobrio motivo geometrico in pietra bianca d'Istria divide il "sacrum" dal resto del campo, e richiama i motivi disegnati sulla facciata.

La facciata attuale è stata rifatta nella seconda metà del secolo scorso, come ricorda la scritta sul fregio:

 

FIDELIUM OBLAT. ENCAEN. A. D. MDCC­CLXI

 

e come riportano il Cappelletti e il Tassini.

E' abitualmente ritenuto che a progettare questo prospetto sia stato il celebre architetto veneziano Giorgio Massari, nel 1756, in occasione di radicali restauri. La lapide sopra il portale ricorda questo avvenimento, tuttavia è da credere che non si tratti dell' epigrafe originale, ma che sia stata riportata in occasione del rifacimento ottocentesco (A. Massari, 1967), peraltro non si sa fino a che punto fedele e rispettoso del primitivo progetto.

Come si è detto la facciata occupa il lato di fondo, di fronte al rio, del Campo Santo, e ripete la disposizione interna in tre navate, correggendone però l' asimmetria.

E' una facciata semplice e severa, sulla quale si distribuiscono spazi e volumi, articolati in uno schema palladiano. Due colonne di stile composito, che sporgono dal suolo con un non troppo alto basamento, dividono la parte centrale, più alta, dai due brevi corpi laterali, un po' più bassi e sormontati da due volute che ne accompagnano lo spiovente del tetto, e appena movimentati da una finestra rettangolare e semplici motivi geometrici.

Al centro della facciata si apre il portale, tra due pilastri lisci, abbastanza elegante; ai lati più in su due ampie finestre con l'arco a tutto sesto. Al di sopra della ricordata lapide dedicatoria; e ancora più in alto il semplice coronamento a listelli; infine il timpano contornato da un grosso cornicione, decorato a motivi geometrici e con un occhio d'apertura circolare.

Anche se, come sembra, poco è rimasto dell'originale progetto massariano, si può però dire che un certo respiro palladiano (caratteristica dell'architetto veneziano) non manca a questo prospetto, che ben si inserisce nel contesto urbano e non manca di una adeguata leggerezza e armonia, necessarie a non sovrastare il breve spazio su cui la chiesa si affaccia.    Vedi riproduzione stampa del XIX secolo

 

L'interno             (Torna all'inizio)

 Appena entrati dalla porta centrale non ci si rende conto della asimmetria delle tre navate, che però risalta ad uno sguardo più attento. Lunga nel suo insieme m. 29,30 e larga m. 19,45, la chiesa si restringe dal lato della facciata fino a raggiungere m. 16,80, poiché il muro di sinistra si adatta all'andamento della calle adiacente.

Una doppia fila di cinque colonne, in stile medievale, divide la chiesa in tre navate di differenti proporzioni: m. 7 la navata centrale, m. 3 quella di sinistra e m. 7,30 quella di destra, che si concludono nelle tre cappelle absidali dell'altar maggiore e dei due altari del Sacro Cuore (già dellaSS. Trinità o di S. Osvaldo) e del SS.mo Sacramento.

In fondo a sinistra si apre la porta di accesso alla sacrestia e ai due piccoli stanzini adiacenti dell' Archi vio Parrocchiale.

II pavimento, più volte restaurato (porta la data di un 'ultimo restauro nel 1907), a quadri di marmo bianco e rosso, presenta numerose lapidi sepo1crali, ben descritte per la prima volta dal Cappelletti nel 1860, e tra le quali segnaliamo (delle altre faremo cenno altrove) quella del pievano Alvise Bonsaver (1508 - 1546), la quarta dall' ingresso nella navata centrale, in marmoree colonne, in stile medievale, divide la chiesa in tre navate di differenti proporzioni: m. 7 la navata centrale, m. 3 quella di sinistra e m. 7,30 quella di destra, che si concludono nelle tre cappelle absidali dell'altar maggiore e dei due altari del Sacro Cuore (già della bianco con su elegantemente profilata in nero l'effigie del morto, mentre nella cornice che la contorna si legge:

 

ALOYSIO BONSAVERIO EDIS HUJUSCEAN TISTITI OPTIMO. NEC NON DIVI MARCI CANONICO. ET VICARIO MERITISSIMO SACRIQUE. COLLEGII DIVAE MARIA E COGNOMENTO MATRIS DOMINI ARCHIPRESBITERO DIGNISSIMO. HAEREDES PIENTISSIMI POSUERE.

 

La chiesa è molto ben illuminata ricevendo luce sufficiente dalle ampie lunette della navata centrale e di quel1a di sinistra, nonché dalle finestre rettangolari della parete di fondo e di quella di destra, aperte anche nella Cappella del Rosario.

L'iconografia della chiesa deve aver avuto un suo piano organizzativo, che però i molti spostamenti di diversi quadri, e la scomparsa di altri, hanno sostanzialmente alterato. Riconosciamo tuttavia alcuni temi fondamentali; innanzi tutto una particolare devozione mariana che risalta dal le pale di quasi tutti gli altari: la Presentazione al Tempio sull' altar maggiore, sul quadro del Palma vicino all'ingresso principale; l'Annunciazione e La Visitazione sugli altari della navata di sinistra; la Cappella del Rosario a destra, nonché la presenza di una Addolorata sulla pala del Pollarol sull'altare di S. Ermolao, e alcune sculture marmoree sul pali otto dell' altare dei Garzotti, nel Battisterio e sopra la porta di accesso laterale, e infine la statua di legno della Madonna in trono. Altro tema è quella ecclesiale espresso dalle dodici statue di apostoli (singolarmente manca Giuda Taddeo e al suo posto è stato messo S. Paolo, l'apostolo delle genti) situate sopra le colonne e ai lati del presbiterio; pregevole opera di Francesco Terilli, scultore feltrino, presente a Venezia dopo il 1589 e fino al 1618, e nelle cui opere si ritrovano echi sansovineschi e della scultura di Alessandro Vittoria (G. Biasuz, 1988).

Nella cappella del SS.mo invece gli affreschi dello Scaiario illustrano il tema del sacrificio del Cristo e della Resurrezione, con le allusive storie bibliche sulle pareti laterali e la Cena di Emmaus sull' altare.

 

La navata destra                 (Torna all'inizio)            Torna alla pianta della chiesa

 

Si inizia la visita del1a chiesa esplorando questa navata che offre alcune opere di un certo interesse.

Immediatamente a destra del1' ingresso, sopra un antico bancone in legno di noce, si vede un interessante lavoro di scultura minore, una statua in legno laccato della Madonna con Bambino (di proprietà della Scuola del Rosario) seduta su un bel trono intagliato e indorato, la cui parte centrale superiore è occupata da una corona sostenuta da putti alati, così come quelli che circondano ai lati la Vergine in gloria, mentre sull' esterno della sedia ai lati sono due bassorilievi rappresentanti in orazione i due santi che furono particolarmente devoti al Santo Rosario: a destra S. Domenico di Guzman, S. Caterina da Siena a sinistra. Non è presente alcuna scritta che consenta una attribuzione della scultura, databile comunque nel secolo XVIII. I fedeli della Comunità di S.Simeone hanno affettuosamente ribattezzato la scultura con il nome de "La Madonna del caregon".

Più in là nell' angolo, presso alla porta che conduce in Canonica, appesa alla parete, pessimamente illuminata, la grande pala che in precedenza era stata sull' altar maggiore, raffigurante la Presentazione al Tempio, opera di Jacopo Palma il Giovane (1548 - 1628), tra i pittori manieristi uno dei più importanti e alla sua epoca il più avanzato artista veneziano. Recatosi già in giovane età alla corte del duca di Urbino, passò nel 1567 a Roma dove rimase fino al 1570; tornato a Venezia nel 1575 dipinse, su commissione del parroco di S. Giacomo dall'Orio, Giovanni Maria da Ponte, una piccola pala votiva con la Madonna e quattro Santi.

La Beata Vergine al centro, in ginocchio, davanti al vecchio Simeone gli porge sulle braccia il bambino, portato al Tempio per sciogliere l'abituale voto delle puerpere ebree. L'assiste lo sposo, e per lei una compagna o una parente porta in una gabbietta le offerte per il tempio, due tortore bianche.

Tutta intorno una folla in movimento, segno di rimembranze tintorettiane, osserva la scena che si svolge in uno scenario rinascimentale. In alto due angeli coronano il centro del quadro, e in mezzo a loro discende una luce che si posa sul bambino e si diffonde alle figure adiacenti.

In ginocchio sul davanti, tagliate a tre quarti, le figure dei committenti, una coppia di nobili come rivela il loro abito.

Subito appresso il cinquecentesco altare, in stile lombardesco, intitolato a S. Ermolao e in onore del quale venne edificato, dalla omonima scuola di devozione, nel 1521.

Si alza dal suolo con una bassa predella di due gradini in marmo bianco, decorata con motivi geometrici di croci disegnate da marmi policromi, così come è decorato elegantemente anche il paliotto. Sulla mensa si alza il sarcofago, che contiene le reliquie del santo titolare assieme a quelle di altri santi; è in marmo dorato, decorato a motivi floreali e da due tondi con figure di angelo, con un cartiglio centrale. Due colonne in stile dorico, sostengono l'arco che inquadra la pala, datata al

1769, del pittore Carlo Pollarol (1713 - 1782) raffigurante una Madonna Addolorata in gloria, venerata dai santi Ermolao, Domenico di Guzman, Vincenzo Ferreri e Pietro. La tela è in cattivo stato di conservazione e bisognosa di un adeguato restauro.

Ai lati dell'altare due mensole di marmo sostenute da una ampia voluta.

Proseguendo si incontra la piccola cappellina, adattata a battistero dopo i lavori degli anni 1955 - 1957, su un progetto dell' architetto Giorgia Scattolin. Il fonte battesimale, una grande coppa in marmo rosso di Verona, è ricoperto da un bel coperchio in rame battuto lavorato da Giorgio Rallo ( orefice ancora in piena attività), e sovrastato da una statua in bronzo raffigurante il Battista, opera dello scultore Giuseppe Romanelli.

Sulla parete di fondo della cappellina due tondi in marmo, del secolo XV, raffiguranti l' Annunciazione.

Ai lati della cappellina, a destra una cornice marmorea quattrocentesca, in cattivo stato, col bordo dentellato e le fascie scolpite a motivi floreali e con le figure di profeti dell' Antico Testamento e gli Evangelisti. Racchiude un mosaico recente (del mosaicista Giulio Padoan) con l'effigie di S. Pio X. A sinistra, in alto, in una nicchietta sulla parete una statua in marmo di S. Valentino, del secolo XV, discretamente conservata.         Torna alla foto Altare S.Ermolao

Vien dopo la Cappella del Rosario, col relativo altare. Sono entrambi del 1755, l'una costruita a spese della famiglia Soranzo di rio Marin, l'altro a spese della Scuola, e affidati entrambi per la loro progettazione al Massari.

La Cappella, che si sviluppa all'esterno nello spazio dell' orto della canonica, si presenta con un prospetto classico con un' arcata in forma di portale e l'architrave retto da due pilastri corinzi, sul quale si scorge lo stemma nobiliare dei Soranzo. L'accesso alla Cappella si ha da una predella in marmi policromi, a gradini convessi e limitata da una balaustra marmorea.

L'altare di impostazione tardobarocca, anche se progettato in un' epoca in cui si era già affermato il gusto neo-classico, tra due coppie di colonne corinzie in marmo rosso, venato di bianco, custodisce una pala di marmo con putti, angioletti e un drappo, che incornicia ora un quadro di scarso valore, opera di Sebastiano Santi (XIX sec.).

Sovrasta il tutto un timpano con il fastigio decorato da due statue di angeli ai lati e dal cartiglio centrale su cui si legge la scritta:

REGINA SANCTISSIMI ROSARII.

     E' ritenuta opera del Morleiter (A. Massari, 1967), ma nelle Memorie della Chiesa si legge che il lavoro in marmo del nuovo altare venne eseguito dal tagliapietra Lorenzo Bon.            Torna alla foto Altare del Rosario

 

Prima della porta che conduce in Salizzada della chiesa, e sopra di essa, si possono vedere due interessanti sculture di epoca gotica.

La prima raffigura S. Giovanni Evangelista venerato da Bartolomeo Ravacaulo, come si legge sulla iscrizione descritta dal Gevembroch nel secolo XVIII, e ora gravemente danneggiata in più parti:

 

HONORE/ S. IOHANNIS EV[ANGELISTE

BAR]THOLOMEUS [RAVACHAULUS]/ HUIUS

ECCLESIE PLE[BANUS FECIT]/ FIERI HOC

ALTARE E[T FA]RE UNO CAPELANO D. IPSO

SUIS PERPETUIS TEMPORIBUS.

 

E' considerata un'opera del secolo XIV, con influssi delle opere di Giovanni Pisano (Wolters, 1976).

La seconda, sopra la porta, raffigura un Angelo, forse parte di una Annunciazione, discretamente conservato; anche questo di epoca gotica.

Resta ora da descrivere la Cappella del SS.mo Sacramento a cui si accede da un cancelletto in ferro che chiude la balaustra in marmo sopra i due gradini, che la alzano dal piano della chiesa.

La cappella fin dal 1505, epoca in cui venne edificata, era dedicata alla Madonna e solo attorno al 1650 passò a custodire il S.S. mo Sacramento.

Nel 1772 venne restaurata a fondo, e a quell'epoca risalgono l'affresco della pala, che rappresenta la Cena di Emmaus (ripulita di recente) e quelli delle pareti laterali di storie dell' Antico Testamento, allusi vi al mistero dell' Eucaristia (Sacrificio di Melchisedec, David davanti al sacerdote Alchimelec), nonché quattro allegorie sacre monocrome. Gli affreschi laterali sono tutti assai mal conservati, quasi illeggibili per i danni dell' umidità all'intonaco ormai cadente.

Queste opere sono attribuite a Giovanni Scaiario (1726 - 1792), di famiglia oriunda da Asiago, pittore di maniera tiepolesca e di non scarso interesse, raffinato nel colore e nelle sfumature. Fu iscritto in Venezia alla Fraglia dei Pittori dal 1754 al 1773; fu membro anche dell' Accademia veneziana, nella quale ricoprì anche delle cariche.

Per l'altare del SS.mo Sacramento (una delle poche opere dello Scaiario documentate in Venezia) lavorò accanto a lui Agostino Mengozzi Colonna, il quale dipinse la parte ornamentale e le quadrature (Rigon, 1981).     (Torna alla foto Altare SS.Sacramento)

  

La navata centrale                    (Torna all'inizio)       (Torna alla foto Altare Maggiore)    Torna alla pianta della chiesa   Vedi altre foto

Già si è detto delle statue lignee che ornano la navata centrale, opera secentesca di Francesco Terilli.

Dell'altar maggiore originario, coevo all'erezione della chiesa, non è rimasta alcuna traccia. Sappiamo solamente che nei primi anni del secolo XIII secolo Andrea Baldovino e Angelo Drusiaco, dopo la conquista i Costantinopoli, portarono a Venezia il corpo del santo Profeta e che questo venne posto nell'altar maggiore, probabilmente rifatto in quella occasione. Centoquattordici anni dopo, nel febbraio del 1318, l'altare venne ricostruito e il corpo del santo Simeone, previa la ricognizione da parte del vescovo di Castello, Jacopo Albertini e di altri prelati, venne posto in un sarcofago marmoreo, posto sempre sull'altar maggiore e così descritto dallo Stringa nel 1604: "Il corpo Santo di S. Simeone predetto, che giace in un sepolcro di marmo posto sopra l'altar maggiore, con la figura di esso santo disteso sopra il sepolcro". Sull'urna marmorea venne incisa la seguente scritta: 

HIC STETIS CORPUS BEATI SYMEONIS PRTE ANNIS CENTUM ET XIII.

 

Attualmente la statua del santo si trova nella cappella a sinistra del presbiterio, la cosiddetta cappella Albini, o della Trinità; è posta sopra un sarcofago rinvenuto sotto il pavimento della chiesa durante alcuni lavori il 12 dicembre del 1773. Il primitivo sarcofago è andato perduto nel 1765, quando venne rifatto l'altar maggiore, mentre era parroco Carlo Orsetti (1761 - 1790), e venne abolito quello più antico del 1526 che era in legno.

L'altare è isolato dalla parete da una specie di sottopassaggio, a cui si accede da due porticine laterali aperte nel presbiterio. Lo stile settecentesco, che risente di influssi tardo barocchi, è reso ancor più austero dal marmo nero, con screziature bianche, delle quattro colonne in stile composito, che si alzano da un breve basamento sul livello della mensa e spartiscono gli spazi: al centro la pala, datata 1892, e firmata da F. Vason, raffigurante la Presentazione al Tempio; ai lati in due nicchie con semicalotta a conchiglia, dentro le quali, poste sopra due basi che chiaramente risultano essere state aggiunte, figurano, le statue di S. Giovanni Evangelista, a sinistra, e di S.Osvaldo a destra provenienti dalla cappella della Trinità per la quale, come si è visto, erano state scolpite nel 1727.

Invece sull'altar maggiore non vi sono più i due Angeli in marmo, scolpiti da Antonio Gai, e che erano stati donati dal principe Luigi Pio di Savoia nell'aprile del 1738 "ad abbellimento del presbiterio" (Cappelletti, 1860), e che probabilmente furono venduti nella seconda metà del secolo scorso.

Al presbiterio si accede oltrepassando la balaustra marmorea, e dal piano del suolo l'altare si alza poi con una predella a gradini ad angolo arrotondato, in marmo rosso di Verona.

Ora la parte superiore del tabernacolo marmoreo, aggiunto nel 1766, non è più al suo posto, ma si trova, smontata, nello spazio restrostante l'altare. La mensa dell'altare contiene l'urna con le spoglie del Santo Simeone. Davanti all'altare, sul pavimento, alcune pietre tombali del Capitolo senza alcuna iscrizione; ai lati un presbiterio in legno.

Sul fondo della navata, sopra la porta centrale d'ingresso, montato su di un soppalco di legno retto da quattro colonne in stile corinzio, esse pure in legno, si vede l'organo settecentesco, opera di Gaetano Callido, che più volte restaurato è ancora ben funzionante.

 

 

La navata sinistra                         (Torna all'inizio)                   Torna alla pianta della chiesa   

Partendo dalla porta d'ingresso si può ora vedere la più stretta navata di sinistra, ricca di begli altari e di alcuni pregevoli dipinti.

 Subito a sinistra della porta, sulla parete curvilinea del lato occidentale della chiesa, si vede prima di tutto (ben illuminato da luce naturale nelle ore del primo pomeriggio) un'Ultima cena di Jacopo Tintoretto (15 l 8 - 1594), datata circa al 1560.

Un' opera non certamente minore del grande pittore veneziano, in cui si riconosce la grande capacità costruttiva; il sapiente uso della luce, che nasce dalla figura del Cristo, oscura tutte le altre fonti luminose, e si diffonde su tutta la scena confondendo i contorni nell' ambiente circostante e accendendo il colore; il forte cromatismo, di derivazione tizianesca, ancora visibile in tutta la sua generosità, nonostante la cattiva conservazione.

Oltre alla figura del Cristo spiccano nel dipinto l'immagine del committente, verosimilmente il parrocco, in vesti da chierico, situato all'estrema

sinistra che si distingue per il candore della veste.

Immediatamente adiacente l'altare della Visitazione, cinquecentesco, in stile lombardesco, montato su tre gradini e decorato con marmi e tondi policromi.

La pala rappresenta l'Incontro di Maria ed Elisabetta, ad Ain-Karim, alla presenza di Giuseppe e di Zaccaria, posti in posizione più arretrata, è opera del muranese Leonardo Corona, buon pittore cinquecentesco, emulo e concorrente del Palma, allievo di Tiziano e di Tintoretto, dai quali trasse la buona qualità del disegno e uno spiccato senso del colore.

Tra l'altare e la porta laterale, sulla parete dove fino agli anni' 50 campeggiava il monumento funebre di Antonio Donà (1810), opera del canoviano Antonio Bosa (sec. XVIII-XIX), è appeso un quadro di grande formato rappresentante una Santa Agnese in preghiera, con ai piedi un putto con un agnellino, ignorato fino alla segnalazione di F. Pansecchi del 1986 il quadro, che èuna copia fedele fin nei particolari di una Sant'Agnese del Domenichino a Hampton Court, èattribuito al Gramiccia.

Segue più avanti l'altare della Scuola dei Garzotti (1611) austero nelle sue colonne di marmo nero, appena alleggerite dai capitelli in stile composito. Sul paliotto marmoreo, decorato da tondi policromi, al centro, in rilievo una Annunciazione (due pregevoli figurine marmoree), alla maniera di Alessandro Vittoria.

Anche la pala, del pittore Blanc (attribuita in precedenza a Jacopo Palma il giovane), raffigura l'Annunciazione, secondo i canoni classici della rappresentazione, con l'Arcangelo che si presenta alla Vergine in preghiera.

Lasciata a sinistra la porta della Sacrestia si accede, salendo tre gradini, alla piccola cappella cinquecentesca della Trinità (adesso del Sacro Cuore). Il piccolo altare, rifatto nel secolo XVIII, è interessante per la policromia dei marmi, da poco restaurato e ripulito, attende una ulteriore sistemazione.

Sulla parete di destra della cappella, in una specie di nicchia poco profonda trova posto un sarcofago marmoreo duecentesco, sulla cui parte frontale si legge l'iscrizione:

HIC STETIT CORPUS BEATI SYMEONIS PROPHETE ANNIS CENTUM ET XlIII.

 

Il sarcofago era stato ritrovato nel 1773 durante alcuni lavori sul pavimento della chiesa.

Sopra il sarcofago è posta una statua del santo, giacente, databile tra la fine del trecento e l'inizio del quattrocento, esempio notevole di scultura gotica, opera di Marco Romano., databile intorno al1317-1318.

Murata dietro alla statua del santo si legge una iscrizione che descrive la traslazione del corpo del santo nella chiesa.

 

IN CHRISTI NOMINE AMEN ANNO INCARNATIONIS MCCXVII MENSE FEBRUARII DIE IIII INDICTIONE PRIMA TRANSLATIO CORPORIS/ SANCTI SYMEONIS PROPHETE FACTA FUIT DE QUADAM ARCHA IN HOC ALTARE POSITA IN QUA CXIIII ANNIS/ STETERAT UT IN TRANSLATIONE DE CONSTANTINOPOLI MCCIII HUC FACTA ET SCRIPTURIS AUTENTI/ CIS PLENIUS CONTINETUS IN HOC EXCELLENTISSIMUM SEPULCRUM PER VENERABILEM PETREM DOMINUM/ IACOBUM DEI GRATIA EPISCOPUM CASTELLANUM CUM QUIBUSDAM ALIIS CONVICINIS EPISCOPIS PROCU/ RANTE CUM DEI AUXILIO BARTHOLOMEO RAVACHAULO EIUSDEM ECCLESIE PLEBANO SINE ALI QUA ECCLESIE/ PECUNIA PROPTER QUOD SUPPLICAT IDEM PLEBANUS HIUS ECCLESIE CAPITULO AC UNIVERSO CONVICI/NIO UT PER CHRISTI MISERICORDIAM IN SUIS SACRIFICIIS ET ORATIONIBUS SEMPER SIT IN EORUM MEMORIA/ VISITET QUILIBET LIBENTER HEC PRECIOSA CORPORA QUIA EX INDE XL DIES DIEBUS SINGULIS RELAXANTUR DEINIUNCTA SIBI PENITENTI A A DOMINO PATRIARCHA DE ALEXANDRIA DE ORDINARII LICENCIA/ CELAVIT MARCUS OPUS HOC INSIGNE ROMANUS LAUDIBUS NON PARCUS EST SUA DIGNA MANUS.                (Torna alle foto Cappella di Sinistra)

 

La sacrestia                       (Torna all'inizio)                    Torna alla pianta della chiesa

Si accede alla sacrestia dalla porta posta subito dopo l'altare dei Garzotti; una bella porta in noce decorata a motivi floreali, tra i quali spiccano due tondi in bassorilievo rappresentanti la presentazione di Maria al tempio l'uno e la presentazione di Gesù l'altro.

La sistemazione attuale della sacrestia risale al secolo scorso come ricorda l'iscrizione nella lapide sopra la porta: 

PIETAS EXIMIA

A FIDELIBUS IMPENSA

DECORI

TEMPLI HUIUS REFECTI EX ORNATI ANN. M DCCC LXXXV

POSTERIS IN DOCUMENTUM STET

 All'interno della sacrestia si conservano ora solo due quadri di quanti ornavano nel passato questa stanza.

Una Madonna di pietà di Nicolò Bambini (1651 - 1736), citata dal Zanetti nel 1733 e menzionata dallo stesso nel 1771 quale Vergine Addolorata posta sull' altare della sacrestia. Attualmente si trova sulla parete attigua (Roberto Radassao, tesi di laurea, 1989 ­1990).

Sull' altare si trova invece una piccola tavola, raffigurante la Santissima Trinità, originariamente dipinta per la cappella omonima edificata nel 1505. Il quadro è opera di Giovanni Mansueti (1485 - 1527), discepolo di Gentile Bellini, che mostra nella struttura compositiva del dipinto la derivazione di scuola belliniana, ma non è tuttavia privo di una sua particolare peculiarità, o comunque di altre influenze, come dimostrano l'imponenza e la maestosità delle figure e alcuni particolari dello schema compositivo (A.Perissa Torrini, scheda in Restituzioni '91, Quattordici opere restaurate).

 

Da segnalare anche sopra la porta della sacrestia, all' esterno, una tela rappresentante un San Pietro, fornita di una bella cornice secentesca. Il quadro era di proprietà della omonima Scuola di S. Pietro, come anche la bella e pesante asta da processione in legno dorato, opera del XVIII secolo, con la figura del Santo Apostolo prigioniero liberato dall' angelo. 

Torna alla foto della Sacrestia           Torna alla pianta della chiesa

 

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