Coralità “alpina”: cos’è?
di Sergio
Piovesan
Navigando in internet, mi sono imbattuto nel sito dell’A.N.A. (Associazione Nazionale Alpini) e, in particolare, nella sezione denominata “Coralità alpina” il cui indirizzo, per chi fosse interessato ad approfondire, è il seguente: http://www.ana.it/page/il-dibattito-sulla-coralit-agrave--2009-07-13
Ovviamente, mi
sono letto tutti gli articoli (ben sedici) nei quali sono espressi diversi
pareri, sia di “esperti” (maestri, coristi), sia di alpini, per lo più legati
ai moduli di canto “alpino”, modulo che in tanti hanno tentato di definire
senza, secondo me, riuscirci, anche perché non esiste.
Cosa si intenda per voce “maschia”, concetto ribadito in alcuni interventi, non è
molto ben chiaro; a mio parere, dopo parecchi anni di esperienza corale, durante
i quali ho avuto modo di ascoltare anche dei cosiddetti cori “alpini”, la voce “maschia” è
quella, a volume elevato. L’importante è farsi sentire, non importa come e non
importa se intonati o meno. Questo, per qualcuno è il canto “alpino”.
Ma poi, esiste veramente il canto “alpino”? Bisogna ricordare, per
l’ennesima volta, che il nostro modo di cantare discende da
“…un’invenzione dei fratelli Pedrotti…” (De Marzi) che fondarono un coro cittadino e
quindi non “di montagna” né tanto meno “alpino”.
Nell’intervento di Renato
Amedeo Buselli, direttore del coro “A.N.A. San Zeno di Verona”, l’autore
ricorda il libro dell’ex presidente nazionale dell’A.N.A., Caprioli, dal titolo
“Cantavamo
Rosamunda” ; è “Rosamunda”
un canto
“alpino”? No ovviamente, come non lo è “Mira il tuo popolo o Bella
Signora” che,
Bepi De Marzi, citando alcuni reduci della campagna di Russia, ricorda che
veniva cantato dagli alpini sulle rive del Don.
Gli alpini cantavano in coro,
con le mani dietro la schiena, a quattro voci? Ovviamente no! Si trattava,
invece, di canti monodici delle loro contrade, spesso di argomento amoroso ed accompagnati
da uno strumento.
Ed allora, perché
questo accanimento nel rispolverare un “canto alpino” che non è mai
esistito? Forse la nostalgia di qualche anziano; non vedo altri motivi.
Perché criticare le armonie a più voci, raffinate
ed affinate, che certi cori riescono ad eseguire suscitando nel pubblico
ammirazione ed anche entusiasmo? Perché voler insistere che quando il pubblico
sente intonare dei “canti alpini”, “…
cantati alla maniera semplice …”
(cosa sia la maniera
semplice non si sa) solo allora si entusiasma?
Perché insistere che non si deve
cantare “Funiculì, funiculà” perché non è una canzone alpina? Secondo me certi
personaggi sono pervasi da “razzismo
canoro”! Solo quei canti (quelli “alpini”) hanno valore e devono essere cantati ed anche nel
modo voluto da loro. Tutto il resto, anche se non lo dicono, non ha valore.
Un sacerdote scrive, fra
l’altro,: “…
Non è pensabile eseguire brani nati in trincea, tra il fango e la mitraglia,
con la leziosità di armonizzazioni che nell’esperienza popolare assolutamente
non esistono: il coro alpino non è un coro di monache e nemmeno il coro della
cattedrale: dev’essere coro virile, deciso, spontaneo e naturale; anche le
armonizzazioni a quattro voci pari, con tutto il rispetto dei grandi maestri
che le hanno approntate, si rivelano spesso artefatte, stucchevoli e fasulle,
giacché spontaneamente, nessuno, a meno che abbia fatto studi di armonia in
conservatorio, è in grado di creare tali armonizzazioni.”
Ma chi lo dice che i canti
sono nati
“tra il fango e la mitraglia”? E cosa vuol dire “naturale”? Per fortuna, più avanti,
sempre lo stesso sacerdote, ammette che con il suo coro di 20 elementi “… non
fa concerti altolocati …”!!!
Scrive un certo Rodolfo
Gallazzi, un alpino non appartenente al mondo dei cori: “... E
in una Italia che sta rinunciando alla propria identità storica, culturale e
religiosa (grazie a tanti nostri politici e a tanta parte del clero) non sento
il bisogno che anche noi ci si allinei a questa cultura rinunciataria. Non è
che tra qualche mese verranno inseriti in repertorio anche canti arabi per
essere ancora di più in linea con la cultura multietnica?” Evidentemente la “cultura” leghista ha fatto breccia anche nel cuore di
qualche alpino.
Se il canto arabo è bello,
perché rinunciare a cantarlo? Solo perché non è alpino?
Ma per fortuna non tutti gli
alpini sono di questo stampo, ed allora il già citato Renato Amedeo Buselli,
del quale condivido tutto il suo intervento, risponde: “…
Pertanto se un coro desidera cantare “Funicolì funicolà” e “La Madunina” le
canti pure e perché no? anche canzoni arabe, basta che piacciano. Sono
perfettamente d’accordo con il direttore del coro ANA della sezione di Milano
Massimo Marchesotti, il quale dice che un coro alpino o non alpino deve cantare
e l’impegno dei coristi e del direttore è far cantare e cantare… bene.”
Quindi, usando un termine
militare, la parola d’ordine è: “CANTARE
BENE”, ovviamente
non nel modo voluto da certi alpini!