di Sergio Piovesan
Si
sta blaterando non poco, in questi giorni, su “Il
canto degli italiani”, l’inno
nazionale, più conosciuto come “Inno di Mameli”
o “Fratelli d’Italia”. Tanti parlano
e danno giudizi (“sputano sentenze”) senza, però, conoscere minimamente
la storia di questo canto. Ma non solo coloro che parlano troppo sono ignoranti;
purtroppo anche molti italiani ignorano la storia dell’inno e lo ascoltano solo
in occasione delle partite della nazionale di calcio.
Allora,
in queste poche righe, cercheremo di riassumere brevemente i fatti e di esaminare
il testo.
L’autore
del testo fu, circa a metà ottocento, il giovane studente e patriota genovese Goffredo Mameli nato il 5 settembre 1827. Studente e poeta precocissimo, di sentimenti
liberali e repubblicani, aderì alle idee di Mazzini(1)
nel 1847, l'anno in cui partecipò attivamente alle grandi
manifestazioni genovesi per le riforme e scrisse “Il
Canto degli Italiani”.
Aveva
solo vent’anni ed una formazione classica con un forte richiamo alla romanità (2).
Dal 1857 la sua vita
sarà dedicata interamente, ma per soli due anni, alla causa italiana; fu a
Milano, insorta nel marzo del 1848 e, poi, in combattimento contro gli
austriaci sul Mincio. Tornato a Genova, collaborò con Garibaldi e da lì, nel
novembre dello stesso anno, giunse a Roma dove, il 9 febbraio 1849, fu proclamata
la Repubblica. Qui fu sempre in prima linea nella difesa della città assediata
dai Francesi: il 3 giugno fu ferito accidentalmente dalla baionetta di un amico
alla gamba sinistra, amputata per la sopraggiunta cancrena; in seguito, a causa
dell’infezione, morì il 6 luglio 1849, alle sette e mezza del mattino, a soli
ventidue anni.
Il
testo (3), oltre al richiamo degli ideali
mazziniani e della romanità (vedi note 1 e 2), evidenzia, nella seconda strofa,
la speranza dell’unificazione dell’Italia allora divisa in sette Stati, e,
nella successiva, i principali
avvenimenti della storia italiana ripercorrendo sette secoli di lotta contro il
dominio straniero (la battaglia di Legnano del 1176, l’episodio di Francesco
Ferrucci a Firenze nel 1530, i Vespri siciliani del 1282 e la rivolta popolare
di Genova del 1746 il cui simbolo fu la figura di “Balilla”).
La
quinta strofa, infine, è un chiaro e forte riferimento all’inizio del declino
dell’impero asburgico e, proprio per
questo motivo, fu censurata dal governo piemontese.
Anche
il compositore, Michele Novaro, è genovese; nato
il 23 ottobre 1818, studiò composizione e canto. Nel
1847 era a Torino, con un contratto di secondo tenore e maestro dei cori dei
Teatri Regio e Carignano. Convinto liberale, offrì alla causa dell'indipendenza
il suo talento compositivo, musicando decine di canti patriottici e
organizzando spettacoli per la raccolta di fondi destinati alle imprese
garibaldine.
A Torino, nel 1847, Novaro, che frequentava gli
ambienti liberali, in un incontro con amici dove si discuteva di politica e si
faceva musica, venne in possesso del testo di Mameli e, tornato a casa, in una
sera di metà novembre, lo musicò.
Il 10 dicembre 1847 l’inno fu suonato e cantato
per la prima volta a Genova in occasione del primo centenario della scacciata
degli austriaci da Genova; vi assistevano trentamila persone! Subito divenne
famoso e in ogni occasione, più o meno pacifica, era cantato in tutta Italia:
durante le “cinque giornate di Milano” gli insorti lo cantavano a squarciagola.
Anche Garibaldi lo intonò nell’impresa dei “Mille”.
L'immediatezza
dei versi e l'impeto della melodia ne fecero il più amato canto dell'unificazione,
non solo durante la stagione risorgimentale, ma anche nei decenni successivi.
Non a caso Giuseppe Verdi, nel suo “Inno delle
Nazioni” del 1862, affidò proprio al “Canto degli Italiani” - e non alla
“Marcia Reale” - il compito di simboleggiare
la nostra Patria, ponendolo accanto a “God Save
the Queen” e alla “Marsigliese”.
Dopo l’unità d’Italia, il canto fu molto popolare,
ma l’inno nazionale rimase la “Marcia reale”;
sotto il fascismo fu egualmente in voga, assieme ad altri canti
risorgimentali, anche se canti più prettamente fascisti, che pur non essendo degli inni
ufficiali, erano diffusi e pubblicizzati molto capillarmente.
Con
l’avvento della Repubblica, pur non essendo riconosciuto dalla Costituzione
come il “tricolore”, il Consiglio dei
ministri nel 12 ottobre 1946 deliberò all'uso
dell'inno di Mameli come inno nazionale.
Musicalmente
l’inno non è ritenuto eccelso, anzi da molti viene classificato come “brutto”
non considerando che negli inni nazionali, anche in quelli d’altri stati, è
preponderante il testo sulla musica che, fondamentalmente, deve solo essere
orecchiabile per favorire la memorizzazione, e quindi la diffusione delle parole;
per tali ragioni molti di questi inni, in primis “Il
canto degli italiani”, sono solo "marcette",
perciò il valore artistico e la qualità musicale sono elementi secondari.
Ma
non tutti ritengono “brutto” quest’inno; Roman Vlad, famoso musicista che
ricoprì anche alte cariche in varie istituzioni musicali italiane disse, fra
l’altro: “… E poi non è vero che sia poco orecchiabile o che sia così brutto
come si dice. …”
1 “Uniamoci,
amiamoci, / l'Unione, e l'amore / Rivelano ai Popoli /
Le vie del Signore / …”. Mazziniano e repubblicano, il Mameli traduce, in questi versi della terza strofa,
il disegno politico del fondatore della “Giovane Italia” e della “Giovane Europa”.
2 Nel
testo della prima strofa viene richiamata la “Vittoria”, con la “V” maiuscola,
perché il riferimento è alla dea Vittoria che, per volere degli dei, divenne
schiava di Roma.
Anche il verso del ritornello “stringiamoci a coorte” richiama quest’idea,
essendo la coorte la decima parte della legione romana.
3 Fratelli
d'Italia / L'Italia s'è desta, / Dell'elmo di Scipio /
S'è cinta la testa.
Dov'è la Vittoria? / Le porga la chioma, / Ché schiava
di Roma / Iddio la creò.
Stringiamci a coorte / Siam pronti alla morte / L'Italia chiamò.
Noi siamo da secoli / Calpesti,
derisi, / Perché non siam popolo, / Perché siam divisi.
Raccolgaci un'unica / Bandiera, una speme: / Di fonderci insieme
/ Già l'ora suonò.
Stringiamci a coorte / ….
Uniamoci, amiamoci, / l'Unione, e
l'amore / Rivelano ai Popoli
/ Le vie del Signore;
Giuriamo far libero / Il suolo natìo: / Uniti per Dio / Chi vincer ci può?
Stringiamci a coorte / …
Dall'Alpi a Sicilia / Dovunque è Legnano,
/ Ogn'uom di Ferruccio / Ha il core, ha la mano,
I bimbi d'Italia / Si chiaman Balilla, / Il suon d'ogni
squilla / I Vespri suonò.
Stringiamci a coorte / …
Son giunchi che piegano / Le spade vendute:
/ Già l'Aquila d'Austria / Le penne ha perdute.
Il sangue d'Italia, / Il sangue Polacco, / Bevé, col cosacco, / Ma il cor le
bruciò.
Stringiamci a coorte / …