di Sergio Piovesan
Nella storia di un coro, a volte, i canti
ritornano; può capitare, infatti, di apprendere un determinato canto e poi,
dopo un certo periodo, di abbandonarlo. Ma, passati alcuni anni, per i più svariati
motivi, il canto, a suo tempo abbandonato, viene ripreso. Per alcuni componenti
il coro si tratta, però, di un nuovo brano, essendo questi entrati in organico
solo dopo l’abbandono del canto in questione.
Questa premessa per
rendere noto che, proprio di recente, abbiamo ripreso (e la prossima stagione
sarà nuovamente inserito in repertorio) il canto abruzzese intitolato “Tutte le funtanelle”
nell’armonizzazione di G.Carlo Bregani che, nello spartito annota
trattarsi di “ canto
popolare abruzzese, il cui testo poetico sembra possa attribuirsi al
D’Annunzio”.
In altre fonti non ho
trovato notizia di questa attribuzione e, d’altra parte, non si può definire un
canto come “popolare” e poi attribuirlo ad un poeta che, nella
storia della nostra letteratura, non è fra i meno noti.
Inoltre se fosse il
D’Annunzio l’autore del testo, sarebbe noto anche il nome del musicista e,
invece, tutte le fonti riportano come anonimo sia nel testo che nella musica.
Il Bregani, che annota sullo spartito
questa probabile attribuzione, forse è stato tratto in errore dal fatto che il
testo di “Tutte le funtanelle” viene riportato dal D’Annunzio nel suo
romanzo “Il trionfo della morte” dove
il canto viene ascoltato dal
protagonista in “ … un pianoro dove le ginestre fiorivano
con tal densità da formare alla vista un sol manto giallo, d'un colore
sulfureo, splendidissimo. … “.
Le esecutrici sono cinque fanciulle che raccoglievano i fiori. “ … Cantavano un canto spiegato, con accordi
di terza e di quinta perfetti. Quando giungevano ad una cadenza, sollevavano la
persona di sul cespuglio perché la nota sgorgasse più libera dal petto aperto;
e tenevano la nota, a lungo, a lungo, guardandosi negli occhi, protendendo le
mani piene di fiori. … ”.
Ed ancora: “ … Favetta intonò, sul
principio mal sicura, ma di nota in nota rassicurandosi. La sua voce era
limpida, fluida, cristallina come una polla. Cantava un distico; e le compagne
cantavano in coro un ritornello. Prolungavano la cadenza, concordi,
riavvicinando le bocche per formare un sol flutto vocale; che si svolgeva nella
luce con la lentezza delle cadenze liturgiche. … “.
Ed il canto intonato dalle fanciulle e riportato dall’autore è,
appunto, “Tutte le funtanelle”.
Il canto è di
autore sconosciuto e riportato dall’autore nel suddetto romanzo in quanto un
canto della sua terra.
Nella prefazione a questo romanzo dedicata a Francesco Paolo Michetti,
che il D’Annunzio chiama “Cenobiarca” (letteralmente “capo di un cenobio o abate” e, in
senso figurato,”capo di un cenacolo letterario o
artistico”), scrive: “ … in questo Trionfo io più volte ho celebrato le feste de'
suoni, de' colori e de le forme.”
Ed inoltre: “ … E ti ho anche
raccolta in più pagine, o Cenobiarca, l'antichissima poesia di nostra gente:
quella poesia che tu primo comprendesti e che per sempre ami. …”.
Queste ultime
affermazioni di D’Annunzio non fanno altro che confermare come il canto sia di
autore sconosciuto e riportato da lui nel suddetto romanzo in quanto un canto
della sua terra.
Il testo
riportato del canto, un canto d’amore dove il sentimento d'amore o le pene che
esso produce nel cuore ne costituiscono il motivo.
Tutte
le funtanelle se sò sseccàte.
Pover'Amore
mi'! More de séte.
Tromma
larì lirà llarì llallerà
Tromma
larì, lirà, vvivà ll'amóre!
Amóre mi
té' sét'e mmi té' sète.
Dovèlle
l'acque che mme si purtàte?
Tromma
larì lirà...
T'àjje
purtàte 'na ggiàrre de créte,
Nghe
ddu' catène d'óre 'ngatenate.
Tromma
larì lirà...
Questo testo,
quindi, è da ritenersi il più affidabile in quanto trascritto da un poeta molto
attento alla parola e che conosceva senz’altro bene la parlata della sua terra
e della sua gente.