Tutta la
laguna di Venezia è un mare di diossina
Ovunque i
livelli di tossicità sono sopra la soglia ottimale di qualità Le concentrazioni
massime a Porto Marghera e Pellestrina
Venezia
Nelle acque della laguna c'è ancora troppa diossina. E non solo davanti alla zona industriale di Porto Marghera o attorno a Venezia. Un po' tutte le acque lagunari, con pochissime eccezioni, presentano livelli di diossina superiori a quegli "obiettivi di qualità" che erano stati fissati dal decreto Ronchi-Costa nell'ormai lontano 1998. L'emergenza vera, comunque, resta quella dei canali industriali: qui i mitili si contaminano in poche settimane, sforando i livelli imposti dalla comunità europea per questo pericoloso inquinante.
É un quadro inquietante sullo stato della laguna, quello uscito ieri dal 7. convegno organizzato dall'Inca, il Consorzio interuniversitario per la chimica per l'ambiente, e dedicato proprio alla diossina e ai pop's in genere, quei contaminati organici persistenti cioè che resistono nel tempo e si accumulano nell'ambiente. «Entrando così nella catena alimentare. E il bersaglio finale siamo sempre noi - ha esordito Stefano Raccanelli, responsabile del laboratorio analisi dell'Inca -. Perché tutto quello che scarichiamo nella laguna, non dimentichiamocelo mai, prima o poi ce lo mangiamo». I dati sulle acque della laguna e sulla contaminazione dei mitili, in particolare, sono stati al centro dell'intervento di Giorgio Ferrari, della sezione antinquinamento del Magistrato alle acque (Sama). «É essenziale continuare a monitorare le acque della laguna - ha ammonito il tecnico - in vista di quella riduzione degli inquinanti che passerà attraverso la rimozione dei sedimenti e il marginamento delle rive. Tutte operazioni in corso, ma per cui ci vorranno anni..». Intanto l'ultima foto della situazione attuale l'ha scattata proprio il Sama, con un'analisi delle acque della laguna prelevate in diciotto stazioni che coprono l'intera laguna. Ebbene, rispetto alle diossine, l'"obiettivo di qualità" di 0,013 pico grammi per litro viene sforato quasi dappertutto, per una media lagunare di 0,121 pg/l, che si impenna ulteriormente davanti al Petrolchimico e, anche se in misura minore, pure a Venezia. Le «zone buone della laguna», come le ha chiamate Ferrari, dove si rispettano gli "obiettivi di qualità", o quantomeno non ci si discosta troppo, sono quelle dell'estrema laguna nord (le Saline, in particolare) e di quella sud. Resta l'eccezione di Pellestrina, più inquinata rispetto alla sua porzione di laguna («Un dato che va collegato all'attività cantieristica» ha spiegato Ferrari).
In questa laguna, così ricca di pop's, come se la passano i mitili? E soprattutto quante diossine assorbono dalle acque contaminate? Per rispondere a queste domande, il Sama ha messo a confronto un campione di cozze prelevate nel canale del Fisolo, quindi in una zona relativamente buona, con altre recuperate in piena zona industriale. Non solo: alcuni mitili nati e cresciuti al Fisolo, sono stati trasferiti per sette settimane in zona industriale. Già in partenza le cozze del Fisolo sono risultate mediamente più lunghe di quelle della zona industriale. «Come a segnalare una certa sofferenza di quest'ultime» ha sottolineato Ferrari. Quelle trasferite, comunque, sono quasi tutte sopravvissute (1\% il tasso di mortalità), anche se poi si sono pesantemente contaminate. Se in quelle del canale del Fisolo è stato trovata una tossicità equivalente di 0,500 pg per grammo di prodotto liofilizzato, in linea con i limiti imposti dalla comunità europea; nelle "colleghe" della zona industriale, invece, sono state riscontrati livelli di tossicità ben diversi, quasi sempre superiori ai limiti, con picchi fino a 41,612 pg/g (canale ovest) o addirittura 52,369 (per dei mitili trapiantati nel canale Brentelle, che in sette settimane dunque ha moltiplicato la loro diossina). Un'ulteriore conferma della "biodisponibilità" di questo inquinante, di come cioè possa essere assorbito non solo attraverso i sedimenti (l'esempio classico è quello delle vongole), ma anche dall'acqua (il caso dei mitili, appunto). Insomma una ragione in più per non abbassare la guardia contro questi pop's.
Roberta Brunetti
LE ANALISI
Latte
materno sorvegliato speciale
Sotto esame
campioni di popolazione locale. Valori tra i più alti d’Europa
Venezia
(r. br.) Hanno analizzato il sangue di alcuni veneziani, nonché il latte di alcune mamme di laguna. Piccoli campioni di persone, ma che hanno evidenziato dati preoccupanti: i livelli di diossina, a Venezia, sono più alti che altrove e andrebbero a colpire, in particolare, chi mangia tanto pesce di laguna. Un lavoro tutto da approfondire, quello di un gruppo di ricercatori dell'Inca, il consorzio per la chimica per l'ambiente di Marghera, che è stato presentato ieri dal responsabile del laboratorio microinquinanti, Stefano Raccanelli. L'occasione il tradizionale convegno organizzato da questo consorzio che riunisce una trentina di università italiane e dedicato quest'anno a diossine e pop's.
La premessa è arrivata da una ricercatrice svedese, Lindstrom, che ha fatto il punto sulle ricerche di diossine e policlorobifenili nel sangue e nel latte materno nel mondo. Ebbene, in un caso come nell'altro, l'Italia si piazza agli ultimi posti. E in questo panorama, Venezia - ha aggiunto Raccanelli - sta pure peggio. Il responsabile del laboratorio microinquinanti dell'Inca ha così illustrato questa nuova ricerca che ha messo a confronto vari campioni di popolazione, analizzati in periodi diversi: ex lavoratori del Petrolchimico, piccoli e grandi consumatori di pesce e molluschi di laguna, oltre alle neomamme che hanno donato il latte. Forse il risultato più sorprendente è quello sul sangue degli ex lavoratori di Porto Marghera che è risultato contaminato a livelli paragonabili a quello dei grandi consumatori di prodotti ittici (che mangiano cioè pesce e molluschi più di tre volte la settimana). Insomma il sospetto è che una dieta a base di pesce contaminato faccia tanto male quanto una vita passata in una fabbrica chimica. Possibile? Raccanelli ieri è tornato a chiedere approfondimenti: «I dati sui grandi e piccoli consumatori di pesce sono noti dal '99, furono oggetto di una tesi di laurea, che poi però fu tenuta ben nascosta. Non li comunicarono neppure ai volontari che si erano prestati a donare il sangue. Un'assurdità, perché in questi dieci anni si sarebbero potuti fare tanti accertamenti utili». Resta il problema di un'ambiente lagunare ancora molto inquinato, che influenza la catena alimentare. «Non ce ne rendiamo conto abbastanza - ha ammonito il ricercatore -. Anche il gabbiano che si mangia la spazzatura, poi muore, diventa cibo per i pesci che finiscono sulle nostre tavole. Ecco perché dobbiamo stare attenti a tutto quello che scarichiamo nell'ambiente». Raccanelli ha puntato il dito anche sulle vongole contaminate che crescono davanti alla zona industriale. «Quando andiamo all'estero, ci dicono: "Ma allora basta bandire la pesca da quelle zone". Semplice a dirsi, molto meno a farsi, come sa bene chi vive qui. I divieti ci sono già, ma non è facile fermare un traffico che frutta da 2mila a 15mila euro netti a notte, in rapporto alla grandezza della barca».
L'altro tema rispolverato da Raccanelli è stato quello del latte materno: «In base ad un'indagine condotta tra '98 e 2000 su un gruppo di veneziane si scoprì che il latte a Venezia era del 50\% più contaminato da diossine e policlorobifenili di quello di Roma, che non è ambientalmente parlando l'eden. Ora abbiamo trovato tre nuove donatrice e dall'analisi del loro latte sono risultati valori, fortunatamente, inferiori. Ma il campione è troppo ridotto per poterne trarre una valutazione generale. D'altra parte questi sono esami costosi. Servirebbe un investimento serio».
Il responsabile delle ricerche: «Non sottovalutiamo il problema o ci sarà "l'effetto mozzarella"»
Venezia
(r. br.) «Stiamo nascondendo la testa sotto la sabbia, ma attenzione perché così faremo la fine della Campania, con le sue mozzarelle: che fosse stata trovata della diossina lo si sapeva dal 2003, ma non si è fatto nulla e ora sta crollando un mercato mondiale». Stefano Raccanelli, il responsabile del laboratorio microinquinanti dell'Inca, il Consorzio per la chimica per l'ambiente di Marghera, usa la notizia del momento per rilanciare la sua richiesta alla Regione Veneto. Quella di un monitoraggio serio sul sangue e il latte materno di un campione consistente di veneziani e veneti per capire quando pesi davvero la contaminazione da diossina in laguna. «Le nostre analisi ci danno delle indicazioni preoccupanti sui veneziani, in paricolare sui grandi consumatori di pesce, che hanno livelli di contaminazione paragonabili a quelli dei lavoratori del petrolchimico - ribadisce il ricercatore -. Ma si tratta di dati parziali. Ecco perché serve un approfondimento. Il progetto è già stato inviato, e da tempo, alla Regione. Aspettiamo una risposta». Un tema, quello dell'epidemiologia e della conoscenza in genere, che è stato ripreso anche dal senatore Felice Casson, pure invitato al convegno. Sollecitato dal presidente dell'Inca, Pietro Tundo, che chiedeva alla politica un impegno serio per una «ricerca italiana che perde pezzi», Casson ha sottolineato l'importanza dell'«epidemiologia per fornire le indicazioni utili a prendere le decisioni. Aumentare i livelli di conoscenza è sempre utile. Se non c'è conoscenza, non c'è nemmeno la possibilità di prendere delle decisioni». Il senatore ha ammesso che talvolta la politica preferisce non sapere, per non dover prendere decisioni scomode. Ma, memore del suo passato di pm al processo al Petrolchimico, se l'è presa anche con una certa «scienza che si vende a chi la paga». «Attenzione - gli ha fatto eco Luigi Marra, di Medicina democratica - la scienza non è mai neutrale e i tecnici possono avere un ruolo nefasto».
Da Marghera a
Pellestrina rilevate concentrazioni record della sostanza, che attraverso la
fauna ittica entra nella catena alimentare
Nuovo
allarme, laguna avvelenata dalla diossina
Gli esperti
chiedono un’indagine epidemiologica: «Si rischia di fare la fine della Campania
con la mozzarella»
Venezia
L'hanno trovata nei
canali che si snodano davanti al Petrolchimico di Porto Marghera, e questo era
ovvio. Ma l'hanno trovata anche in Canal Grande, sotto il ponte di Rialto; o
tra Murano e le Fondamente Nuove; persino di fronte alle casette dei pescatori
di Pellestrina, tanto lontane dalle ciminiere di Marghera... È la famigerata diossina
che nelle acque della laguna di Venezia c'è un po' dappertutto. Ma quel che è
peggio è che questo contaminante tanto insidioso entra nella catena alimentare.
E non sarebbe un caso che nel sangue di un campione di veneziani che mangiano
pesce e molluschi di laguna in abbondanza siano stati trovati livelli di
diossina pari a quelli degli ex lavoratori del Petrolchimico. Insomma quanto
basta per chiedere alla Regione un'indagine epidemiologica seria sulla
contaminazione da diossina di veneziani e veneti, a confronto.
L'appello è stato
rilanciato ieri, a Venezia, al 7. convegno organizzato dall'Inca, il Consorzio
interuniversitario per la chimica per l'ambiente di Marghera, e dedicato
proprio alla diossina e ai pop's in genere, quei contaminati organici
persistenti cioè che resistono nel tempo e si accumulano nell'ambiente. «Perché
tutto quello che scarichiamo nella laguna, non dimentichiamocelo mai, prima o
poi ce lo mangiamo - ha esordito Stefano Raccanelli, responsabile del
laboratorio analisi dell'Inca - Anche il gabbiano che si ciba della spazzatura
abbandonata, poi muore, diventa cibo per i pesci che finiscono sulle nostre
tavole. Il bersaglio, alla fine, siamo sempre noi». Punto di partenza, dunque,
lo stato delle acque lagunari, che ieri è stato illustrato da Giorgio Ferrari,
del Servizio antinquinamento del Magistrato alle acque (Sama) di Venezia. Gli
"obiettivi di qualità" per la diossina, che erano stati fissati dal
decreto Ronchi-Costa nell'ormai lontano 1998, sono ampiamente sforati quasi
ovunque. Il Sama lo ha stabilito dopo aver analizzato campioni d'acqua
prelevati in 18 stazioni che coprono l'intera area. Se l'"obiettivo di
qualità" è di 0,013 pico grammi per litro, la media lagunare è di 0,121
pg/l, che si impenna naturalmente davanti al Petrolchimico dove i valori
superano i 0,340 pg/l. In cima alla lista dei punti più inquinati ci sono così
Fusina, seguita dal canale industriale ovest, da quello nord, da Pellestrina.
«Un dato, quest'ultimo, che si spiega con l'attività cantieristica che c'è in
isola» ha spiegato Ferrari. Un po' più in basso, ma sempre ben sopra ai 0,100
pg/l, anche Rialto. Le «zone buone della laguna», come le ha chiamate Ferrari,
dove si rispettano gli "obiettivi di qualità", o quantomeno non ci si
discosta troppo, sono invece quelle dell'estrema laguna nord (Burano, il canale
Dese, le Saline) e di quella sud (attorno a Chioggia).
Il Sama ha anche provato
a analizzare la diossina accumulata nei mitili pescati in una zona
relativamente buona, come il canale di Fisolo, rispetto a quelli dei canali
industriali. Se i primi hanno un tasso di tossicità equivalente di 0,500 pg per
grammo liofilizzato di prodotto, al di sotto dei limiti imposti dalla Comunità
europea, i secondi li superano, e di molto, arrivando a picchi di 52,369 pg/g.
Un mitile, poi, trasportato dalla zona "pulita" a quella
"sporca", nel giro di un paio di mesi, moltiplica i suoi livelli di
diossina. Un'ulteriore conferma della "biodisponibilità" di questo
inquinante, di come cioè possa essere assorbito non solo attraverso i sedimenti
(l'esempio classico è quello delle vongole), ma anche dall'acqua (il caso dei
mitili, appunto). Insomma una ragione in più per non abbassare la guardia
contro questi pop's. «É essenziale continuare a monitorare le acque della
laguna - ha concluso Ferrari - in vista di quella riduzione degli inquinanti
che passerà attraverso la rimozione dei sedimenti e il marginamento delle rive.
Tutte operazioni in corso, ma per cui ci vorranno anni».
Mentre Raccanelli ha
insistito per un monitoraggio della popolazione, attraverso l'analisi delle
diossine che si accumulano nel sangue e anche nel latte materno. «Stiamo
nascondendo la testa sotto la sabbia - ha avvertito il ricercatore -, ma
attenzione perché così faremo la fine della Campania, con le sue mozzarelle:
che fosse stata trovata della diossina lo si sapeva dal 2003, ma non si è fatto
nulla e ora sta crollando un mercato mondiale. Le nostre analisi sui veneziani
ci danno delle indicazioni preoccupanti, in particolare sui grandi consumatori
di pesce, che hanno livelli di contaminazione paragonabili a quelli dei
lavoratori del Petrolchimico». Raccanelli ha anche ricordato come i primi dati
sui «grandi e piccoli consumatori di pesce sono noti dal '99, furono oggetto di
una tesi di laurea, che poi però fu tenuta ben nascosta. Non li comunicarono
neppure ai volontari che si erano prestati a donare il sangue. Un'assurdità,
perché in questi dieci anni si sarebbero potuti fare tanti accertamenti utili.
Ora si tratta di recuperare il tempo perduto. Serve una seria indagine
epidemiologica su veneziani e veneti a confronto. Alla Regione Veneto abbiamo
già inviato un nostro progetto. Contiamo in una risposta».
Roberta Brunetti
PESANTE
DENUNCIA DELL'ARPAV
Venezia
Se la laguna non sta
bene, l'area veneta che viene lambita dal fiume Bacchiglione, da Padova a
Chioggia, con un interessamento molto pesante anche della fascia costiera, è
ormai in ginocchio. La colpa, come spiega Andrea Drago, direttore dell'Arpav, è
di Padova. «È uno dei punti più critici del Veneto - sottolinea - purtroppo la
rete fognaria della città, pur essendo molto estesa non è più sufficiente: ne
manca almeno il 50 per cento ed è come se i rifiuti organici di 150mila persone
finissero direttamente nel fiume. Questo si ripercuote in tutti i comuni che si
affacciano sul corso d'acqua, arrivando fino a Chioggia. Quindi, tra gli altri
evidenti disagi, diventa anche impossibile utilizzare l'acqua a scopo irriguo».
Un problema che si
trascina da anni, e che vede come soluzione un massiccio potenziamento del
depuratore di Ca' Nordio: una soluzione non proprio dietro l'angolo.In questi
giorni la vicenda ha subito un'accelerazione, come spiega il direttore Drago:
la prossima settimana ci sarà lo "start" con una riunione tra le
amministrazioni che si affacciano lungo il fiume, la Regione, l'Arpav, l'Ato,
il genio civile e altre realtà. Il fine quello di cominciare a ragionare
sull'inizio dei lavori, visto che dalla Regione è arrivata parte dei
finanziamenti. L'opera è mastodontica sia per dimensioni sia per costi, si
parla di un impegno che va dai 50 ai 60 milioni, buona parte dei quali verranno
raccolti dalla comunità padovana grazie al versamenti relativi alla tassa
rifiuti. «Se dovesse andare per il verso giusto, grazie all'impegno che è stato
profuso dagli attori interessati, entro il 2012 il nuovo depuratore dovrebbe
entrare in funzione - spiega Drago - Di fatto questo nuovo strumento permetterà
di modificare radicalmente la situazione idrica della nostra regione. Il fiume
Bacchiglione infatti, nei suoi 40 chilometri e oltre di corsa attraverso la
pianura padana, contribuisce ad inquinare buona parte delle nostre campagne.
Per non parlare poi della ampia zona di mare, a raggio, nella quale sfocia».
Pare comunque che l'unica
pietra dello scandalo nel Veneto sia proprio questo fiume. Per quanto riguarda
le falde, il direttore dell'Arpav fa una netta distinzione: se in profondità
possiamo stare quasi tranquilli, per le falde più superficiali la situazione
non è ancora del tutto tranquilla. «In particolare per la presenza di scarichi
industriali si trovano ancora parecchi solventi, o altre sostanze inquinanti,
compreso i vari generi di cromo, anche quello e esavalente, retaggio delle
imprese galvaniche che in passato hanno operato con troppa leggerezza - precisa
Drago - Ci sono depuratori che ci aiutano ad ottenere una buona qualità
dell'acqua, ma in alcune aree è ancora impossibile usare le acque per irrigare
i campi. Come si vede, il Veneto ha una situazione molto differenziata, con
chiaro-scuri che sono ancora molto pesanti». Dove si è intervento, comunque i
risultati non si sono fatti attendere. È il caso ad esempio del canale Fratta
Gorzone, nel quale scaricano le industrie conciarie, che in pochi anni ha
radicalmente visto modificare la qualità dell'acqua immessa. «Oggi nella
maggior parte dei casi non rappresenta più un pericolo - conclude Drago - ma un
esempio di come gli sforzi di dotarsi di impianti hanno creato una rete idrica
efficiente».
Daniela Boresi