IL GAZZETTINO 31.3.2008
Cresce il dibattito dopo la divulgazione dei dati
sull’inquinamento delle acque interne e sulla commercializzazione dei
prodotti ittici "veneziani" |
Diossina e pesca in laguna, «i rischi ci sono» |
Per il Magistrato alle Acque i pericoli «non sono trascurabili».
Ma per il servizio igiene della Regione siamo molto al di sotto dei limiti di
legge |
Tutta la laguna è contaminata dalle
diossine. E persino nelle aree dove vengono allevate le vongole, quelle
autorizzate, le acque non rispettano quegli "obiettivi di qualità"
fissati dal decreto Ronchi-Costa per questo insidioso inquinante. Nella cartina che pubblichiamo qui a fianco abbiamo incrociato
l'ultima simulazione diffusa dal Sama, il servizio antinquinamento del
Magistrato alle acque, sulla presenza della diossina nella nostra laguna, con
le aree assegnate al Gral per allevare le vongole. Ebbene, posto che
praticamente quasi tutta la laguna supera l'"obiettivo di qualità"
di 0,013 picogrammi di diossina per litro (la media lagunare è di 0,121, con
picchi che a Fusina arrivano a 0,345), pure le vongole crescono in acque
contaminate. In particolare l'allevamento della laguna centrale sconfina con
una delle zone dove la concentrazione di diossine è più alta, proprio di
fronte alla zona industriale. Questo non significa, però, che poi le vongole siano tossiche;
su questo punto il servizio alimenti della Regione è categorico: i molluschi
che escono da quegli allevamenti sono sicuri, con un massimo di 0,5 pg di
diossina per grammo, ben al di sotto del limite imposto dall'Unione europea
di 4 pg/g. Resta, certo, il problema di un ambiente che è ancora molto
compromesso, che non sarebbe l'ideale per pesci e molluschi: ribattono dal
Sama. E tra la voce di un esperto e l'altra, al profano resta pure una certa
inquietudine. L'ESPERTO DELLE ACQUE -Giorgio Ferrari, del Sama, è colui che
esamina le acque lagunari. «Al di sotto degli "obiettivi di
qualità" del Ronchi-Costa, che furono fissati da una commissione di
massimi esperti, non c'è rischio per la salute umana - spiega -. Se si
rispettasse quel limite, le specie ittiche e marine non dovrebbero costituire
un rischio per la catena alimentare». Questo però, dati alla mano, avviene
solo alle Saline. E nel resto della laguna, dove quei limiti sono superati, e
anche di molto?. «Questo significa che c'è un fattore di rischio non
trascurabile - risponde Ferrari -. Non bisogna fare allarmismo, ma è giusto
portare il problema all'attenzione dell'opinione pubblica: l'esposizione alle
diossine avviene soprattutto attraverso l'alimentazione, si tratta di
sostanze che si accumulano e i grandi consumatori di pesce corrono più
rischi. Poi c'è il grave problema della pesca abusiva, che avviene pure nelle
zone più inquinate della laguna». Ferrari sottolinea anche come il limite
europeo per le diossine negli alimenti, quello che "scagiona" per
così dire le nostre vongole, sia «molto alto»: «L'alternativa sarebbe vietare
il consumo di tanti prodotti ittici, mettendo in crisi un intero sistema economico». L'ESPERTO DEGLI ALIMENTI -Diverso il punto di vista del
dirigente del servizio igiene alimenti, nutrizione e acque della Regione
Veneto, Piero Vio. «Noi facciamo campagne accurate sui prodotti veneti. E non
esiste un problema di diossine. Questo lo posso assicurare». E gli
allevamenti di vongole in una laguna che sfora gli obiettivi di qualità? «Il
problema ambientale esiste - premette Vio -. Ma per attivare le aree per
l'allevamento esiste una procedura precisa: prima abbiamo l'ok dall'ambiente,
poi facciamo uno studio di 6 mesi sui molluschi. E quelli che noi
consideriamo livelli di guardia per le diossine sono bene al di sotto dei
parametri comunitari, dagli 0,2 agli 0,5 pg/g». Vio vuole rispondere anche
all'Inca, il consorzio per la chimica per l'ambiente di Marghera che al
convegno dell'altro giorno, dopo aver presentato un'analisi sul sangue
contaminato dalla diossina di alcuni veneziani, aveva sollecitato la Regione
ad avviare un'indagine epidemiologica più vasta su veneziani e veneti a
confronto, anche in relazione alle loro abitudini alimentari. «I miei dati
sugli alimenti mi dicono che non ci sono problemi di questo tipo -
puntualizza -. E sono convinto che questa sia la realtà. Ma proprio perché
non vogliamo lasciare nulla al caso, di fronte a questi dati sul sangue,
siamo stati noi a chiedere all'Inca di presentarci una proposta di studio per
approfondire il tema. Ora la stanno valutando i colleghi della sanità. Ci
sono problemi di tempi e di costi. Gli esami per trovare la diossina sono
molto costosi. Ma siamo i primi a voler valutare attentamente la questione». Roberta Brunetti |