IL GAZZETTINO - Giovedì, 29 Giugno 2006

 

 

«Mi contestano, ma racconto la vera Venezia»

«La città ha un modo particolare di essere decadente: è il narcisismo di chi vive mettendosi in mostra»

Il suo libro, "Dove cadono gli angeli", ha suscitato polemiche e discussioni animate in laguna. È stato accusato di privilegiare ingiustamente i lati negativi di Venezia, di tratteggiare un quadro della città che non corrisponde al vero, denunciando i vizi (tanti) e le poche virtù dei veneziani; gli inspiegabili bizantinismi, i gretti interessi personali.

Lui, John Berendt , 66 anni, newyorkese, premio Pulitzer mancato per un soffio nel 1995 con "Mezzanotte nel giardino del bene e del male" (più di 5 milioni di copie vendute in tutto il mondo), non se la prende per gli attacchi. E rilancia: «La maggiore parte dei libri su Venezia non sono controversi come il mio. Parlano di arte, di architettura, di storia della città. Oppure sono romanzi. Sapevo che il mio libro non sarebbe stato visto di buon occhio da alcuni, proprio perché parla di persone vere che sono coinvolte in incendi dolosi, suicidi e corruzione; di arrampicatori sociali e di persone che si fanno le scarpe a vicenda - precisa lo scrittore - Il libro descrive mancanza di scrupoli e anche pura incompetenza. Non è un romanzo. É "non-fiction", ed io uso i nomi di persone vere. Ovviamente alcune critiche sono legittime, ma altre erano prevedibili ed interessate».

Oggi pomeriggio lo scrittore sarà in piazza San Marco, dopo nove mesi trascorsi in giro per il mondo a presentare il suo libro, che ha già venduto mezzo milione di copie tra Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda e Gran Bretagna e 10mila in Italia. È ospite d'onore della galleria Ravagnan dove, alle 18, verrà inaugurata "Angels & Venice", una mostra di Ludovico De Luigi, l'artista che è stato tra le sue "guide" alla scoperta di fatti e personaggi.

- Perché un libro su Venezia, sui veneziani?

«Venezia mi affascinava da più di venti anni - da quando avevo fatto la prima di tante visite in città. Avevo sempre sperato che un giorno avrei avuto la possibilità di viverci come non-turista; e dieci anni fa, dopo l'uscita del mio primo libro, avevo il tempo per farlo. Ho affittato un appartamento a Cannaregio e sono arrivato il 1 febbraio 1996: due giorni prima la Fenice era stata distrutta da un incendio, e si respirava ancora l'odore del bruciato. La reazione emotiva della città a quest'evento mi ha colpito fortemente, e quasi subito mi è venuta l'idea di scrivere un libro su Venezia, costruito intorno alla tragedia. L'incendio rappresentava più della semplice perdita di un tesoro storico: assediata dall'Adriatico, dalla marea asfissiante di turisti, Venezia stava lottando per rimanere una città viva, per evitare un futuro da museo. Avendo scelto l'incendio e le sue conseguenza come filo conduttore del libro, ho cercato altre storie, per costruire un ritratto della città, un ritratto molto personale».

- Dieci anni di lavoro: con quali difficoltà?

«Per il tipo di libro che volevo scrivere, le interviste faccia-a-faccia erano molto importanti. Allora, era cruciale che la gente fosse disposta a parlare con me. Per puro caso, il periodo in cui arrivai a Venezia era quello dell'uscita del film che Clint Eastwood ha tratto dal mio primo libro: la gente era curiosa di conoscermi. Le porte si aprivano. Ma dovevo guadagnarmi la fiducia della gente in modo che si sentisse libera di parlare apertamente».

- Ci può spiegare il suo metodo di lavoro?

«Ero continuamente alla ricerca di storie belle per il libro: qualche spunto raccolto durante conversazioni; qualcosa letto su "Il Gazzettino"; oppure un "personaggio" notato al mercato. Poi l'approccio tramite telefono, o conoscenze; o semplicemente iniziando una conversazione con qualcuno per strada. Lavoravo ventiquattro ore al giorno; avevo sempre con me un piccolo quaderno per prendere appunti».

- Dal suo libro esce un'immagine di Venezia come città decadente.

«Ogni città è decadente in un certo senso. Ma i veneziani non sono più decadenti dei parigini o dei milanesi. Come tutte le città, Venezia ha il suo modo particolare di essere decadente. E l'aspetto principale del fenomeno è lo sfruttamento del proprio passato. È quello che Venezia ha da offrire: la sua arte ed architettura; la scenografia meravigliosa della città stessa. Venezia si guadagna da vivere mettendosi in mostra per i turisti. Niente di male, per carità. Farei la stessa cosa. Il fatto è che i veneziani non hanno alternativa; hanno un obbligo - un dovere - morale di proteggere e conservare il patrimonio storico della loro città. E osservano quel dovere con cura amorevole. Ma una situazione in cui la (quasi) unica fonte di reddito è il mettersi in mostra porta inevitabilmente ad un certo narcisismo.»

- Qual è, a suo avviso, il principale problema di Venezia?

«Com'è ben noto, l'acqua alta è il problema numero uno. Ma io non ho né l'informazione né la competenza scientifica per discuterne. Dopo quello, il problema principale che Venezia deve affrontare è il fatto che la città si adegua troppo al mercato turistico - e, di consequenza, diventa sempre meno vivibile. Durante i sette anni trascorsi a San Vio, il quartiere ha perso vari alimentari: un panificio, un macellaio, due fruttivendoli. E al loro posto sono arrivati negozi vendendo chincaglieria per i turisti. Adesso gli abitanti della zona devono andare al Billa o a San Barnaba per fare la spesa. E la stessa cosa si vede in altre parti della città. Il Comune dovrebbe essere in grado di introdurre regolamenti per rendere la vita un po' più facile ai veneziani; misure per aiutare i piccoli negozi di quartiere a sopravvivere e per scoraggiare il fenomeno degli appartamenti sfitti».

- Pregi e difetti della città?

«Voglio citare alcune cose "banali" che amo: i vaporetti, soprattutto la linea 1, che fa il giro più bello del mondo; l'atmosfera tranquilla, con le campane che scandiscono l'arco della giornata; l'aria pulita; il mangiare all'aperto; il tramonto, quando la luce si ammorbidisce, e cielo ed acqua prendono lo stesso colore roseo di madreperla, e Venezia sembra veramente una città galleggiante. Non amo le navi da crociera: rovinano il panorama e turbano il fondale della laguna».

- La storia inedita delle carte del celebre poeta Ezra Pound, è il capitolo più duro di tutto il libro e chiama in causa persone molto influenti in città come Philip Rylands, direttore della Guggenheim, e la moglie. L'hanno querelata per quello che ha scritto?

«No, non l'hanno fatto. Io ero molto attento nel controllare tutti i fatti che mi sono stati raccontati. Prima della uscita del libro, ho chiesto a tutte le persone intervistate in quel capitolo di leggere le citazioni attribuite loro e di firmare un doumento in cui dichiaravano che erano stati citati con precisione e che quello che dicevano era la verità».

- L'argomento del prossimo libro?

«Preferisco non dirlo... per scaramanzia».

Gianluca Amadori