Parrocchia di San Floriano Martire e Santa Maria
Raveo (UD)
dopo restauri successivi al terremoto del 1976
Sabato 20 agosto
1994
(Omelia di Mons. Giuliano De Crignis, parroco di
Raveo)
Rendiamo grazie al Signore e alla Madre sua Maria Santissima per averci
dato la gioia di benedire e restituire al culto questa chiesetta e poter
celebrare qui, questa sera, assieme a voi tutti, la Santa Messa invocando la
benedizione celeste sui presenti e
sulla comunità, nel ricordo e nel suffragio di quanti, in qualche modo, sono
legati alla storia della costruzione e del recente restauro di questo edificio
sacro.
Salutiamo e ringraziamo la i proprietari che, di iniziativa
propria ed a proprie spese, s’è assunto il fastidio burocratico e l’impegno
finanziario per recuperare e garantire una continuità a questo manufatto legato
alla storia della loro famiglia ma che, nella sua realizzazione, nei motivi
storici e religiosi che stanno alla base della sua costruzione, ci fa
incontrare persone del secolo scorso (XIX sec. n.d.r.) e dell’inizio del
presente, che si resero grandemente benemerite anche verso la nostra comunità.
Raveo, oltre alla chiesa parrocchiale dedicata a San Floriano Martire,
conta, sul suo territorio, altre cinque chiese, tutte dedicate alla Madonna e
tutte con specifico motivo religioso che mosse l’animo e la generosità degli
antenati per la loro costruzione. Ognuna con sua posizione ambientale diversa e
con suo stile proprio che le caratterizza e le differenzia. Ognuna che, nel
titolo della sua dedicazione, include una richiesta o qualche privilegio della
Madonna: la Nascita al Santuario, l‘Immacolata Concezione al Romitorio; a un
aspetto devozionale: Nostra Signora del Sacro Cuore in Valdie; un’invocazione,
una richiesta di utili suggerimenti: Madre del Buon Consiglio in Pani;un
modello a cui aggrapparci nel momento del dolore, in questa di Terranera
dedicata all’Addolorata.
STORIA DELLA CHIESETTA – Dal breve e prezioso manoscritto lasciato da
don Giorgis, nella sua quasi indecifrabile scrittura, raccogliamo queste
notizie.
Dopo l’apparizione della Madonna nella borgata de La Salette, in
Francia, ai due pastorelli Melania e Massimino, il 19 settembre 1846, una
persona devota, di Raveo, ideò di costruire un piccolo santuario, proprio in
questo posto, con l’intento di far conoscere l’importanza di questa apparizione
e ispirare il proprio comportamento all’austero richiamo di quel messaggio. La
Madonna era apparsa in uno splendente globo di luce che, apertosi, lasciò
vedere l’Addolorata in pianto presso una fonte inaridita d’acqua. Lamentò
l’indebolimento della fede, la decadenza dei costumi; indicò nella bestemmia e
nella profanazione della festa i due peccati che, maggiormente, offendono il
Signore. Affidò ai due fanciulli il messaggio, il richiamo alla conversione, al
ritorno alla pratica religiosa più sincera ispirata agli insegnamenti del
Vangelo.
Qui eravamo al tempo del pio e zelante pastore Don Vergendo, devotissimo
della Madonna. Nessuna meraviglia che l’idea del promotore abbia trovata
pronta, benevola, larga accoglienza. Con entusiasmo iniziarono i lavori di
recupero e sistemazione del terreno impervio, per renderlo adatto a costruirvi
sopra la chiesa. Mancava però l’assenso di un “messere” (di cui il manoscritto
non cita né il nome né il casato) che, per essere benestante ed autoritario,
non tollerava che in parrocchia si prendessero decisioni senza o contro il suo
consenso. Si mise decisamente contro. Si sospesero i lavori, si affievolirono
gli entusiasmi e, in Terranera, tornarono a crescere cespugli e rovi, a
rosolarsi, nel calore estivo, lucertole e ramarri.
Intanto in paese maturavano eventi importanti. Nel 1875, svincolandosi
dalla secolare dipendenza di Enemonzo, Raveo veniva elevata al rango di
parrocchia. Promotore e artefice laico
di primaria importanza fu il sindaco di allora: Antonio De Marchi, uomo dotato,
oltre che di cospicuo patrimonio economico, anche di profondo senso religioso e
di spiccata attitudine pratica in campo amministrativo e nel disbrigo degli
affari. Il suo nome è ricordato nell’iscrizione marmorea posta all’interno
della chiesa parrocchiale sopra il quadro di Gesù fra i dottori nel tempio.
Appena due anni dopo la proclamazione della parrocchia, il 2 luglio
1877, all’età di 48 anni, Antonio De Marchi cessava di vivere. Lasciava la
moglie Giuditta De Marchi di anni 40. In 20 anni di convivenza matrimoniale
avevan salutata la nascita di sei creature. Di esse cinque non raggiunsero i
tre mesi di vita. Sopravvisse la penultima, Maria Barbana Sabina nata nel 1870,
anch’essa di costituzione gracile fin dalla nascita, tanto che fu battezzata
dalla levatrice appena nata perché in pericolo di morte. A sette anni restò
orfana di padre; a dieci anche della madre. Crebbe tra mille attenzioni e
preoccupazioni e riguardi, in casa delle tre zie materne, Teresa, Lucia ed Anna, le tre insigni benefattrici della nostra
comunità.
Dal padre, la fanciulla ereditò non soltanto un ricco patrimonio di
terreni e di denaro, ma anche un’intelligenza pronta e vivace, amore allo
studio, sete di conoscenze, forza di volontà per raggiungere le mete che si
prefiggeva. Le zie l’assecondarono in tutto, mettendola in condizione di avere
il massimo nella formazione religiosa, morale e intellettuale auspicabile in
quel tempo. Probabilmente, secondo la consuetudine delle famiglie nobili e
benestanti di allora, ebbe, nei primi anni, l’istitutrice in casa. In seguito
fu allieva del Collegio Nobili Dimesse di Udine. Infine, per compiere i corsi
che corrispondono oggi alla nostra Università, si trasferì a Firenze, iscritta
al Regio Istituto Superiore di Magistero, uno dei collegi più prestigiosi e più
costosi del tempo.
La Barbana Sabina poteva avere
allora 18 anni. Ricca, intelligente, colta, cordiale nell’amicizia, nemica
dell’ipocrisia, espansiva nella sincerità. Umanamente un avvenire radioso le
stava davanti. Dal cielo, i suoi genitori avranno guardato con gioia a
quell’unica figlia rimasta a portare avanti il ricordo della distinta famiglia.
Ma, nella luce eterna di Dio, vedevano anche che la fiamma della sua vita
iniziava lentamente a spegnersi. I suoi polmoni cominciarono ad essere devastati
dal “mal sottile”, la tisi, il terribile ed incurabile morbo che, in quei tempi
faceva strage specie tra i giovani, malattia allora più insidiosa di quanto lo
sia oggi il tumore.
La zia Teresa si trasferì quasi in permanenza a Firenze per assistere,
sostenere, incoraggiare la nipote. La sua presenza materna e discreta raddolcì
le sofferenze dell’inferma e l’incoraggiò ad aprire maggiormente il cuore alla
fiducia e alla speranza in un intervento celeste facendo, assieme con lei, una
promessa, un voto alla Madonna.
Ecco, alla distanza di 40 anni, riapparire l’idea di costruire sulla
curva pietrosa di Terranera una chiesetta, ancora nello spirito e nel messaggio
de La Salette, dedicandola all’Addolorata. Immediatamente la famiglia provvide
all’acquisto del terreno. Al capomastro Luigi Puicher fu affidato l’incarico di
curare il progetto. Progetto che porta la data del 4 febbraio 1890.
Ma la volontà di Dio non può essere condizionata dalle preghiere e dalle
scelte degli uomini. Nella sua sapienza infinita egli, molte volte, sa che il
nostro vero bene non è quello che noi pensiamo e chiediamo; spesso è diverso e,
non di raro, proprio il suo contrario. Anche questa volta non venne la grazia
della guarigione ma, di giorno in giorno le condizioni dell’inferma andavano
aggravandosi. La malattia fu lunga e penosissima. Nonostante questo, dice un articolo
di giornale apparso a Firenze nell’annuncio della sua morte, “ … resistette
con meravigliosa fermezza alla fatica dei libri anche allora che il male che
doveva trarla alla tomba, avrebbe reclamato conveniente riposo: fino all’ultima
ora della sua vita parlò di studi e di libri …”.
E più sotto: “ … sopportò con
coraggio eroico i tormenti di un morbo che la scheletrì mentre era ancora viva.
Nessun’ombra mai conturbò la serenità dell’animo suo …”.
Illuminata dalla fede e confortata dalla forza dei Sacramenti, chiuse
gli occhi alla vita del mondo il 24 marzo 1891. Aveva 21 anni appena compiuti.
La salma, da Firenze, venne traslata
Raveo ove, troviamo segnato nel registro dei Morti, fu sepolta con
grande concorso di popolo e di clero nel pomeriggio di Sabato Santo.
La prepotenza di un “messere” benestante che si era ritenuto offeso per
non essere stato consultato prima di prendere l’iniziativa di costruire la
chiesetta, 40 anni prima aveva troncata l’iniziativa sul nascere. La fede e la
piena accettazione della volontà di Dio non permisero che l’animo delle zie
rimanesse deluso e sconcertato dinnanzi alla morte della nipote. I lavori
continuarono. Il voto, la promessa ebbero il loro compimento più meritevole e
degno di maggior elogio di quanto sarebbe stato se coronato dalla grazia della
guarigione.
Ed ecco la Chiesetta di Terranera, collocata sull’aspro, pietroso e
solitario sperone di questa roccia bruciata dal sole in estate e battuta dalle
gelide raffiche di vento durante l’inverno.
Alla sua storia, poco conosciuta, ma ricca di tanti insegnamenti che
portano a riflettere sulle alterne vicende della vita che tutti sognano ricca
di gioia e di felicità e che, per tutti, é segnata dal peso della sofferenza e
che solo la fede aiuta a rendere meno gravosa e più accettabile.
Quasi cent’anni son passati da quando, ultimata, accolse fra le sue
ristrette mura parenti e amici per celebrare per la prima volta la S.Messa.
Non penso che la liturgia abbia assunto in quel giorno il carattere
festoso delle solite inaugurazioni, ma piuttosto quello mesto del ricordo,
della riflessione e del suffragio. Fra quelle quattro mura si condensava la
memoria di una famiglia ricca, onorata, potenzialmente aperta ad un avvenire
luminoso e che, quasi vittima di una maligna forza occulta, s’era spenta nel
giro di due generazioni.
Un animo superficiale e critico avrebbe trovato motivo per allontanarsi
dalla fede, prendersela con Dio per negare la sua esistenza, contestare la sua
bontà.
I presenti e specialmente le tre zie, col Santo Giobbe, pregarono: “Dio
ha dato e Dio ha tolto. Sia benedetto il nome del Signore”. E pensarono a
investire una cospicua parte dei loro beni alla banca sicura del Paradiso
donando a don Giorgis tutto il terreno per la costruzione dell’Asilo Infantile
che diverrà il centro propulsore educativo della nostra gente e, sostenendolo
generosamente nell’ingente spesa di completamento della costruzione e nella
provvista dell’arredamento della parrocchiale.
Chiesa di Terranera che oggi, cancellati i segni di usura del tempo e
delle lacerazioni profonde del terremoto, ci accoglie, consolidata nella struttura e ingentilita
in tutto il suo aspetto esteriore, sotto lo sguardo dell’Addolorata, ci aiuta,
nel ricordo del passato, a riflettere sulla precarietà della potenza, della
salute, delle ricchezze (“ … ombra di fior è la bellezza, eco di tromba che
si perde a valle, la potenza … “) e
ci porta alla conclusione che, solo sulla roccia solida della fede in Dio, il
cammino della vita può essere reso meno penoso e incerto, più vivibile e
sicuro.