Raveo
costruzioni sacre, immagini devozionali e pitture murali |
|||||||||||||||||||||||||||||||||
Sommario
Prefazione
PremessaBibliografia
Le
Chiesette
La Chiesetta di Terranera
Il Santuario della Madonna del
Monte Castellano La Chiesetta dell'ex
Romitorio Francescano
Omelia del 29.8.2004 di Don Primo Paties su Valdie Le pitture murali di Marino Romano
|
di Sergio Piovesan e-mail: [email protected] www.piovesan.net
PREFAZIONE
Nell’agosto
del 2003 venni a conoscenza di un progetto di coltivazione di una cava di
gesso nel territorio del comune di Raveo, in località “Suvice” e, da subito,
decisi di adoperarmi affinché questo non accadesse usando, innanzitutto, i
giornali locali; provvidi perciò ad inviare loro una lettera per
pubblicizzare quanto stava avvenendo, essendo stato tenuto molto in silenzio
tutto l’iter del progetto. Questa mia iniziativa ebbe un certo successo in
quanto ci furono diverse prese di posizione in tutto il Friuli, naturalmente
contro la cava, da parte di numerosi enti e associazioni, ma anche da parte
di singole persone. Nello stesso periodo sorse il “Comitato contro la cava”
che rappresentava, e rappresenta, legalmente tutti coloro che, vuoi per
sentimento ecologico, vuoi perché nel progetto riscontrano più danni che
utili, vuoi infine perché proprietari dei terreni (o ex proprietari
turlupinati), sono, come me, contrari. Nel
frattempo, essendo di professione un informatico (oggi ex informatico perché
in quiescenza) e possedendo un “dominio WEB”, decisi di aprire un sito
internet sullo stesso (www.piovesan.net)
pubblicizzando tutto quello che interessava la paventata cava e tenendomi in
contatto con alcuni rappresentanti del “comitato”. Un
altro avvenimento, le elezioni amministrative del 2004, modificò la volontà
dell’Amministrazione Comunale da favorevole alla cava, in precedenza, a
contraria. Sono
conscio che le prospettive di Raveo non debbano essere quelle di un paese a rischio,
ma che altre opportunità possano permettere il mantenimento, se non un
miglioramento, delle condizioni attuali ambientali, economiche ed
occupazionali. Sono
convinto anche che sia compito della mia generazione, e quindi anche del
sottoscritto, di lasciare il mondo meglio di quello che abbiamo ricevuto e,
per questo, faccio mie le parole che il Cardinale Angelo Scola, Patriarca di
Venezia, pronunciò nel suo intervento ai “Dialoghi di San Giorgio” (14-16
settembre 2004) alla “Fondazione Giorgio Cini” di Venezia, relativamente alla
“ecologia del buon governo” : “…la questione ecologica indiscutibilmente è
oggi più che mai parte decisiva del Buon Governo. In passato abbiamo
colpevolmente trascurato un’adeguata cura del creato, e giustamente siamo
richiamati oggi a farcene carico. Una scelta di libera civiltà, cioè di vita
buona, sostenuta dal Buon Governo, ci chiama a nuovi stili di vita. …” Pertanto,
per questi motivi e per la simpatia che nutro verso questo paese, che
frequento da quarant’anni, ho pensato di raccogliere alcune note, perché solo
di questo si tratta, accompagnate da fotografie, riguardanti un patrimonio di
fede, ma anche artistico, che ritengo sia giusto far conoscere oltre gli
stretti confini comunali. Spero,
infine, che queste poche righe possano interessare qualcuno che, incuriosito,
venga a fare quattro passi per Raveo e dintorni. Sergio
Piovesan Venezia, marzo 2005Premessa
Nei paesi di montagna, ma non solo, sono fiorite in gran numero,
nel corso dei secoli, costruzioni devozionali, chiesette, ma anche Crocifissi
lignei e capitelli, affrescati o con statuette; sono tutte opere prodotte da
culture e devozioni popolari, un’arte forse povera di mezzi, ma ricca di
fede. Anche in Friuli, ed in particolare nella Carnia, esistono esempi
di queste espressioni artistiche. In Carnia, a pochi chilometri da Villasantina, in una conca
esposta a Sud poco più a monte della confluenza dei torrenti Degano e
Chiarzò, si trova il paese di Raveo
che il sottoscritto frequenta,
durante il periodo estivo, da quaranta anni. E’ un piccolo paese che, pur
essendo stato abbastanza chiuso, soprattutto nei tempi andati (la strada che
vi arrivava non andava oltre e, quindi, non era un luogo di passaggio), tuttavia
ha una storia di secoli. Il
nome di Raveo sembra abbia una derivazione longobarda; infatti, come narra la
leggenda, durante un interregno, alcuni capi (“tirannelli” li chiama un
antico documento) si arrogarono il titolo di Re o Duca. Una volta eletto il
legittimo sovrano, questi personaggi dovettero fuggire; uno di questi,
chiamato Vejo, si rifugiò in Carnia dove, presso un colle detto “Nuvolaja”,
eresse un castello nel quale si attestò con la sua milizia. Nei pressi
esisteva un villaggio che si sottopose a lui e dallo stesso prese il nome (da
Re Vejo a Raveo). Un’altra
tradizione fa derivare il nome dal latino “rapum” (rapa). Forse
è più accettabile la prima teoria anche perché uno dei cognomi più antichi
del paese è quello di Ariis corrispondente al toponimo di una località della
bassa friulana che anticamente si chiamava “Ariisberg” che significava
“castello degli arimanni” e gli
arimanni erano guerrieri longobardi. Per quanto riguarda la storia del paese,
legata soprattutto alle vicende della chiesa, prima cappellania e poi
parrocchia, si rimanda ad altre pubblicazioni che approfondiscono l’argomento. Anche a Raveo non mancano chiesette, capitelli (“maine”) e Crocifissi
ed è proprio uno di quest’ultimi (clicca per foto 1 -
2 - 3) che dà il
benvenuto al paesano che torna a casa od al viaggiatore che si avvicina al
paese. Le immagini, i testi e le testimonianze che mi accingo a
presentare sono frutto, innanzi tutto, della simpatia che nutro verso Raveo
e, naturalmente, verso i suoi abitanti; sono frutto anche di ricerche su
altre pubblicazioni, in realtà molto poche per quanto riguarda i capitelli, e
di testimonianza diretta, soprattutto da parte delle persone più anziane che,
in particolare prima del terremoto del 1976, praticavano e vivevano la fede
nelle forme tramandate dai loro padri. Le immagini descritte sono tutte sulla pubblica via in quanto, per
la dovuta riservatezza, non ho trattato quelle all’interno di cortili
privati. Mi scuso anticipatamente d’eventuali dimenticanze e imprecisioni invitando, chi lo desiderasse, a fornirmi chiarimenti e precisazioni.
N.B. - Tutte le fotografie, se non indicato diversamente, sono del sottoscritto
Le Chiesette
Nel territorio comunale, compreso fra i torrenti Degano e Chiarzò
e dai gruppi montuosi del Col Gentile e del Monte Avedrugno, oltre alla
chiesa parrocchiale, vi sono altre
cinque chiesette: Santuario della Madonna del Monte Castellano, Chiesetta dell’ex
Romitorio Francescano, Chiesetta della Madonna di Terranera, Chiesetta di
Valdie, Chiesetta di Pani.
La Chiesetta
della Madonna di Terranera
Localizzata nella costruenda
strada (una volta sentiero in mezzo al bosco) che da Raveo porta a Muina (frazione
d’Ovaro) si trova su uno sperone roccioso, a picco sul Torrente Degano, a
circa 10 minuti (a piedi) dal paese.
Il suo nome (“Terranera”) è
dovuto al fatto che, nei pressi, si trovano dei giacimenti di carbone di scarso valore sfruttati
fino alla fine della seconda guerra mondiale.
(Clicca per foto
1 – 2 -
3) Debbo precisare che nelle altre pubblicazioni su Raveo,
dalle quali ho attinto informazioni, nulla si trova su questa
costruzione.
Nel 1976 è stata fortemente danneggiata dal sisma, ma, soprattutto per la volontà d’alcuni componenti la famiglia, è stata ripristinata e restaurata; i lavori sono terminati nel 1994 e il 20 agosto di quello stesso anno è stata riaperta al culto ed inaugurata con una Santa Messa durante la quale il parroco di Raveo (Mons. Giuliano De Crignis) tenne un’omelia nella quale riassunse le vicende di fede e di devozione che portarono alla costruzione della Chiesetta di Terranera.Questa opera fu innalzata come adempimento di un voto, la guarigione della nipote Maria Sabina Barbana De Marchi, dalle sorelle Teresa, Anna e Lucia De Marchi; il voto non fu esaudito, ma le stesse decisero di costruire egualmente quanto avevano stabilito. La giovane De Marchi morì, a soli 21 anni, il 27 marzo 1891 a Firenze (vedi a fianco articolo su un giornale fiorentino dell'epoca) dove frequentava, con profitto, l'istituto di Magistero. Il lavoro venne portato avanti del capomastro Luigi Puicher, su un progetto del 1890. La chiesetta venne dedicata alla Madonna Addolorata e la piccola pala d'altare fu ordinata ai pittori Filipponi di Udine.All'omelia
citata sopra, che espone in maniera documentata e molto esauriente tutti
gli avvenimenti, anche quelli precedenti alla costruzione, rimando i lettori.
Altra documentazione è data
da un articolo di giornale del 1891 e da due lettere del 1896 inviate alle
committenti da un sacerdote di Cividale
(Antonio Bonanni, originario di Raveo) che seguiva per loro conto il lavoro
della piccola pala d’altare che rappresenta la Madonna Addolorata.
Pregiatissima
Sig.ra Teresa, ai 26
Settembre ordinai la paletta per la chiesetta di Terranera ai pittori
fratelli Filipponi che abitano a Udine in Borgo S.Maria dirimpetto quasi alla
casa che era del Signor Odorico suo cugino, appunto in quella stanza ove
aveva il suo studio il pittore Bianchini. Lasciai loro le misure e le due
immagini per una idea. Dissero che la Madonna essendo per pala va bene che
sia intera, che essi faranno un po’ di veduta del Calvario in lontananza, e
che faranno del loro meglio, ma con il tempo perché hanno molto lavoro. Ai 9
del passato Novembre fui di nuovo da loro. Avevano fatto il telaio e distesa
la tela, e mi dissero che per Natale o i primi dell’anno forse la potevano
consegnare. Prima di Natale forse tornerò a Udine e se ho tempo andrò a
vedere se hanno finito. Da qualche
giorno abbiamo qui molto vento con forte freddo, ma ho inteso che senza freddo non sono neppure a
Raveo. Favorisca
far tenere a mia nipote l’occlusa. Se hanno
l’occasione di andare a Udine, o che
vada qualche loro conoscente coll’indirizzo che le ho dato possono andare o
mandare a vedere a che punto siano i pittori, ai quali quando feci
l’ordinazione dissi che era per suo conto. Colgo
quest’occasione per augurare a lei e alle Signore Sorelle ogni bene dal
Cielo. Mi creda
quale sono Suo
Obbligatisi. e Devot. Sac.
Antonio Bonanni Per vedere l’originale, clicca qui
Pregiatissima
Sig.ra Teresa, ai 14 del
corrente mese fui a Udine dai Pittori Filipponi. La Paletta era
quasi finita. Non hanno potuto fare in distanza la veduta del Calvario perché
avrebbero dovuto tenere troppo piccola l’immagine dell’Addolorata, la
quale è in tutta persona intiera, con
solo la corona di spine in mano, con gli occhi volti al cielo. A me pare
troppo nutrita e giovane. Dissero che la ritoccheranno. Domandai del prezzo e
mi dissero di 200 franchi, e li ridusse a 150 compreso una cornicetta dorata
intorno intorno. Ieri mattina una cartolina postale mi annunciava il lavoro
finito e pronto per la consegna. Probabilmente la prima metà di Gennaio
tornerò a Udine e allora, se pur qualcuno dei Pittori non venisse prima a
Cividale, soddisferò l’importo. Se vuole spedire le 150 lire, ma non è
nessuna urgenza, può spedirle a Cividale al mio indirizzo. Intanto disponga
di mandarla a levare. Nell’altra lettera Le ho dato minutamente l’indirizzo
dei Pittori. Quando consegnerò l’importo
mi farò rilasciare una regolare ricevuta per sua e mia cauzione. Favorisca di
riverire tanto a nome di mia sorella e mio sue sorelle e augurando loro ogni
benedizione del cielo per il nuovo anno mi abbia quale fui sempre. Suo
Devotissimo P. Antonio
Bonanni Si
compiaccia ricambiare a Giuliano i più cordiali auguri. Per vedere l’originale, clicca
qui
Il Santuario della Madonna del Monte Castellano Secondo
i documenti esistenti, la chiesa in questione venne costruita nel 1620, ma, “da tempo immemorabile”, esisteva
nello stesso luogo una piccola cappella dedicata alla “Maternità di Maria”. Il
tutto nasce dal fatto che gli abitanti di Raveo avevano collocato in quel
luogo (circa a metà del cammino)
un’immagine della Madonna dove pregare in occasione delle salite a
Valdie per la fienagione. (Vedi scavi archeologici del 2005 relativi al
sacello preesistente il santuario). Attualmente,
per raggiungere il Santuario, bisogna percorrere a piedi un sentiero
(mulattiera) dal centro del paese per circa 15/20 minuti; esiste anche una
strada che può essere percorsa in automobile (dalla fine di Via Roma, a
destra, per Via Macilles) però si perde il resto dell’itinerario devozionale
composto da altre piccole costruzioni (capitelli
e Crocifissi) delle quali riferisco in altra parte. Il luogo, un pianoro nel quale trovò posto in un secondo momento anche il Romitorio Francescano, si chiamava “plan di ces” ed ancor prima “plano castri”. La costruzione, eccetto il portico antistante, costruito più tardi (1740), ma comprendente il campanile incorporato dietro il presbiterio, con cuspide a piramide quadrata, anche se completa alla data dell’inaugurazione (1 agosto 1620) non era certamente addobbata come lo è oggi; tuttavia, già nello stesso anno era pronta la campana fatta fondere in Trentino. Pochi anni dopo (1623) furono immessi nella chiesa anche i due altari lignei della scuola d’intaglio dei fratelli Comuzzo (Gerolamo e Francesco) di Tolmezzo: l’altare maggiore ricco di ori, ora persi per il deterioramento dovuto al passare del tempo, e di intagli con numerosi angioletti svolazzanti; l’altare di San Francesco, raffigurato in una tela di Francesco Comucio (della stessa scuola), anche questo ricco di intagli ed angioletti. Altra caratteristica è quella dei numerosi “ex voto” appesi alle pareti, quadretti di semplice fattura, squisitamente genuini e popolari. Il Santuario, nel corso della sua storia, è stato sottoposto a restauro negli anni 1860, 1924, 1973 e dopo il terremoto del 1976. A seguito dell’ultimo restauro non è stata più ritrovata una grossa pietra posta ai piedi della finestra con l’inferriata che permetteva di affacciarsi all’interno del Santuario; questa pietra si trovava lì da moltissimo tempo tanto che era scavata e levigata nel posto in cui i fedeli s’inginocchiavano. A documentazione di quanto detto, la foto che ritrae Don Primo Paties inginocchiato sulla pietra in questione (fine anni '50). Don Primo è un sacerdote di Portogruaro, già professore di filosofia e preside dell’Istituto G. Marconi, che trascorre a Raveo, da oltre quarant’anni, il suo periodo di ferie. (clicca
qui per vedere altre immagini del santuario). Per
ulteriori e più dettagliate notizie rimando al ciclostilato di Bonanni
Giacomo “B.V. De Plano Castri – Raveo”
del 1975 ed alla pubblicazione “Raveo ; primo centenario della parrocchia
1875-1975” dello stesso anno. La Chiesetta dell’ex Romitorio Francescano
A poche
decine di metri dal Santuario si trova una piccola costruzione affiancata da un altrettanto piccolo campanile: è l’ingresso del
Romitorio e, a sinistra, appena entrati, si trova la chiesetta dedicata
all’Immacolata. Chiesetta
e romitorio sono di proprietà privata. In
particolare chi s’interessava di queste costruzioni, fino al 2002, anno del
suo decesso, era Angelica Bonanni, già maestra elementare e donna dai
molteplici interessi culturali; infatti si dedicò, durante la sua lunga
esistenza, alla pittura, con una nutrita produzione di tele raffiguranti
soprattutto fiori e paesaggi
carnici, ed alla scrittura con pubblicazioni
inerenti la sua terra e le sue genti.
Se
oggi questo edificio lo ritroviamo nella buona situazione attuale, lo
dobbiamo soprattutto alla Sig.na Angelica che in esso profuse, con amore,
idee, tempo ed anche risorse economiche.
Per la chiesetta, questa segue la storia del Romitorio e si trascrive, di seguito, quanto riportato sulla pubblicazione sopraccitata relativa al primo centenario della parrocchia. (Per
le foto della chiesetta e del romitorio clicca
qui) Nel 1686 Odorico Bonano de Ravejo “fornito da Dio di qualche prosperità nei miei temporali interessi, , considerato (forse per
divina ispirazione) che ancorché facessi di molti guadagni et avanzassi la
mia fortuna, poco mi gioverebbe per l’eternità, feci
risoluzione di ritirarmi a servire il Signore in solitudine appresso la
Veneranda Chiesa di Raveo”. Quivi, nei pressi, costruì a sue spese una celletta per abitazione. E nel 1689 ottenne,
dopo essersi recato personalmente a Roma dal Padre Generale dell’Ordine
Francescano, il permesso di vestire l’abito di Terziario. A lui si aggiunsero
poi, fra Felice, Valentino Bonano, e nel 1712 il fratello di questi, il rev.
Sacerdote Nicolò Bonano col nome di Padre Bonaventura,
e altri. Nel 1724 ser Francesco Diana di Esemon di Sotto dona tutti i suoi
beni al Convento e vi accede col nome di Frate Francesco. I frati vivevano secondo la regola di
San Francesco d’Assisi. Bonificato il piccolo territorio, costruiti i muri di
sostegno, coltivavano ortaglie e alberi da frutto traendo da ciò qualche sussistenza; inoltre la cerca nei paesi vicini, per
spirito di penitenza, offriva loro il necessario per vivere. Il tenore di
vita del Convento era quindi rigido, orientato sulla preghiera, sul lavoro e
sui frequenti digiuni. Alcuni giovinetti furono mandati presso
i frati per l’apprendimento del leggere e scrivere. Nel 1727 un certo De
Infanti di Ravascleto, arricchitosi in Dilligen, aveva messo a Disposizione
degli Eremiti 11.000 fiorini (oggi, 1975, 50 milioni) perché fosse costituito
“un monasterio per scuole ginnasiali
per i giovani della Cargna”. Ma il testamento fu contestato dagli eredi e
si venne ad un compromesso, ma non si potè realizzare
nulla. Per concessione del Patriarca Dionisio
Delfino che si recò al Convento, i Frati ottennero
il permesso di essere sepolti nella Chiesa di S. Maria di Pian del Castello
(altro nome del Santuario di cui sopra). ……… La rivoluzione e l’occupazione francese
minacciavano da vicino le piccole comunità religiose.
Questa nostra non aveva avuto vita facile: ci furono aspre divergenze di
competenza tra il Cappellano di Raveo ed il Pievano di Enemonzo che aveva
diritto sulla Cappellania di Raveo e che vedeva di malocchio non solo le
aspirazioni di autonomia, ma la stessa Comunità degli Eremiti:
i quali, però, ebbero sempre la protezione del
Patriarca. Alla fine, la Legge Italica emanata da
Napoleone nel 1810 soppresse, come molte altre, anche questa Comunità. I Romiti portando a spalle una gran croce di legno lasciarono
il Convento e si avviarono verso Udine per essere accolti dai confratelli
francescani di via Ronchi. La piccola proprietà, messa all’asta, fu acquistata da un sacerdote di Zuglio e fu
da questi venduta a Luigi Ariis Daries il quale rimane unico proprietario ed
è ascendente degli attuali. Durante la guerra 1915-18 il Convento fu luogo di rifugio per i soldati italiani, russi, polacchi prigionieri in campi di concentramento tedeschi, che, riusciti a fuggire, erano arrivati qui in attesa della fine della guerra. Durante la seconda guerra mondiale fu luogo di sosta dei Volontari della Libertà. All’alba del 17 novembre 1944 i soldati cosacchi presidianti in Carnia, dopo aver tirato alcuni colpi di mortaio che colpirono fortunatamente le vicinanze, arrivarono al Convento. Forse il luogo ispirò ad essi i pensieri che (successivamente) un gentile ospite lasciò scritto (nel libro degli ospiti) cioè di elevazione dell’anima; e fu miracolosamente risparmiato. La Chiesetta in Valdie
Continuando a salire dal pianoro sul quale si trovano il Romitorio ed il Santuario, dopo circa altri 15/20 minuti di cammino si giunge in Valdie, un’ampia conca prativa e boschiva dalla quale si può scorgere, guardando a Nord, il Col Gentile ed il Monte Avedrugno. Il nome Valdie deriva dall’unione delle parole “valle” e “Dio” e questo senz’altro per la bellezza del luogo. Al
centro della conca si trova la piccola
cappella dedicata al Sacro Cuore di Maria nella forma del “dopo
terremoto”; i restauri hanno provveduto, principalmente, a spostare la
strada, ora più alta e che, prima, passava sotto la tettoia del pronao. Oggi
Valdie, molto rimboschita rispetto a 40/50 anni fa, non è più una località in
cui si lavora accudendo al bestiame ed alla fienagione; infatti gli stavoli
che caratterizzano la visione della valle, tutti di privati, vengono aperti
di rado e quasi esclusivamente per incontri fra parenti e amici. Anni
addietro, invece, vi si trasferiva parte della popolazione di Raveo: era il
periodo della fienagione. All’avvicinarsi
della sera, suonava la campanella della chiesetta ed allora le persone
confluivano dai vari stavoli al piccolo luogo sacro dove un uomo o una donna,
a turno, iniziavano la recita del Rosario. Al termine si salutavano con il
classico “buine gnôt” e, quindi, tutti tornavano ai loro stavoli
illuminando ognuno il proprio percorso con una piccola lanterna che portavano
con la mano (feralût) . Un po’ alla volta, raggiunte le diverse mete,
tutti i lumi si spegnevano e la giornata si concludeva nella pace e nel
silenzio. La Santa
Messa del 29 agosto 2004 è stata officiata da Don
Primo Paties (vedi sopra) che ha impostato la sua omelia sulla “giornata
della memoria di Valdie”. Di seguito, dopo essere stato autorizzato dallo
stesso sacerdote, pubblico l’omelia in questione. (Per foto della Santa
Messa officiata nell’estate del 1942, nella stessa prospettiva di quella
odierna, clicca qui) (La foto è stata scattata da
Marialuisa de Checo Ariis; alla Messa partecipavano anche coloro che, poco
dopo, sarebbero partiti per la disgraziata campagna di Russia e dalla quale
no sarebbero tornati).
Per altre foto sulla chiesetta di Valdie:
1)
L’altare
2)
Ex voto
3)
Lampadario
di Murano
4)
Vetrate
Omelia tenuta da Don Primo Paties in occasione della Santa Messa celebrata nella chiesetta di Valdie il 29 agosto 2004 LA GIORNATA DELLA MEMORIA Questa giornata, io la sento come la
giornata della MEMORIA. E, come tale, la propongo a voi. Giornata della memoria dei “protagonisti
di quest’opera (Valdie), monumento della civiltà rurale montanara, (che)
furono uomini e donne il cui rapporto con la natura era profondamente e
intimamente vissuto” (da “Raveo, dalla leggenda alla ricostruzione”). Noi ci troviamo di fronte a un “MONUMENTO
DELLA CIVILTÀ RURALE MONTANARA”, costruito, nel corso dei secoli, dalla
gente di Raveo. Senza il lavoro paziente, costante e intelligente della gente
di Raveo, questa conca meravigliosa non esisterebbe. Sarebbe un fitto bosco.
Valdie è il risultato della collaborazione intelligente e amorosa tra l’uomo
e la natura. Opera secolare. Da quando? I primi
documenti storici, che ricordano Raveo, sono del 1234 e del 1278.
Considerando che i paesi esistevano prima dei documenti, possiamo affermare
che quest’opera monumentale è il frutto della fatica di circa otto secoli. I protagonisti furono le migliaia di
uomini e di donne, che salivano e scendevano per la STRADA VECCHIA.
Anche questa un MONUMENTO DI CIVILTÀ E RELIGIOSITÀ. Erano tempi quelli,
in cui civiltà e religiosità erano la stessa cosa. Simbolo di questa fusione
è la strada, lastricata da ciottoli e fiancheggiata da icone sacre. “Le pietre parlano”. Così è scritto nel libro sopra citato. Ebbene, i ciottoli
parlano di fatica, di sudore, di tenacia; le icone parlano di fede, di
preghiera, di speranza cristiana. I ciottoli aiutavano a salire e a scendere,
le icone invitavano a pregare e infondevano forza e fiducia. A metà circa della strada, una sosta
nei pressi del Santuario, per riposare e pregare.Alla base esterna della
finestra verso la strada c’era una grossa pietra levigata, sulla quale la
gente s’inginocchiava per pregare. Questa pietra era lievemente incavata là
dove poggiavano le ginocchia. L’anfiteatro verde e fiorito di Valdie
e la strada vecchia, lastricata di fatica e di fede, due monumenti che vanno
conservati, per il loro significato storico, civile e religioso. E i
protagonisti di queste opere vanno ricordati come modelli di laboriosità, di
civiltà e di religiosità. Nella citazione iniziale si dice che
i protagonisti erano “uomini e donne il cui rapporto con la natura era
profondamente e intimamente vissuto”.
Nutrivano un sentimento sacrale della natura, creata da Dio. Un
sentimento che va recuperato. Lo scrittore friulano, Sgorlon, in un
suo libro scrive: ”Sono fermamente convinto che l’umanità non avrà un
futuro se non riuscirà a recuperare un sentimento sacrale della natura e
della vita”. Ricordando con animo riconoscente i
nostri padri, che ci hanno donato questo capolavoro di civiltà e di
religiosità, invochiamo su noi e su tutti i raveani, sparsi in tutto il mondo
per ragioni di lavoro, la benedizione di Dio e di Maria.
Anche nel 2005 la Santa Messa in Valdie è stata dedicata, l'ultima domenica di Agosto (28), alla Giornata della Memoria. In una giornata piovosa un piccolo gruppo ha ascoltato la Santa Messa celebrata da Don Primo. Per leggere l'omelia e per vedere le foto, clicca qui. La Chiesetta di Pani
Con
un’altra oretta di cammino da Valdie, per semplice e facile sentiero, si
giunge a Pani (1.040 s.m.) ampia e bellissima conca, prativa nella parte più
bassa e pietrosa verso l’alto, alle falde del Col Gentile. Attualmente è
abitata da una sola famiglia che produce formaggi ed una rinomata ricotta
affumicata. A fianco della loro casa e delle stalle si erge la chiesetta, una volta dedicata a San Rocco per invocare la protezione, nei secoli scorsi, contro la peste che, ciclicamente, imperversava anche in queste zone; attualmente è dedicata alla Madre del Buon Consiglio e, dopo la ricostruzione a seguito del terremoto, ricostruzione effettuata a cura dell’Associazione Nazionale Alpini, un affresco del pittore Marino Romano, all’interno ricorda la tragica ritirata di Russia. Altre
foto della Chiesetta di Pani: altare,
affresco della
Natività, esterno
(abside) I Capitelli ed i Crocifissi
Come
detto in premessa non ho reperito bibliografia di quello che descriverò di
seguito e, quindi, mi avvalgo di quanto sentito dire dagli abitanti. In
effetti queste piccole opere non sono state eseguite da artisti insigni e,
quindi, non hanno trovato riscontro nel novero delle ricerche artistiche;
sono tutte opere artigianali, più o meno antiche, qualcuna anche recente,
dalle quali traspare, però, la fede del popolo. Una
caratteristica è che quasi tutte, come per altro anche le cinque
chiesette, sono dedicate alla Madonna, cosa questa assai
comune anche nel resto del Friuli ed in buona parte dell’Italia. Il
criterio scelto per presentare queste piccole opere sacre è stato quello di
un itinerario attraverso le vie di Raveo, itinerario da effettuare
naturalmente a piedi. Per questo motivo consiglio il viaggiatore, dopo, aver
ammirato il primo crocifisso sulla strada provinciale, di abbandonare
l’automobile all’ingresso del paese (posteggio di fronte ai campetti
sportivi). Ed ecco qui, proprio a lato della rotonda, il capitello più recente, in sostituzione di quello precedente rovinato con il sisma, un bassorilievo che riproduce una “Pietà”, a ringraziamento di quanti hanno portato il loro aiuto e la loro solidarietà a seguito dei tragici eventi del 1976 e, in particolare alle Comunità di Gorgonzola (MI) e Gussago (BS). “A ricuart di chei che nus an volut ben 1976-1980” (“In ricordo di coloro che ci hanno voluto bene”) sta scritto sotto la scultura. Prendendo
la strada a destra, la Via Roma, che ci condurrà fino alla piazza, troviamo
proprio prima del Monumento ai Caduti, una
piccola ancona, chiusa da un cancelletto di legno, contenente
un’immagine della Madonna. Più
avanti un’altra immagine di “Madonna con Bambino”, un
bassorilievo in legno, in sostituzione di una precedente che si
trovava allo stesso posto della casa ricostruita. La
scultura è opera di Giovanni Ariis, già messo comunale ed anche
scultore/incisore di legno. Preservata
da un vetro, porta scritto, nella parta sottostante, la seguente frase: “Come
giglio tra le spine sei tu Vergine Beata dalla colpa preservata perché madre
del Signor 1718-1988”. Le due
date si riferiscono rispettivamente alla prima costruzione della casa ed alla
sua ricostruzione dopo il terremoto.
Si
prosegue per circa 60 metri e, sulla sinistra, si trova un capitello con Santa Barbara;
è questa una delle due eccezioni (l’altra è il capitello con San Floriano per
il quale si rimanda più avanti) in cui l’effige non sia quella della Vergine.
Il motivo di questa esposizione è determinato dal fatto che i componenti
della famiglia o hanno fatto parte del Genio Militare o hanno operato nelle
miniere e nelle gallerie, tutti tipi di lavori dei quali Santa Barbara è
protettrice. Si giunge
così nello slargo considerato la piazza; qui, sull’angolo fra Via del Monte e
Via Norsinia, si trova un capitello
in muratura con una statua dell’Immacolata: la statua di fattura
recente sostituisce una precedente immagine sotto la quale esisteva una
fontana. Nella costruzione a destra, all’altezza del primo piano, un’anconetta
anch’essa con una statuina dell’Immacolata. Da
questo punto (vedi più avanti l’itinerario per il
Santuario, Valdie e Pani) si procede per Via Norsinia e, subito dopo il
campanile, sulla parete di una casa in sassi, che s’innalza come una torre
campanaria, ecco un
capitello con una tavoletta, leggermente inclinata in avanti per una
migliore visione dal piano stradale, con dipinta una Madonna con Bambino. Proseguendo
sempre per la stessa via (attenzione al bivio con Via Borchia dal quale
inizia un altro itinerario) si trova l’Ufficio Postale sul cui muro esterno
una nicchia contiene una pianella in
terracotta, di fattura recente,
raffigurante una Madonna con Bambino. Poco
più avanti sulla parete di un terrazzino privato una raffigurazione di una Madonna
con Bambino fra San Giovanni Battista e Sant’Antonio: una lampada
votiva è sempre accesa. Via
Norsinia gira a sinistra e, subito dopo, sulla destra, all’angolo di Via
Fravins, un capitello in pietra ben sagomato contiene una pittura murale
raffigurante un crocifisso
con ai piedi la Madre e Maria Maddalena. Si procede quindi in discesa
fino alla rotonda dalla quale è partito questo itinerario. Si
evidenzia ancora, in Via di Mezzo
(sulla sinistra a metà di Via Roma) un’altra pittura sacra murale compresa in
un semplice contorno di pietra e raffigurante una Madonna con Bambino.
Itinerario per Santuario, Valdie e Pani. Alla
fine di Via Roma (vedi itinerario precedente), si prende Via del Monte che,
divenendo dopo pochi metri una mulattiera, ci condurrà fino a Pani. Alla
prima curva ci troviamo di fronte, sulla parete di uno stavolo, ad una raffigurazione
di “Madonna
che allatta il Bambino” abbastanza grande. Trattasi di un’effige
restaurata di recente e, forse, opera del “Pitorut”([1]) tratta
da un quadro
di Andrea Solario del 1515 ed esposto al Louvre. Di questo quadro esistono a
Raveo, per quanto a mia conoscenza, tre copie eseguite a metà ‘800 dal
“Pitorut”. Poco
più avanti un capitello
in muratura con un crocifisso e, poco dopo, sulla destra, il capitello
dedicato a San Floriano con un dipinto murale rappresentante il Santo
che spegne un incendio. Il capitello è di proprietà di Stefani Rina e
l'ultimo restauro è stato effettuato nel 1992. Saliamo
ancora e, poco dopo, sotto una galleria di alberi, al bivio con un sentiero,
un crocifisso
in legno. La struttura
di questo manufatto, di proprietà privata della famiglia di Osvaldo Puicher,
è simile a tutte le altre che si trovano nel territorio in quanto tutti i Crocifissi,
da lungo tempo, sono manutenzionati da Osvaldo; inoltre, la suddetta
struttura è di origine “sappadina” e la famiglia si trasferì a Raveo da
Sappada a metà del XIX secolo. Terminata
la “galleria” di alberi, dopo una leggera curva, ecco un
altro capitello dedicato alla Madonna; di questo si conosce l’anno di
costruzione (1830) in quanto, nello spazio sottostante, si trova incisa nella
pietra la seguente frase: “Chiunque passa per questa via si ricordi di
salutar Maria - V. 1830
B.” (da notare la N
rovescia). Poco dopo, prima della curva a destra, consigliamo una deviazione a sinistra di una decina di metri per ammirare il panorama su Raveo, Colza e Maiaso. Rientriamo
sul sentiero e, dopo le curve prima a destra e poi a sinistra, giungiamo in
uno spazio abbastanza largo dove, di recente, è stato posizionato il
traliccio della linea elettrica. A circa 4 metri, sulla sinistra del
sentiero, sul tronco di un rovere è affissa un’anconetta in legno con
un’immagine della Madonna con Bambino in fasce, chiamata “Madone dal rol” (Madonna del rovere)
che porta la scritta “Per le tue lacrime, salvaci o Maria”. La storia
di questa immagina è legata ad una vicenda, avvenuta molti anni fa: “Una
donna incinta stava scendendo, durante l’inverno, da Pani a Raveo quando fu
presa dalle doglie e partorì sulla neve un bimbo proprio appoggiata a
quell’albero”. Proseguendo,
dopo poco, giungiamo al capitello
della “Sacra Famiglia”, una piccola costruzione che, soprattutto per
le due colonnine frontali, differisce nello stile dagli altri capitelli.
All’interno troviamo una riproduzione con un’immagine centrale contornata da
altre più piccole, mentre sull’arco del capitello una scritta, con
abbreviazione, dice: “Gesù-Giuseppe-Maria-aiuta-socco-così-sia”. Ancora
qualche passo ed ecco che ci troviamo in vista della scalinata che porta al
Santuario della Madonna del
Monte Castellano, preceduta da un grande
crocifisso con lo sfondo bianco, un particolare che non si ritrova
sugli altri. Dopo
la doverosa sosta per visitare il
Santuario, la Chiesetta del Romitorio ed il Romitorio, ricordando che gli
stessi si possono ammirare solo dall’esterno [2],
riprendiamo la salita raggiungendo
così la congiunzione con la strada carrozzabile da dove ammiriamo nuovamente
il paesaggio
sulla vallata del Tagliamento. Proseguiamo
lungo la strada asfaltata contornata da faggi maestosi ed arriviamo nella
località chiamata Quals dove si trova un capitello che sovrasta la strada e
che, all’interno della nicchia, contiene una pittura
murale raffigurante il crocifisso con ai piedi Maria e la Maddalena.
Ancora pochi metri e, dopo un altro crocifisso
in legno, siamo in Valdie; percorriamo la strada in discesa ammirando
la conca sovrastata dal Monte Avedrugno e disseminata di stavoli ammodernati
dagli ultimi restauri; dopo un’altra breve salita siamo alla Chiesetta di
Valdie (vedi sopra). A
questo punto possiamo permetterci una sosta più lunga approfittando del
tavolo e delle panche a fianco della chiesetta. Proprio di fronte, un po’ più
in alto verso sud, possiamo scorgere i resti dell’impianto di un roccolo per
l’uccellagione ed ora non più in uso perché questo tipo di caccia è vietato
dalle leggi vigenti. Dopo
il riposo riprendiamo la salita verso la conca di Pani. La strada, dopo un
po’ ritorna in terra battuta, prima alzandosi e poi restando in quota. A
circa metà del percorso troviamo l’unico capitello esistente in questa parte
di strada e restaurato di recente: una pittura murale che
riproduce una Madonna con Bambino. E dopo
un po’ ecco finalmente la conca di Pani (vedi sopra) con il Monte Avedrugno
alla destra ed il Col Gentile di fronte.
A
questo punto vi sono due alternative: la prima quella di percorrere in
discesa l’itinerario già fatto, oppure di proseguire guadando il torrente
Chiarzò, salire ancora e poi scendere per strada asfaltata fino ad una
stalla/fattoria e da questo punto sulla cresta del colle che declina fino a
Colza avendo alla sinistra la valle del torrente guadato in precedenza ed
alla destra la valle del Tagliamento. Una
volta a Colza possiamo raggiungere in poco tempo, attraverso la strada
carrabile, l’abitato di Raveo. Il tempo
di percorrenza dell’itinerario varia in base alle soste ed alle capacità
fisiche di ognuno: mediamente dalle quattro alle cinque ore. Consigliamo
comunque di munirsi di una carta topografica della zona.
Altri
itinerari all’interno del paese. Via Beorchia e suo
proseguimento
Dietro
la chiesa parrocchiale si trova il bivio fra via Norsinia e via
Beorchia; prendiamo sulla destra
quest’ultima e troviamo subito una fontana,
all’interno di un portico ad arco,
sormontata da un capitello nella cui nicchia una pittura
murale raffigura la Madonna con Bambino fra San Francesco e Santa Chiara. Proseguendo
ecco, poco più avanti, un’anconetta sulla parete di una casa, contornata in
pietra sagomata e contenente un crocifisso
in sostituzione, forse, di una più antica pittura. Ci innalziamo e lasciamo le ultime case del paese e saliamo fra i boschi per una strada forestale asfaltata che viene chiamata “percorso vita” perché lungo l’itinerario sono (erano) installati elementi lignei che invitano (invitavano) ad eseguire alcuni esercizi fisici. Dopo
pochi minuti raggiungiamo la sommità del sentiero dove troviamo una cappelletta
con tettoia e recinto. L’immagine è, ancora una volta, quella della “Madonna
con Bambino”. Una
scritta sopra l’arco della nicchia “Madre
della salute pregate per noi”
mi ricorda la Madonna della Salute,
ricorrenza che si celebra a Venezia il 21 novembre come voto al termine di
una pestilenza per il quale fu costruita una splendida basilica sul Canal
Grande. Anche
a Raveo, nella stessa data, una processione raggiunge, nella sera, questa
cappelletta per sciogliere il
medesimo voto. Possiamo
tornare nell’abitato per la stessa strada oppure continuare scendendo fino al
torrente Chiarzò, le cui acque, proprio in questo luogo, vengono captate
dall’Enel, e, quindi, girando a sinistra,
si prosegue passando vicino al campo sportivo; giriamo ancora a sinistra
e, lasciando sulla destra la zona artigianale raggiungiamo la rotonda (vedi
sopra) di ingresso al paese. Altri tre elementi restano da ricordare: il crocifisso
posto all’inizio della strada forestale che è parte integrante del “Parco
intercomunale delle colline carniche” (vedi le pubblicazioni a
cura degli uffici del parco), un altro crocifisso sulla parete di uno
stavolo, andando a Terranera e la cappelletta posta di fronte alla chiesetta
di Terranera. A proposito del primo, precisiamo che si tratta di quello che, in origine e prima dell’allargamento della strada provinciale che immette a Raveo, si trovava a lato di quella, dalla parte opposta dell’attuale (vedi sopra). Successivamente fu recuperato da Osvaldo Puicher che, dopo uno scrupoloso restauro, lo pose nel posto attuale. Sulla
strada che porta a Terranera, al bivio con il sentiero che si abbassa verso
il Torrente Degano, (località "Cjaledonne") si trova uno stavolo, ancora con queste funzioni, che,
sulla facciata porta un crocifisso con caratteristiche diverse dagli
altri. Per
quanto riguarda la cappelletta di fronte a
Terranera,
anche questa non si trova nella posizione originaria ed il confronto si può
fare con il quadro riprodotto in copertina. Infatti quando non esisteva la
strada, ma solo un sentiero, era posizionata in luogo diverso, più in alto,
sempre nei pressi. Ė di proprietà privata e all’interno della nicchia si
trova una riproduzione fotografica di un’immagine della Madonna. Le
pitture murali di Marino Romano
A conclusione di queste brevi note ringrazio il lettore per la pazienza e la benevolenza dimostrate e porgo il mio saluto con il canto che ritengo possa essa considerato l'inno del Friuli:
Sergio Piovesan
|
[1] Antonio Taddio Copano, detto il “Pitorut”, figlio di un medico veneziano, nato Graz dove compì gli studi, visse a Raveo nell’0ttocento dipingendo quadri di soggetto sacro
[2] Sono aperti solo pochi giorni all’anno: la domenica nella quale si celebra la festività di San Pietro, il 15 agosto e la seconda domenica di settembre; la data del 15 agosto è significativa per l’affluenza dei paesani, degli emigranti che ogni anno tornano e dei turisti.